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L '«adeguatezza» italiana e la «sufficienza» spagnola come concetti giuridic

COME CONCETTI GIURIDICI INDETERMINATI INTERPRETATI DALLE DUE CORTI COSTITUZIONALI

Dal punto di vista della giurisprudenza costituzionale, ciascuna Corte ha avuto occasione di pronunciarsi, in ripetute occasioni durante gli anni, sul concetto di adeguatezza/sufficienza delle prestazioni, sia secondo la relazione esistente tra contributi versati e prestazione ricevuta, sia attraverso istituzioni contigue come limite minimo o massimo nell’ammontare delle pensioni, rivalorizzazione del potere

613 Sulla teoria scissionista o delle relazioni unilaterali, ALMANSA PASTOR, J.M.: Derecho de la

Seguridad Social, op. cit. p. 156. Secondo quest’autore, le origini di questa dottrina sono più remote di quanto si possa pensare. Trova antecedenti nei primi trattatisti tedeschi sulle assicurazioni sociali, ROSIN, LASZ, LABAND, quando si osservava che le assicurazioni sociali imposte da Bismark erano diverse dalle quelle private nell’assicurazione a pieno diritto, e che nella relazione giuridica di assicurazione sociale, la sinallagmaticità della relazione di assicurazione privata non aveva valore. In Italia, dagli inizi dell’assicurazione sociale, la dottrina si pronunciava di solito per le reciprocità delle obbligazioni contenute nell’assicurazione sociale. L’evoluzione normativa posteriore, che ha dato accesso all’automaticità delle prestazioni, ha spinto la dottrina a negare l’interdipendenza tra quote e prestazioni, spiccando tra questi, BARASSI, nelle vesti di pioniere, BARETTONI, seguace, e PERSIANI.

CARNELUTTI, Infortuni sul lavoro (studi), I, Roma, 1913; DELITALA, Diritto delle assicurazioni sociali, Torino, 1951, 56 e ss; CANNELLA, Corso di diritto della previdenza sociale, Milano, 1970, 609 ss.

614 RANALDI, “Natura giuridica del contributo assicurativo”, in Previdenza Sociale nell’Agricoltura,

1953, p. 107.

615

PERA, L.: L’automaticità (parziale) delle prestazioni nell’assicurazione d’invalidità e vecchiaia, Sicurezza Sociale, 1970, p. 1 e ss; ROSSI, F.P.: La previdenza sociale, Padova, 2000, p. 58; PURI, Destinazione previdenziale e prelievo tributario, Milano, 2005, p. 172.

616 MONTOYA MELGAR, A.: Derecho del Trabajo…op.cit. p. 649, L’autore afferma riguardo alla

natura della quota che non conviene essere categorici, poiché «senza smettere di riconoscere la parte contenuta veramente in entrambe posizioni, è necessario riflettere nei suoi punti deboli: la quota come premio si oppone fondamentalmente al fallimento del principio sinallagmatico nella previdenza sociale, ma la pura e semplice identificazione tra quota e tributo oppone l’ancora dominante carattere contributivo della nostra previdenza sociale, che sebbene non si articoli sul modello del contratto di assicurazione, lo fa sulla tecnica generica di assicurazione».

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d’acquisto e coincidenza di pensioni nello stesso beneficiario. Questi aspetti saranno trattati nelle seguenti citazioni.

In Italia, la legge n. 153 del 30 aprile 1969 (riforma Brodolini), abbandonò definitivamente il sistema di capitalizzazione e adottò la formula retributiva per il calcolo della pensione in forma generalizzata, svincolando il calcolo della pensione dai contributi effettivamente versati e legando la prestazione alla retribuzione percepita negli ultimi anni di lavoro. Se anteriormente prevaleva un concetto di retribuzione differita ancorato alla massa contributiva accantonata ed al suo rendimento, successivamente a tale momento acquisiva rilievo determinante il collegamento fra pensione e retribuzione e la configurazione dell’una come una sorta di prosecuzione dell’altra617

, s’introduce così la teoria del reddito differito, concetto secondo cui la pensione è un «reddito di sostituzione» del reddito da lavoro o «retribuzione differita», frutto della correlazione concettuale o politica618 con la formula dell’articolo 36, comma 1 CI, che impone che al lavoratore gli sia assicurata una retribuzione sufficiente a garantire a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

Tuttavia, nelle prime pronunce della Corte Costituzionale italiana, l’adeguatezza s’identificava con il minimo vitale capace di far fronte alle necessità primarie della vita. La prima sentenza al riguardo, la sentenza n. 34/1960 dichiarava «quale che sia la

funzione specifica che si voglia attribuire alla pensione di invalidità e vecchiaia, è certo che, in base all'ordinamento vigente, essa è collegata allo stato di bisogno del lavoratore garantendo un minimun di mezzi di sussistenza».

Più dettagliatamente, la sentenza n. 22/1969 dichiarava che «il primo comma

dell'art. 38 pone fra i compiti primari dello Stato quello dell’assistenza sociale, quale esplicazione del principio della solidarietà, che deve informare la normativa della pubblica assistenza e beneficenza a favore di chi versi in condizioni di indigenza per inabilità allo svolgimento di un’attività remunerativa, prescindendo da precorse qualità e situazioni personali e da servizi resi allo Stato”; mentre il secondo comma, “anche esso ispirato a criteri di solidarietà sociale, ma con speciale riguardo ai lavoratori, impone che in caso di eventi, i quali incidono sfavorevolmente sulla loro attività lavorativa, siano ad essi assicurate provvidenze atte a garantire la soddisfazione delle

617 EVANGELISTA, S.: “La giurisprudenza costituzionale dell’ordinamento previdenziale”, Diritto del

Lavoro, 1987, p. 149.

618

BARTOLE, S. e BIN, R.: “Commento all’art. 38”, Commentario breve alla costituzione, Cedam, Padova, 2008, p. 377.

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loro esigenze di vita”, nell’insieme rilevava il carattere precisamente alimentare,

essendo esse destinate a fronteggiare primarie necessità degli assistiti, mediante

corresponsione di un minimo vitale». Si noti che si fa riferimento agli «assistiti», anche

con riguardo alla materia previdenziale, combinando semplici mezzi di sussistenza per entrambi i precetti619.

In seguito, e fino al decennio 1980-1990, la Corte Costituzionale italiana ha difeso con impegno posizioni più retributive, definendo la pensione in termini di «retribuzione differita», commisurando la quantità alla qualità del lavoro nell’idoneità ad assicurare all’ex lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa. Agli albori del 1990, la Corte Costituzionale ha ridimensionato il principio di proporzionalità dell’art. 36 CI, passando quindi gradualmente a riconoscere una più ampia discrezionalità legislativa nella commisurazione della prestazione alle risorse effettivamente disponibili620, situando l’adeguatezza in un punto intermedio tra il minimo vitale e i mezzi idonei a garantire il tenore di vita raggiunto dal lavoratore621. Un excursus di importanti pronunce ci permette di evidenziare le seguenti sentenze.

L’originaria sentenza n. 3 del 1966 con riferimento all’indennità di anzianità degli impiegati pubblici condannati, dichiara che «l'art. 36 garantisce espressamente il

diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato ed in ogni caso sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa. E non appare compatibile con i principi ispiratori di questo precetto costituzionale collegare indiscriminatamente (come fa l'art. 28, n. 5, del Codice penale, integrato dall'art. 29), per il personale degli enti pubblici e i loro aventi causa, la perdita di tale diritto al fatto che il titolare di esso abbia riportato la condanna a una certa pena detentiva».

La sentenza n. 155 del 1969 riconosce, pur nella ritenuta legittimità della riduzione della pensione in caso di cumulo con la retribuzione, l’intangibilità della quota della pensione corrispondente alla rendita dei contributi versati. «È conforme alle

esigenze volute dall'art. 38 il corrispondergli l’intera pensione, mentre il divieto di

619

EVANGELISTA, S: La giurisprudenza costituzionale… op. cit. p. 148.

620 LUDOVICO, G.: “Sostenibilità e adeguatezza della tutela pensionistica...op.cit. p. 927 «Non sembra

che il limite delle compatibilità di bilancio possa costituire un reale ostacolo alla concreta realizzazione dell’adeguatezza, dal momento che, fatta eccezione per l’ipotesi di assoluta mancanza di risorse,la vera questione non è tanto nella sostenibilità della spesa, ma nelle scelte compiute in sede di ripartizione delle risorse disponibili»

621

REGNA, S: Proporzionalità, adeguatezza e eguaglianza nella tutela sociale dei lavori. Lavoro e Diritto, 2005, n. 1, p.73.

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cumulo per il pensionato che gode di un trattamento di lavoro oltre quello pensionistico rispetta un principio di giustizia distributiva».

La sentenza n.184 del 1973 sulla legittimità della norma che riduce a metà l'importo dell’indennità per il personale degli enti locali cessato dal servizio per dimissioni volontarie, dichiara che «in riferimento all'art. 36 della Costituzione dopo

che la Corte costituzionale ha affermato che la pensione riveste carattere di retribuzione differita, dal momento che il diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato deve intendersi rivolto non soltanto alla retribuzione corrisposta durante il servizio, ma anche a quella differita. La quale, nel vigente sistema previdenziale, può essere di due tipi: pensione o indennità "una volta tanto"».

Invece, con la sentenza n. 30 del 1976, di nuovo sulla compatibilità tra pensione e retribuzione622, cominciano a crollare le posizioni rispetto alle «pensioni differite». La Corte precisa il criterio affermando che non può più riconoscere tale intangibilità, dovendo valutare il problema del cumulo nell’ottica del crescente sostegno finanziario dello Stato al trattamento previdenziale dei lavoratori, conseguente alla rottura dello stretto collegamento tra questo e i contributi versati. «Neppure è violato il diritto alla

prestazione di adeguati mezzi di vita in caso di vecchiaia per effetto del denunciato divieto di cumulo. È stato osservato da questa Corte, nella citata sentenza del 1969, che la pensione assolve ad una funzione previdenziale, inserendosi nel sistema di sicurezza sociale delineato dall'art. 38 della Costituzione. Essa sopperisce al rischio del lavoratore di perdere o di diminuire il proprio guadagno, mancando dei mezzi di sussistenza, quando, con il venir meno delle forze per vecchiaia, non è più in grado di lavorare”(...). “Se il pensionato, dimostrando di possedere ancora sufficienti energie, continua a lavorare, pone in essere una condotta che, da un lato, può avere rilievo ai fini di una riliquidazione della pensione, dall'altro consente al legislatore di tener conto del conseguente guadagno e della diminuzione del suo stato di bisogno. Non contrasta quindi con l'art. 38 Cost. la riduzione del trattamento pensionistico a carico di chi, continuando a lavorare, percepisce anche una retribuzione».

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CANEVARI, F.M.. Costituzione e protezione sociale. Il sistema previdenziale nella giurisprudenza della corte costituzionale, Giappichelli, Torino, 2007, p. 37.

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Da quel momento, il ricorso alla solidarietà generale acquisisce maggiore importanza di fronte alle tensioni con il concetto di retribuzione623. Questa nuova dottrina si consolida con la sentenza n. 26 del 1980 nella quale si precisa che «dagl'invocati precetti, congiuntamente considerati [artt. 3, 36 comma 1, 38],

innegabilmente scaturisce, secondo la constante giurisprudenza di questa Corte, una particolare protezione per il lavoratore, nel senso che il suo trattamento di quiescenza - al pari della retribuzione in costanza di servizio, della quale costituisce sostanzialmente un prolungamento a fini previdenziali - deve essere proporzionato alla quantità ed alla qualità del lavoro prestato, e deve in ogni caso assicurare al lavoratore medesimo ed alla sua famiglia mezzi adeguati alle loro esigenze di vita, per un'esistenza libera e dignitosa. Proporzionalità ed adeguatezza, che non devono sussistere soltanto al momento del collocamento a riposo, ma vanno costantemente assicurate anche nel prosieguo, in relazione ai mutamenti del potere d'acquisto della moneta” Ciò,

precisando tuttavia che tale principio “non comporta […] automaticamente la

necessaria e integrale coincidenza tra il livello delle pensioni e l'ultima retribuzione”,

lasciando sempre sussistere “una sfera di discrezionalità riservata al legislatore per

l’attuazione, anche graduale, dei principi suddetti».

Il fatto è che l’utilizzo dell’art. 36 per definire il concetto di adeguatezza ha ricevuto critiche a suo tempo624, per aver svolto, l’art. 36 CI, un ruolo tra soggetti privati, a differenza dell’interesse pubblico625

dell’art. 38 CI; o per aver privato di adeguata giustificazione positiva ed essere fonte di gravi equivoci, specialmente durante l’utilizzo di un parametro che non è quello imposto per tale specifica occasione dall’art. 38 CI e perché sono tra di loro nettamente distinti: la quantità e qualità del lavoro in un caso, e le esigenze di vita in presenza di eventi tipici nell’altro.626

Si inserisce così un punto d’inflessione, la corte comincia a introdurre una serie di ostacoli. Continua nella stessa sentenza affermando «ma ciò non comporta

automaticamente che, nella fase della liquidazione, il livello della pensione, in progressiva puntuale concomitanza con il servizio prestato, debba poter attingere il

623 EVANGELISTA, S: La giurisprudenza costituzionale… op. cit. p. 149.

624 PERSIANI, M.: Commento all’art. 38, in BRANCA, G.: Commento alla costituzione Zanichelli,

Bologna-Roma: 1979, p. 250.

625 PERSIANI, M.: Giurisprudenza costituzionale e diritto della previdenza sociale in G. M. AMBROSO

, G. FALCUCCI, (ricerca coordinata da) Lavoro, La giurisprudenza costituzionale (1 luglio 1989 1dicembre 2005), Roma 2006.

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traguardo della integrale coincidenza con la retribuzione goduta all'atto della cessazione dal servizio”.

A riguardo (varie pronunce hanno continuato in questa direzione) la sentenza n. 349 del 1985 espone: «la Corte non può non muovere dalla sua precedente

giurisprudenza e in particolare dalla decisione n. 26 del 1980, (...) non comporta tuttavia automaticamente la necessaria e integrale coincidenza tra il livello delle pensioni e l'ultima retribuzione; e peraltro lascia sempre sussistere una sfera di discrezionalità riservata al legislatore per l'attuazione, anche graduale, dei principi suddetti».

La sentenza n. 31 del 1986627 sulla costituzionalità di un trattamento minimo di pensione diverso per i lavoratori autonomi rispetto ai lavoratori dipendenti, «non appare

arbitraria od irragionevole, trovando essa la sua giustificazione nella differente valutazione delle situazioni in cui versano le due categorie in discussione; in particolare, va tenuto presente, da un lato, la diversa qualità del rapporto di lavoro dei lavoratori dipendenti e dei lavoratori autonomi che godono d’un reddito e non d'una retribuzione fissa nonché la diversa posizione economica e sociale degli stessi, e, da un altro lato, la differente disciplina delle contribuzioni previdenziali previste per gli uni e per gli altri. Né può certamente ritenersi irrazionale (...) trovando anch'essa giustificazione sia nei diversi sistemi di contribuzione sia nei differenti sistemi di determinazione della pensione. (...) L'art. 38 Cost. non va interpretato nel senso che le esigenze di vita tutelate debbano essere rigidamente uguali per tutti i lavoratori, prescindendo dal reddito fruito durante la vita lavorativa ed assoggettato a contribuzione: appare, pertanto, legittimo l'attuale sistema, essendosi perseguito l'ampliamento della tutela sociale con razionale gradualità di passaggio imposta dalle disponibilità finanziarie del Paese».

La sentenza n. 173 del 1986628 sulla non previsione di un meccanismo di riliquidazione delle pensioni pari alla dinamica salariale, «non comporta, però, la

627 CANEVARI, F.M.: Costituzione e Protezione Sociale. Il sistema previdenziale nella giurisprudenza

della Corte Costituzionale, Giappichelli, 2007, p. 37, segnala che la sentenza n. 31 del 1986 evita accuratamente ogni riferimento alla norma costituzionale; la scelta trova come una giustificazione nella sostanziale estraneità al criterio indicato di ogni riferimento alla quantità e qualità del lavoro svolto, e del resto l’interesse del singolo all’attribuzione e la conservazione del reddito proporzionato a tale elemento non può assumere la rilevanza pubblica propria della tutela di stati di bisogno ai quali si rivolge la norma costituzionale.

628

LAGALA, C.: La previdenza sociale tra mutualità e solidarietà. Percorsi nel sistema pensionistico e degli aammortizzatori sociali. Caccuci, Bari, 2001, p. 227. Sono scelte, però, che spettano al legislatore il

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necessaria ed integrale coincidenza tra la pensione e l'ultima retribuzione, né un costante adeguamento al mutevole potere di acquisto della moneta, specie per effetto della svalutazione monetaria, ma sussiste una sfera di discrezionalità riservata al legislatore per l'attuazione graduale dei detti precetti».

La sentenza n. 226 del 1993, che rimanda alla sentenza n. 119 del 1992, secondo cui la Corte ha precisato «che i principi di adeguatezza e proporzionalità della pensione

(ex art. 36 Cost.) - pur non comportando "che sia garantita in ogni caso l'integrale corrispondenza fra retribuzione e pensione" - richiedono però una "commisurazione del trattamento di quiescenza al reddito percepito in costanza di rapporto di lavoro"; commisurazione questa che può essere variamente attuata "secondo determinazioni discrezionali del legislatore" e la non vincolatezza del quomodo di tale commisurazione è in fondo conseguenza del bilanciamento complessivo dei valori in gioco che deve operare il legislatore tenendo conto anche della "concreta ed attuale disponibilità delle risorse finanziarie». I principi di adeguatezza e proporzionalità della pensione, se non

sono più idonei a dispiegare un rapporto di implicazione tra la singola pensione e la qualifica di provenienza, richiedono comunque di mantenere un accordo tra la complessiva dinamica retributiva e la dinamica pensionistica, sia pure nell’ambito delle concrete disponibilità finanziare629.

La sentenza n. 180 del 2001 precisa che «il precetto costituzionale esige che il

trattamento previdenziale sia sufficiente ad assicurare le esigenze di vita del lavoratore pensionato; ma nell'attuazione di tale principio al legislatore deve riconoscersi un margine di discrezionalità, anche in relazione alle risorse disponibili, almeno quando non sia in gioco la garanzia delle esigenze minime di protezione della persona».

E come corollario della giurisprudenza più recente, la sentenza n. 208 del 2014 «“il trattamento pensionistico ordinario ha natura di retribuzione differita” (sentenza

n. 116 del 2013). Di conseguenza “dagli articoli 36 e 38 discende il principio che, al pari della retribuzione percepita in costanza del rapporto di lavoro, il trattamento di quiescenza, che della retribuzione costituisce il prolungamento a fini previdenziali, deve essere proporzionato alla qualità e alla quantità del lavoro prestato e deve, in

quale al momento avrebbe optato per «un sistema misto o intermedio» che la Corte accetta, pur «con l’auspicio di una sollecita elaborazione di norme in materia di proporzione tra contribuiti, retribuzione e pensioni».

629

ANDREONI, A.: Lavoro, diritti sociali e sviluppo economico. I percorsi costituzionali, Giappichelli, Torino, 2006, p. 229.

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ogni caso, assicurare al lavoratore e alla sua famiglia i mezzi adeguati alle loro esigenze di vita. Tuttavia, i ricordati principi di proporzionalità e di adeguatezza […] lasciano alla discrezionalità del legislatore la possibilità di apportare correttivi di dettaglio che – senza intaccare i suddetti criteri con riferimento alla disciplina complessiva del trattamento pensionistico – siano giustificati da esigenze meritevoli di considerazione” (sentenza n. 441 del 1993), operando un “bilanciamento del complesso dei valori e degli interessi costituzionali coinvolti, anche in relazione alle risorse finanziarie disponibili e ai mezzi necessari per far fronte agli impegni di spesa” (ordinanze n. 202 del 2006 e n. 531 del 2002)».

Dal canto suo, in Spagna, a differenza dell’Italia, le pronunce sulla sufficienza delle prestazioni non sono state emanate processando direttamente il precetto costituzionale di sufficienza e neanche la sua equiparazione differita con il salario. Al contrario, le occasioni nelle quali la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla sufficienza della prestazione, tale manifestazione è stata negativa e indiretta630, rispetto all’ insufficienza, alla compatibilità, alla pignorabilità e alla possibilità finanziaria.

Anche per quanto riguarda la compatibilità, in questo caso, non tra retribuzioni ma tra pensioni (SOVI, assicurazione obbligatoria per la vecchiaia e l’invalidità), la sentenza C. cost. n. 103 del 1984, dichiara che «la sufficienza delle prestazioni che tali

precetti stabiliscono non esige né mantiene una relazione con la compatibilità che qui si richiede», poiché «il conseguimento della compatibilità o incompatibilità di pensioni dichiarate dalla legge rappresenta una questione di mera legalità, in relazione al fatto che non è nemmeno possibile invocare gli articoli 41 e 50 della Costituzione per ottenere una certa interpretazione», significa che le prestazioni non sono insufficienti

sebbene non siano compatibili tra loro631.

La sentenza C. cost. n. 134 del 1987, sulla pensione massima e la sua rivalutazione, segnala che non si possono qualificare insufficienti le pensioni che nel loro ammontare massimo superino, ampliamente, il minimo delle entrate. In questo senso, il Tribunal Supremo precisa che «l’art. 41, a parte garantire un regime di

sicurezza sociale pubblica, assicura la copertura sufficiente per situazioni di necessità,

630 GARCÍA MURCIA, J.: “El derecho a la Seguridad Social en la jurisprudencia constitucional: una

primera aproximación, VII Jornadas Universitarias Andaluzas de Derecho del Trabajo y Relaciones Laborales, Consejo Andaluz de Relaciones Laborales, Sevilla, 1991, p. 351; SÁNCHEZ URÁN- AZAÑA, Y.: Seguridad Social…op. cit. p. 112. GARCÍA VALVERDE, M.: La cuantía de las prestaciones, op. cit. p. 99.

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in modo particolare in caso di disoccupazione. E già si è detto che non è possibile affermare che pensioni uguali o superiori a 187.950 di pesetas al mese non coprano le situazioni di necessità». Per la Corte Costituzionale spagnola, non si può giudicare

insufficiente l’ammontare della pensione nella misura in cui si intende coperto lo stato di necessità, situato in un livello di indigenza632; situazione che potrebbe collegarsi con i primi giudizi della corte italiana che considerava il trattamento previdenziale adeguato alla stregua di un minimo vitale, in grado di assicurare al lavoratore i mezzi per far fronte alle necessità primarie della vita.

E continua dicendo, in relazione all’art. 50 CS, che «il concetto di “pensione

adeguata” non si può considerare in modo isolato tenendo conto ogni singola pensione, ma deve prendere in considerazione il sistema di pensioni nel suo insieme, senza che si possa prescindere dalle circostanze sociali ed economiche di ogni momento e senza che sia necessario dimenticare che si tratta di amministrare mezzi economici limitati per un gran numero di necessità sociali». Per le prestazioni non contributive, il margine del

legislatore sarà maggiore, poiché in definitiva gli spetta delimitare il livello minimo di entrate determinante la situazione di necessità.

La sentenza C. cost. n. 134 del 1987, sul limite di pignorabilità delle pensioni633,

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