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AdWords e accordi di esclusiva che violano la concorrenza

CAPITOLO 5: LE PREOCCUPAZIONI DELLA COMMISSIONE EUROPEA RIGUARDO

1. AdWords e accordi di esclusiva che violano la concorrenza

dominante da parte della Commissione. -4. Proposte di Google per superare i rilievi della Commissione.

1. AdWords e accordi di esclusiva che violano la concorrenza

In questo capitolo si affronteranno le ultime due pratiche commerciali contestate a Google in merito alla pubblicità online. Dopo una descrizione delle caratteristiche della piattaforma AdWords, si cercherà di mettersi nell’ottica della Commissione nella valutazione degli accordi di esclusiva e dei divieti di trasportabilità dei dati AdWords ad altre piattaforme. La conclusione invece è dedicata ad una breve disamina dei rimedi proposti dal colosso americano.

Nonostante alla fine del 1999 Google viaggiasse a circa sette milioni di ricerche al giorno, gli accordi di licenza rimanevano modesti. Qualora il business non fosse riuscito a sostenersi da solo, la società non sarebbe più stata in grado di rendere disponibili agli utenti tutte le informazioni che richiedevano senza ottenere in cambio del denaro.

Brin e Page erano molto diffidenti nei confronti della pubblicità come mezzo di monetizzazione per il loro motore di ricerca: essi temevano infatti di peggiorare la qualità del servizio riempiendo gli utenti di annunci invasivi.

Con il passare dei mesi però i fondatori si erano convinti che per continuare ad offrire gratuitamente i risultati di ricerca avrebbero dovuto trarre profitto da una pubblicità online mirata e non invadente. La società ha definito quindi che, invece di focalizzarsi sulla concessione in licenza del motore di ricerca alle aziende, si sarebbe procurata denaro consentendo agli inserzionisti pubblicitari di raggiungere la loro crescente massa di utenti. A tal proposito un’azienda che catturava l’attenzione dei fondatori, per la semplice ragione che sembrava in grado di guadagnare vendendo pubblicità associate ai risultati di ricerca, era GoTo.com, poi ribattezzata Overture Inc. Anche se la maggior parte dei consumatori non ne aveva mai sentito parlare, Overture forniva la pubblicità che compariva insieme ai risultati su Yahoo, America Online, Earthlink e alcuni degli altri principali siti web. Infatti, in contrasto con

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la reazione di fastidio che i consumatori avevano per finestre pop-up e banner pubblicitari, l’advertising collegata alla ricerca sembrava la moda del momento e stava prendendo sempre più piede.

Google ha dunque deciso di imitare quanto fatto da Overture, utilizzando una strategia semplice quanto efficace: continuare a produrre risultati di ricerca gratuiti facendo utili con la vendita di pubblicità. Così come c’è una distinzione sui giornali tra notizie e pubblicità, Page e Brin hanno pensato di mettere nella pagina dei risultati una linea molto nitida per separare i risultati di ricerca libera dagli annunci commerciali che avrebbero denominato “link sponsorizzati”. Gli annunci sarebbero stati concisi e strutturati visivamente in modo identico: titolo, link e breve descrizione. Inizialmente Google vendeva le inserzioni una alla volta, soprattutto a grandi imprese che potevano permettersi sostanziose campagne pubblicitarie. Tuttavia, facendo ricorso alla propria tecnologia, la società si è presto spostata verso un modello che consentisse agli inserzionisti di acquistare online gli annunci pubblicitari in piena autonomia. Questo metodo abbatteva i costi, apriva il mercato anche ad aziende di medie dimensioni e dava a Google un margine di vantaggio su tutti i servizi concorrenti1.

A coronamento di quanto detto finora, nell’ottobre del 2000 la società ha introdotto per la prima volta il programma pubblicitario AdWords. Pur essendo un nuovo media pubblicitario, nella sua fase iniziale il progetto prendeva a prestito il modello CPM (costo per migliaia di contatti) tipico dei vecchi media. Così come una rete televisiva può sapere quanti milioni di spettatori hanno visto uno spot in trenta secondi, ma non se l’hanno solo guardato o se hanno effettuato un acquisto grazie a esso, gli advertisers pagavano unicamente in base al numero di volte in cui appariva il loro comunicato promozionale. C’era un link con il sito dell’inserzionista che consentiva agli utenti di conoscere meglio il prodotto, ma Google non era retribuito per la sua attivazione.

Verso la fine del 2001 la società, comprendendo la parziale inefficacia dello schema CPM, stava ideando per AdWords un nuovo modello pubblicitario basato sul costo per click (CPC). I fondatori erano sicuri che gli inserzionisti e i siti web avrebbero speso di più per certe parole chiave se avessero potuto prendere come riferimento il suddetto (CPC). In altre parole gli

advertisers pagavano solo se l’utente mostrava abbastanza interesse per un determinato

annuncio pubblicitario cliccando sul link ed effettuando eventualmente un acquisto. Il prezzo

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da corrispondere per la parola chiave e la pubblicazione del banner pubblicitario sarebbe stato determinato attraverso un’asta online2.

Per quanto questo modello fosse innovativo, Page e Brin erano convinti che mancasse ancora qualcosa per avere una versione di AdWords in grado di soddisfare appieno e congiuntamente sia utenti che inserzionisti: al fine di raggiungere tale scopo hanno pensato di combinare il modello del costo per click con la misurazione della rilevanza attribuita dagli stessi utenti all’inserzione pubblicitaria. Gli ingegneri di Google potevano quindi creare un algoritmo per valutare la qualità dei trafiletti promozionali, assumendo che un maggior numero di click indicasse un maggior apprezzamento per i comunicati pubblicitari.

In quel momento il meccanismo d’asta prevedeva che gli inserzionisti pagassero solo un centesimo in più dell’offerta immediatamente più alta e solo se un utente cliccava sull’annuncio; maggiore era il numero di click e più si sarebbe ridotto il costo per ognuno di essi. Grazie a questo sistema automatizzato gli advertisers dovevano solo recapitare a Google le keywords con le relative offerte e il budget mensile che si prefissavano3.

L’anno successivo, seguendo lo stesso principio, la società ha lanciato AdSense. Questo servizio era, e tuttora è, un programma di inserzioni pubblicitarie che permette ai gestori di siti web di riservare, all'interno del proprio sito, spazi di advertising in cui vengono visualizzati gli annunci AdWords4.

E’ proprio per merito di questi due servizi che Google ha brillantemente risolto i problemi di monetizzazione del proprio search engine.

Attualmente, a seguito di numerosi miglioramenti, il meccanismo d’asta utilizzato dai motori di ricerca per determinare la posizione di una specifica inserzione nella pagina dei risultati organici è piuttosto cambiato. Nella contrattazione è rilevante il numero dei partecipanti e il valore che ciascuno di essi attribuisce a una determinata posizione dello slot su cui comparirà l’annuncio. A ciascuna posizione infatti, corrisponde, per ogni parola chiave, un caratteristico click-through-rate (CTR) atteso e stimato dal banditore che lo comunica in anticipo. Per ogni asta organizzata su una distinta keyword digitata dal consumatore per effettuare la ricerca, l’advertiser valuta il costo incrementale per click (ICC) necessario per passare allo slot superiore. Se l’ICC è più basso del valore stimato dall’inserzionista per ottenere quella determinata posizione, questi deve aumentare l’offerta, mentre se l’ICC è maggiore di tale

2 K.AULETTA, Effetto Google - la fine del mondo come lo conosciamo, Milano, Garzanti, 2010, 74 ss.

3 K.AULETTA, (nt 2), 102 ss.

4 Per avere maggiori informazioni riguardo analogie e differenze tra AdWords e AdSense, si rimanda a: Adsense:

cos'è? Che differenze con AdWords?, (luglio 2015), al seguente indirizzo internet:

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valore deve ridurre l’offerta. Per l’inserzionista, il valore di ciascuno slot dipende, più propriamente, dal conversion rate (CVR), ovvero dalla percentuale dei consumatori che, avendo cliccato sull’inserzione, procedono all’acquisto del bene pubblicizzato. Spesso l’advertiser non conosce il CVR del bene che intende pubblicizzare. Prima che la contrattazione abbia luogo, il motore di ricerca gli fornisce di routine le statistiche relative a quella specifica parola chiave e posizione dello slot: CTR, CPC atteso e, nel caso di prodotti o servizi standard, anche il CVR atteso, in modo da consentirgli di partecipare in modo informato e razionale all’asta al secondo miglior prezzo.

Dal punto di vista dell’efficienza allocativa, il meccanismo di contrattazione utilizzato dai motori di ricerca è superiore a quello delle normali aste, perché permette la partecipazione simultanea di inserzionisti con diversa disponibilità a pagare. Infatti ciascuno di questi valuta, per ogni parola chiave, la curva d’offerta corrispondente ai diversi slot di più fornitori di servizi di ricerca, e sceglie slot e fornitore che massimizzano il suo CVR atteso. In tal modo vengono incentivati a partecipare all’asta, e quindi a investire risorse sui media, sia advertisers con limitato budget (come le PMI o le start-up, che verosimilmente sceglieranno slot con un CPC contenuto), sia imprese con elevata capacità d’investimento in pubblicità5.

Ora, entrando nel merito dell’istruttoria aperta dalla Commissione europea nei confronti del colosso americano, l’Autorità di controllo ritiene che la società violi l’art 102 del TFUE attuando accordi che di fatto obbligano i siti web di proprietà di terzi ad ottenere l’integralità o la maggior parte degli annunci pubblicitari attinenti alle ricerche online tramite Google6.

In altre parole Google si offre di pubblicare delle inserzioni nelle pagine dei risultati di ricerca imponendosi, tramite contratti di esclusiva, come unico operatore pubblicitario online e forzando dunque i siti pubblicizzati ad entrare nei propri domini tramite Google. Come conseguenza di questa condotta gli utenti di altri search engine non potranno usufruire degli annunci di tali siti.

Si tratterebbe di una classica violazione della normativa antitrust, tesa a impedire l’ascesa dei concorrenti attraverso il prosciugamento delle fonti di ricavo pubblicitario. Per tale motivo, i ricorrenti di Google sostengono che gran parte del mercato sia stato effettivamente immobilizzato dal colosso di Mountain View, tanto da privarli della possibilità di concludere

5 V.V.COMANDINI, Google e i mercati dei servizi di ricerca su Inernet, in Merc., conc., reg., 2013, 3, 550 ss.

6 Commissione Europea (26/04/2013), Comunicazione della Commissione pubblicata ai sensi dell’articolo 27,

paragrafo 4, del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio relativo al caso AT.39740 — Google, reperibile in internet al seguente indirizzo: http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:52013XC0426(02).

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contratti di intermediazione pubblicitaria con siti web come AOL, Amazon.com, Ask.com e Ask Jeeves7.

Per quanto concerne questa terza pratica commerciale, l’invio da parte della Commissione di una Comunicazione degli addebiti nel luglio 2016 ha costituito un significativo campanello d’allarme in merito alla gravità del comportamento del colosso statunitense. Attualmente le indagini dell’Autorità sono ancora aperte, ma a prescindere dall’esito della vicenda si può affermare con certezza che Google abbia avuto il merito di rendere il business della pubblicità online misurabile ed efficiente.