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Aggiunta di fillers reattivi ai polimeri preceramici

La conversione da polimero a ceramico è una fase cruciale di tutta la lavorazione dei polimeri preceramici, effettuata molto spesso sopra ai 400 °C in atmosfera selezionata (inerte o reattiva, ossidante o non ossidante).

Un inconveniente caratteristico della tecnologia PDC è lo scarso controllo di ritiro e integrità strutturale dei prodotti della trasformazione. Essa implica l'eliminazione delle frazioni organiche tipiche di un polimero (per esempio gruppi metilici o fenilici attaccati agli atomi di Si), con significativo rilascio di gas (in forma di metano, benzene ed idrogeno) e conseguente ritiro geometrico (la densità va da ~0,8-1,2 g/cm3, valori tipici per un polimero, a ~2,2 g/cm3, un valore standard per la ceramica amorfa a base di silicio) [11]. Il rilascio di gas porta non solo alla formazione di indesiderata/incontrollata porosità, ma provoca anche una fessurazione consistente di pezzi monolitici.23,24 Invece, pezzi di piccole dimensioni, tipicamente inferiori a poche centinaia di micrometri (ad esempio, fibre, rivestimenti o componenti altamente porosi, schiume a celle aperte), rappresentano una notevole eccezione, a causa del breve percorso di diffusione per i gas generati.25

Questi difetti derivano dal fatto che, durante la pirolisi, tutte le tensioni legate al ritiro, al rilascio dei prodotti gassosi e ai riarrangiamenti strutturali non possono essere alleggeriti dal flusso viscoso o da altri meccanismi. Parte della porosità può essere solamente eliminata a temperature più elevate (porosità "transitoria").

Come diretta conseguenza, negli ultimi anni si è cercato con grande sforzo di sviluppare metodi per eliminare, o almeno limitare, il ritiro del materiale e la generazione di crepe. [13] Inizialmente, come una soluzione è stata proposta la pressatura a caldo di materiali pre-pirolizzati 26 e di recente, la tecnica spark plasma sintering (SPS) è stata utilizzata con successo per produrre componenti nanostrutturati densi. 27,28

Sebbene abbia avuto successo, lo stampaggio a caldo deve essere impiegato su polveri di PDC che siano almeno già parzialmente pirolizzate, in quanto la generazione di gas di decomposizione durante la pressatura creerebbe problemi per l'apparecchiatura.

Il lavoro pionieristico di Greil 22, 24, 29 , 30 ha fornito una soluzione fondamentale per l'ottenimento di monoliti, quasi densi (porosità in genere inferiore al 15% in volume), senza cricche, con un singolo processo di ceramizzazione, sulla base di una più o meno marcata modifica chimica del processo PDC. Egli ha dimostrato, in particolare, l'impatto di due tipi di additivi solidi, o cariche, quelli passivi o inerti, e quelli attivi. [10]

Tali fillers possono essere di varia natura (polimerica, metallica, ceramica), forma (particelle equiassiche, grani allungati, whiskers, piastrine, nanotubi, fibre tritate/lunghe/nanometriche) e dimensione (da nanoparticelle a fibre di diversi centimetri).

Il contenuto di fillers introdotti è un'altra variabile: essi possono essere aggiunti in piccole quantità o possono anche costituire la maggioranza del volume (in questo caso il precursore polimerico agisce come legante) permettendo di ottenere alte densità. In ogni caso, l'introduzione di cariche modifica le proprietà finali del componente ceramico, che diventa, in pratica, un materiale composito costituito da una fase derivata dalla pirolisi del polimero preceramico ed una o più fasi secondarie collegate all’incorporazione delle cariche stesse. [13]

2.2.1 Fillers passivi

Fillers passivi o inerti sono polveri ceramiche che non reagiscono con il residuo ceramico

proveniente dal polimero preceramico, con i gas di decomposizione o con l'atmosfera. Tali riempitivi, come si può notare nella Figura 2.3, diluiscono semplicemente il polimero preceramico, andando quindi a diminuire la quantità di gas generato e il ritiro volumetrico associato, riducendo la probabilità di formare cricche macroscopiche durante la lavorazione. Il ceramico finale ha una chimica modificata, nel senso che la matrice polimerica che ne deriva è accompagnata da fasi secondarie. [10] Tipici esempi di cariche passive sono polveri di SiC o Si3N4, ma sono stati utilizzate anche polveri di Al2O3, B4C e BN.

Figura 2.3 Riduzione del ritiro di un componente bulk prodotto tramite tecnica PDCs

Infine si può affermare che l'introduzione di fillers passivi può anche rappresentare un modo per abbassare il costo globale del prodotto ceramico finale.

2.2.2 Fillers attivi

Il Prof. Peter Greil e al. denominarono "attivi" riempitivi specifici, soprattutto (ma non solo) metalli e composti intermetallici, poiché reagiscono, durante la pirolisi, con i gas di decomposizione generati durante il riscaldamento, con l'atmosfera o (meno frequentemente) con il residuo ceramico dal polimero preceramico. Le cariche sono normalmente abbastanza grossolane, al massimo della dimensione dei micron, per motivi di gestione e sicurezza, come particelle metalliche molto piccole possono esibire piroforicità. Prodotti tipici delle reazioni chimiche sono carburi, nitruri o siliciuri, con un impatto significativo sul ritiro generale. Infatti, la trasformazione metallo-ceramico avviene generalmente con un’espansione grande di volume, a causa di una forte diminuzione di densità, che compensa la contrazione associata alla conversione di polimeri in ceramico. [10] La Figura 2.4 offre un esempio dell’azione dei fillers attivi.

Figura 2.4 Variazione lineare delle dimensioni di una miscela polisilossano/40 vol% boro

pirolizzata a 1480 °C in N2, in funzione del tempo di reazione del filler. [13]

Specialmente quando si lavora con cariche attive, la scelta dei polimeri e la combinazione polimero/riempitivo non può essere arbitraria, ma deve basarsi su criteri termodinamici di stabilità, caratteristiche di espansione dei fillers e studio delle reazioni cinetiche (es. la formazione e l'eliminazione, in funzione della temperatura, della porosità aperta transitoria che governa il trasporto del materiale e il processo di reazione delle particelle di carica). Sebbene l'uso della pirolisi controllata di polimeri preceramici con fillers attivi abbia dimostrato di essere estremamente efficace nel ridurre la quantità totale di porosità nei

ceramici finali, con conseguenti migliorate proprietà meccaniche, va detto che questa tecnica richiede un controllo estremamente preciso di tutte le condizioni di pirolisi, così come delle caratteristiche delle materie prime. Modelli teorici sono stati creati per una scelta a priori delle condizioni di lavorazione e delle caratteristiche dei riempitivi, ma piccole variazioni dell’ambiente di trattamento delle particelle, della distribuzione delle particelle e delle proprietà fisiche delle stesse possono portare a significative variazioni nella cinetica di reazione.

Per questi motivi, una procedura sperimentale per tentativi è ancora generalmente necessaria per ottimizzare le proprietà finali dei materiali prodotti secondo processo PDC. [13]