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Francesco Sole è uno degli YouTuber Italiani con più seguito. Attivo già dal 2013 e tornato sotto i riflettori recentemente, nel luglio del 2017, dopo un periodo di silenzio, Gabriele Dotti (Francesco è un nome d’arte) basa la sua attività sulla celebre piattaforma di hosting video sulla produzione di considerazioni rivolte ad un target pre-adolescenziale/adolescenziale riguardanti la vita sentimentale dei giovani e delle giovani di oggi. I suoi video hanno titoli come L’amore ai tempi di

Whatsapp39, Se mi lasci ti cancello (dagli amici) #FACEBOOK 140 o Scusa ma ti

metto “Mi piace” #FACEBOOK 241 e sono connotati da un linguaggio semplice,

ironico, molto diretto e vicino a quello delle giovani generazioni. A suo modo, Francesco Sole è un maestro in quello che fa: attraverso argomentazioni superficiali che spesso abbracciano e danno voce al “luogo comune” ed all’opinione generalmente condivisa dai ragazzi, i suoi video raggiungono spesso condivisioni e numero di visite altissime.

A titolo introduttivo del presente capitolo, che tratta la tematica dell’adolescenza nell’era digitale, ci sembra opportuno citare proprio una delle ultime produzioni dello YouTuber in questione. Sei la mia notifica preferita è una “poesia” tratta dal suo libro di recente pubblicazione Ti voglio bene. #POESIE (Sole, 2017), pubblicizzato con una manovra commerciale davvero scaltra sul suo canale ufficiale. Sorvolando sui toni stucchevoli del video dove compare anche la sua fidanzata Sofia Viscardi – altra YouTuber di tendenza – ecco qui riportato una parte del testo della “poesia”:

39 Link al video dal canale Youtube ufficiale di Francesco Sole: https://www.youtube.com/watch?v=E3UhVEOz034 (consultato l’1 Dicembre 2017)

40 Link al video dal canale Youtube ufficiale di Francesco Sole: https://www.youtube.com/watch?v=PW8FXFlcaSs (consultato l’1 Dicembre 2017)

41 Link al video dal canale Youtube ufficiale di Francesco Sole: https://www.youtube.com/watch?v=Or2_0_78aDU (consultato l’1 Dicembre 2017)

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Siamo sempre più connessi / e meno distanti / anche se a volte quando ceni / non guardi in faccia chi hai davanti / e ti ritrovi da sola / in mezzo alla gente / pensando a chi non c’è / pensando se ti sente

E mentre il mondo balla io rimango fermo / aspettando un messaggio / fissando lo schermo / perdendomi un po’ troppo in una tua vecchia foto / che mi fa stare bene anche se non te lo dico

Nella vita degli altri / non c’è mai uno sbaglio / se fidarsi è bene / ma screenshottare è meglio / sempre tutti pronti a darti un nuovo consiglio / scrivendo cose a caso che non c’entrano il bersaglio

E dicono che / guardo troppo il cellulare ma io guardo te / e cosa vuoi che ti dica / sei la mia notifica preferita

Il brano sopra riportato è stato scelto per dare rilevanza ad un aspetto importante dell’adolescenza e della pre-adolescenza di oggi: la componente digitale data dalle tecnologie mobile. Si tratta di un aspetto talmente presente da passare, nel testo, quasi inosservato, scontato, tale da giustificare scelte retoriche come “sei la mia notifica preferita” o “fidarsi è bene, ma screenshottare42 è meglio”. Altro

elemento di riflessione che viene suggerito analizzando meglio il testo del componimento è l’importanza della dimensione relazionale-affettiva: tutto ruota intorno all’uso del cellulare per avere un contatto con la persona che rappresenta l’oggetto del desiderio. L’autore non fissa semplicemente schermo, sta guardando la persona.

In questo capitolo dunque è affrontato il tema dell’adolescenza cercando di capire con più dettaglio che cosa significa essere adolescenti e pre-adolescenti nell’era digitale, quali problematiche stanno affrontando i ragazzi oggi, che ruolo hanno i contesti di educazione formale, non-formale e informale in questo processo.

42 Screnshottare deriva dalla parola inglese “screen shot” ovvero cattura dello schermo. È

quell’operazione che si compie per scattare una foto dello schermo del cellulare o di altri dispositivi per poter salvarne il contenuto, solitamente immagini o parti di conversazioni di chat. Invece che usare il costrutto “salvare un’immagine dello schermo” si preferisce usare l’abbreviazione “screenshottare”.

89 3.1 – Adolescenza: l’età della transizione

Il concetto di adolescenza e suoi i confini sono stati oggetto di dibattito da molto tempo: psicologi, antropologi, sociologi e medici hanno studiato a lungo e approfonditamente questa fase evolutiva senza però riuscire ad elaborare un discorso dalla conclusione del tutto netta ed uniforme. Si cercherà ora di ripercorrere le tappe principiali di questo “percorso” per poter avere un quadro generale più completo di come il tema dell’adolescenza sia stato considerato nel tempo.

L’ambito della psicologia genetica, di cui Hall fu uno dei massimi esponenti, considera l’adolescenza come un’evoluzione indipendente da variabili ambientali o culturali. Molto peso è riconosciuto al percorso interno che il bambino affronta (fatto di traumi causati dal cambiamento fisico) e che lo porta fino ad avere una maggior consapevolezza di sé (Hall, 1904).

Diametralmente opposto, invece, è il punto di vista offerto da antropologi e sociologi come Mead o Malinowsky i quali hanno riportato, storicamente, il dibattito ad una dimensione che considerasse l’adolescenza come strettamente dipendente da fenomeni socio-culturali piuttosto che da fenomeni biologici (Palmonari, 1991).

Si è giunti in seguito ad una visione più integrata del fenomeno adolescenziale con il contributo, in ambito psicanalitico, di Erik Erikson il quale prende in considerazione l’importanza dello sviluppo pulsionale (in particolar modo delle pulsioni sessuali) dei soggetti in relazione, però, a fattori sociali ed ambientali (Erikson, 1968).

Ancora, nell’ambito della paleobiologia43 si considera l’adolescenza come un

intervallo del ciclo di vita determinato dall’inizio dello sviluppo delle capacità riproduttive e dalla fine della crescita fisica di un soggetto (Stambler, 2017), mentre in ambito biologico si attua una distinzione fra pubertà, che sarebbe riconducibile ad un percorso di sviluppo ormonale che culmina con la maturazione

43 Campo di studi vicino all’archeologia, alla paleontologia e alla biologia che confronta le diverse

specie umane, nel corso della loro evoluzione, attraverso criteri di cambiamento nella struttura scheletrica.

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degli organi sessuali, e adolescenza, che invece sarebbe definita come lo sviluppo cognitivo e la maturazione di comportamenti sociali (Schulz & Sisk, 2006).

La difficoltà di non riuscire a giungere ad una definizione univoca, però, non deve portare a pensare che non vi sia una convergenza di elementi. Gli studiosi sono concordi nell’identificare tre fenomeni che interessano la fase adolescenziale: uno biologico, la pubertà, che ha un suo riconosciuto peso sociale e psicologico; uno cognitivo, dato dallo sviluppo di un pensiero formale sempre più complesso e raffinato; e uno socio-psicologico, dato dall’evoluzione del sé di ogni soggetto (Palmonari, 1991).

Augusto Palmonari considera l’adolescenza come “quella fase dell’esistenza

umana che segna la transizione dall’infanzia allo stato adulto” (Palmonari, 1991)

e la fa coincidere con la fascia d’età compresa fra i 12 e i 18 anni44.

Palmonari individua come inizio della fase adolescenziale il momento in cui un ragazzo o una ragazza incomincia a vivere le prime esperienze psichiche, fisiche ed emozionali legate alla pubertà e, parallelamente, ne identifica la conclusione con il momento in cui il soggetto riesce a stabilire con il mondo che lo circonda rapporti stabili e significativi. Si nota immediatamente un certo grado di indefinitezza nel delineare in maniera esatta quella che è per una persona questa fase di sviluppo: da un lato essa viene fatta incominciare con una manifestazione fisica che interessa in prima istanza il corpo del soggetto, in questo caso la pubertà, e dall’altro, viene fatta terminare col raggiungimento di uno status che interessa principalmente la dimensione relazionale del soggetto, cioè il fatto di stabilire rapporti stabili e significativi con le persone, i gruppi di pari e altri soggetti come istituzioni o altri costrutti sociali che lo circondano. Tale indefinitezza rivela la complessità di questa fase che ogni individuo è chiamato a vivere, la quale è determinata da una serie di fattori che, in maniera sistemica, la definiscono nel

44 Gli anni esatti della fascia d’età che corrisponde all’adolescenza non sono uniformi in tutti gli

studi e le definizioni di essa: ad esempio, secondo Bogin, l’adolescenza inizia a 10 anni per le ragazze e 12 per i maschi, per terminare vicino ai 20 anni (Bogin, 2015). Secondo Blos (1962), invece, l’adolescenza sarebbe divisa in tre fasi: prima adolescenza (11-13 anni), fase intermedia (14-18 anni), e tarda adolescenza (19-21 anni).

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suo inizio, nel suo svolgimento e nella sua conclusione. Inoltre, il professore bolognese, sottolinea come l’adolescenza sia un momento in cui il soggetto compie un importantissimo lavoro cognitivo ed emozionale di negoziazione della propria identità e del proprio modo di rapportarsi con l’altro da sé; lavoro che, è bene ricordare, non assumerà una conformazione definitiva con l’ingresso nell’età adulta ma continuerà a subire continue evoluzioni e ri-negoziazioni.

Se, dunque, l’adolescenza coincide col manifestarsi della pubertà, il suo inizio non è determinato semplicemente dal mutamento biologico connesso ad essa ma, a tale dinamica, si aggiungono anche “esperienze emozionali molto intense” che spingono i soggetti a ricercare una serie di nuovi assetti di equilibrio nel rapporto con sé stessi, con gli adulti di riferimento, con i pari e con le figure circostanti. Questa ricerca di equilibrio è fortemente influenzata anche dal contesto socio- culturale in cui si colloca: le ricerche in campo medico di Tanner sul fenomeno chiamato “tendenza secolare” (Tanner, 1962, 1978), ad esempio, hanno dimostrato come negli ultimi cent’anni si sia assistito ad una maturazione sempre più precoce degli individui, con conseguente anticipazione dell’età della maturazione sessuale degli stessi. Tale visione prende in considerazione anche un fenomeno che interessa in modo particolare i paesi occidentali i quali, forti di un grande sviluppo economico, condizione che porta con sé numerosi aspetti positivi come ad esempio una migliore alimentazione o un’attenzione più efficace al processo fisiologico di crescita dei bambini, ha prodotto nel tempo individui che maturano sempre più precocemente. Il fenomeno porta con sé diverse conseguenze: una fra tutte, il problema dell’integrazione di questi individui nella società. Integrazione che appare sempre più ritardata, soprattutto se si considera l’ingresso dei ragazzi e delle ragazze nel mercato del lavoro, e che causa una dilatazione del tempo in cui i soggetti si ritrovano a non essere ancora investiti dello status di adulti.

Questo prolungamento dell’ingresso nel modo adulto è diventato un fenomeno sempre più frequente sia fra uomini che donne: un recente studio compiuto da Settersen, Furstenberg e Rumbaut, ricercatori dell’Università di Chicago ha evidenziato come, gli adolescenti della seconda metà del XX secolo, diversamente da quelli della prima metà, intraprendono percorsi di studio più lunghi con lo scopo

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di ottenere una migliore preparazione per il mondo del lavoro. Questo comporta che altri tipi di scelte, come lo sposarsi o costruire una famiglia, sono rinviate sempre più nel tempo (Settersen Jr., Fustenberg, & Rumbaut, 2005).

Galimberti, in un passo introduttivo a L’ospite inquietante, saggio sul nichilismo e i giovani, traccia un profilo di questa forma di “dilatazione” dell’età adolescenziale come età del “non-ancora-adulto”. In linea col pensiero di Tanner, il filosofo italiano, sostiene che all’origine di questa deformazione vi siano prevalentemente fattori culturali. Secondo Galimberti, questa tendenza è causata da una società

“che non impiega il massimo della sua forza biologica”, ovvero “quella che i giovani esprimono dai quindici ai trent’anni”, che non fa niente per creare occasioni di

coinvolgimento per quest’ultimi, ma piuttosto che tarpa loro le ali e smorza in essi la speranza di potersi realizzare (Galimberti, 2007, p. 13).

Andando oltre questa visione nichilista della società e dell’adolescenza, che pure è utile per avere un quadro più chiaro del peso che può avere l’influenza socio- culturale su tale periodo di sviluppo, è opportuno volgere l’attenzione a quello che essere adolescenti può significare per i diretti protagonisti di questa fase di transizione delle loro vite.

Quando un soggetto si appresta alla fase di abbandono del suo status di bambino vive una sensazione di struggimento, di sofferenza e di nostalgia per la perdita imminente della spensieratezza della sua condizione. E allo stesso tempo prova rabbia, tensione verso il cambiamento, desiderio di affrettare i tempi e di crescere. Utilizzando le parole della psicoterapeuta Anna Salvo, “ogni ragazzo e ogni

ragazza è, in genere, un soggetto che, da una parte, lotta per conquistare distanza e autonomia e, dall’altra, rimpiange in modo segreto e sotterraneo le sicurezze dell’infanzia” (Iaquinta & Salvo, 2017, p. 20).

Questo struggimento interno, questa lotta alla ricerca di equilibri identitari e relazionali, viene definita dallo psicanalista Dondald Winnicott come “lotta per

consistere”. Ossia come “lotta per instaurare una identità personale, non per adattarsi ad un ruolo assegnato, ma per affrontare tutto quanto deve essere affrontato” (Winnicott, 1961, p. 114). Questa fase si manifesta attraverso continui

conflitti con gli adulti di riferimento, i genitori in primis. L’adolescente ha bisogno di questo conflitto per poter tracciare i confini della propria identità: i genitori e

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gli adulti intorno a lui non devono impedire i tumulti causati da questo stato conflittuale ma, anzi, sono chiamati a resistervi, ad offrire un piano di confronto che sia autentico e che li aiuti a costruire, in maniera dialogica, un modello della loro personalità.

L’identità di questi “soggetti in-itinere” si gioca non solamente nel rapporto con i genitori ma anche con il gruppo dei pari. Tutto il percorso dell’adolescenza è un percorso di “distaccamento” e di ricerca di autonomia: distaccamento dal nucleo familiare e autonomia espressa dal bisogno di cercare relazioni al di fuori di esso, con i propri pari.

Per poter leggere meglio questa tensione, questa “tempesta emotiva”, l’approccio psicoanalitico è senza dubbio uno dei più utili e uno di quelli che ha saputo meglio offrire un punto di vista che gettasse luce su questo “mondo interno” così difficile da interpretare. Erikson elabora un modello dei problemi che i ragazzi e le ragazze in fase adolescenziale debbono affrontare, problemi causati dal fatto che essi – i soggetti – appartengono “a” e vivono “in” un contesto sociale e culturale (Erikson, 1968). Secondo lo studioso, i giovani non sarebbero semplicemente preoccupati ad affrontare i cambiamenti dello sviluppo fisico, fra cui la gestione delle pulsioni sessuali, ma sarebbero preoccupati soprattutto per come i loro pari li vedono e li considerano.

Per un adolescente essere riconosciuto dai propri pari, essere accettato, stringere le prime amicizie e le prime relazioni sentimentali è una vera e propria conquista, poiché significa emanciparsi dal rapporto coi genitori, ed è un fenomeno non estraneo a meccanismi di chiusura (Iaquinta & Salvo, 2017). Entrare in relazione coi pari, entrare in un gruppo, significa condividere con i propri simili, visioni, idee, atteggiamenti, modi di parlare e di vestire. Vuol dire identificarsi con il gruppo e considerarlo come un territorio da difendere (in questo senso la chiusura): questo spazio diviene pertanto luogo di dinamiche “noi-contro-loro”. “Loro”, in questa accezione, può significare gli adulti, i genitori ma anche altri gruppi di pari. Per un ragazzo o una ragazza, far parte di un gruppo è un atto che gli dona forza e sicurezza a fronte di una personalità che ancora non è formata: per questo è così importante, a prescindere che all’interno di esso vi sia una reale comunicazione.

94 3.2 – Essere nativi digitali? È complicato!

Tutte le dinamiche appena esposte sono rese ancora più complesse dall’introduzione, in questo già ampio e colorito quadro, delle tecnologie dell’informazione e della conoscenza, dai nuovi media digitali, dall’uso costante e continuo dei dispositivi mobile e dai social network (Bille, Tagliaferro, Volante, & Pisano, 2015).

Come osserva anche Salvo, molto si gioca sul piano virtuale delle relazioni: “il

gruppo dei pari è un luogo in molti sensi: fisico, quasi geografico (ogni gruppo ha un luogo preciso in cui si incontra); temporale (i componenti si vedono con scadenze quasi rituali); psichico (è una delle componenti principali del sistema identitario); virtuale (i social network rappresentano una nuova modalità di fare gruppo)” (Iaquinta & Salvo, 2017, p. 32).

Gli adolescenti di oggi sono accomunati dal fatto di essere tutti nati in un momento storico che non ha permesso loro di vivere ed esperire direttamente un mondo senza internet e senza i media digitali. Mark Prensky introdusse il concetto di

Digital Natives, in italiano, nativi digitali, nel 2001 per descrivere una certa

categoria di giovani, cresciuti con le nuove tecnologie a loro disposizione, in grado di pensare e processare informazioni in una maniera differente rispetto ai loro predecessori (Prensky, 2001). In questa prima definizione il termine digital native proviene dal concetto di native speaker, ossia madrelingua, e si riallaccia al fatto che una lingua madre si impara e si padroneggia in una maniera differente rispetto ad una lingua straniera. Avere una lingua madre significa pensare, ragionare, sognare – perfino – in quell’idioma e questo influenza inevitabilmente la matrice culturale di un soggetto: seguendo questo parallelismo, un nativo digitale avrebbe quindi una visione della realtà e una cultura fortemente influenzata dai media digitali, sarebbe dunque un native speaker del linguaggio digitale.

Per quanto riguarda i soggetti che fanno parte del resto della popolazione, quella che ha conosciuto un mondo senza tecnologie, essi vengono denominati da Prensky Digital Immigrants, immigrati digitali, in contrapposizione, appunto, al termine “nativi”. Un immigrato digitale sarebbe quindi una persona costretta ad imparare un modo per adattarsi al nuovo ambiente digitale la quale, in un qualche

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modo, manterrà sempre un “accento diverso” che tradirà il fatto del non appartenere pienamente a quella cultura e di avere, anzi, un piede nel passato. Il punto di vista proposto da Prensky ha letteralmente spaccato in due la critica e il dibattito scientifico: se da un lato è stato accolto con entusiasmo e come stimolo per poter avanzare proposte educative sempre più mirate ed efficaci, dall’altro è stato oggetto di numerose critiche (Carr, 2010; Casati, 2013; Spitzer, 2013; Thomas, 2011). Quest’ultime, in particolare, hanno messo in discussione, a ragione, il fatto che essere nativi digitali non significa acquisire automaticamente una piena competenza rispetto all’uso critico e consapevole delle tecnologie, e che l’uso sconsiderato dei media digitali può influire negativamente sul cervello umano portandolo addirittura ad atrofizzarsi.

Anche danah boyd45, esperta di giovani e nuovi media, ha speso parole contro

l’uso del termine di “nativo digitale”, mettendo in guardia dall’uso di metafore semplificatrici che non problematizzano a sufficienza il complesso delle sfide che gli adolescenti sono chiamati ad affrontare in un mondo sempre più connesso (boyd, 2014).

Lo stesso Prensky, accogliendo le critiche che nel corso dei 15 anni successivi gli sono state mosse, è tornato a ragionare sul concetto di nativo digitale rimarcando l’importanza di una distinzione fra digital natives e digital immigrants, spostando il focus da una questione di competenze tecniche ad una questione culturale. Secondo questa visione aggiornata, un immigrato digitale è una persona a cavallo fra due culture, una persona, cioè, che si trova in un contesto tecnologico “nuovo” ma che conserva attitudini legate al suo contesto culturale precedente. Un nativo digitale, invece, non ha altre culture di riferimento che possono influenzare le sue attitudini se non quella in cui è immerso e in cui vive. Per questo motivo un nativo

45 Il nome e cognome della ricercatrice americana è riportato in minuscolo perché la ricercatrice

stessa ha scelto di presentarsi senza lettere maiuscole come forma di protesta verso la tendenza a dare più importanza alla prima persona singolare nella lingua anglofona. Come si può leggere nel suo stesso blog: “I was always bothered by the fact that the first person singular pronoun is

capitalized in english - i always thought it was quite self-righteous. Or, as Douglas Adams noted, ‘Capital letters were always the best way of dealing with things you didn't have a good answer to.’ Ever since i was a kid, i was told that the world does not revolve around me, yet our written culture is telling me something entirely different. Why not capitalize 'we' or 'they'?” (Blog officiale di danah

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digitale si trova più a suo agio (pur non essendo necessariamente più bravo) con le nuove pratiche legate all’uso dei nuovi media.

Per riferirsi a questa categoria generazionale sono state usate diverse denominazioni: generazione google, millennials, generazione hashtag,

screenagers, sono solamente alcune delle terminologie che si possono trovare,

ma, cercando di andare oltre il bisogno di fissare necessariamente un nuovo neologismo che fotografi adeguatamente questo fenomeno, è doveroso mettere

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