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Alëša: “Su andiamo! Ecco e camminiamo così, tenendoci per mano”

Nel documento L'immagine di Cristo in Dostoevskij (pagine 122-125)

Capitolo 5: I fratelli Karamazov, ovvero, Cristo e la comunità

3. Alëša: “Su andiamo! Ecco e camminiamo così, tenendoci per mano”

La vicenda di Dmitrij si intreccia con quella di Iljuša, figlio di Snegirëv, un capitano a riposo. Il padre di Iljuša è in stato di indigenza, in una bettola dove sta per concludere un affare, offende la Grùšen’ka, Dmitrij lo sente e lo sfida a duello, ma in questo momento sopraggiunge il ragazzo con i propri compagni di scuola. Vedendo il padre umiliato, Iljuša si sente impotente. I compagni stessi lo deridono e il bambino sviluppa una tale forma di odio tale da isolarsi dai compagni. Solo e umiliato, Iljuša è innocente ma paga le colpe di tutti. Nei confronti di Iljuša tutti sono colpevoli: i compagni che non hanno la misericordia di evitare un’umiliazione gratuita pretendono di essere sinceri, Dmitrij è colpevole per offendere il capitano Snegirëv davanti al figlio (del resto come può immaginare Dmitrij, che non conosce l’affetto paterno, quali siano i sentimenti che Iljuša prova per suo padre?) sono colpevoli anche Katerina Ivànovna e Alëša Karamazov che cercano, in buona fede, di offrire duecento rubli a Snegirëv, che però ha l’orgoglio di non volersi vendere.

Molti sono anche i colpevoli del delitto: chi è il vero assassino di Fëdor Pavlovič? La stessa Grùšen’ka si sentirà colpevole di questo delitto, alle guardie che vengono a prendere Dmitrij ella griderà: “sono io la colpevole, maledetta me!”227

. Ivàn non è forse colpevole della morte di Smerdjakov oltre che di quella del padre?

Consumato dalla malattia, Iljuša muore, ma al suo capezzale si riconcilia con i compagni. È una scena commovente in cui i bambini- uomini si sforzano di recuperare il rapporto con lo sfortunato compagno parlando della fondazione di Troia e del nuovo cagnolino di Iljuša. Giunge il dottore e rivela che per il piccolo malato non ci sono più speranze. Riconciliato col mondo, Iljuša dice a suo padre:

Babbo non piangere… E quando sarò morto, prenditi un bravo ragazzo, un altro ragazzo… sceglilo fra tutti loro, uno bravo, lo chiamerai Iljuša e vorrai bene a lui al posto mio […] E a me babbo, non dimenticarmi mai – continuò Iljuša – vieni sulla mia tomba… Senti, babbo, sotterrami accanto a quella grossa pietra, dove andavamo sempre a passeggiare noi due, e

226 I fratelli Karamazov, pag. 1042 227 Ivi, pag.611

123 porta con te anche Krasotkin, la sera … E Perezvòn … Io vi

aspetterò … Babbo, babbo!228.

La colpa rende l’uomo un soggetto in grado di sentire il peso della propria responsabilità, ma con il perdono che viene dagli altri l’uomo ha la possibilità di superare la colpa e di costituire la società, appunto rimettendosi alla libertà. La libertà assoluta del Grande Inquisitore è resa senza senso dalla solitudine, solo quella libertà che riconosce l’alterità e se ne fa carico attraverso l’amore è in grado di essere significativa per la vita dell’uomo nella comunità. Iljuša è per i suo compagni il granello di frumento che muore per produrre frutto. Dostoevskij scrive nella lettera a Nikolaj Alekseevič Ljubimov del 29 aprile 1880 che nei «funerali di Iljuša […] si rifletterà il senso di tutto il romanzo»229. Il giorno del funerale il padre, Snegirëv, è accompagnato da Alëša e da tutti i giovani amici di Iljuša. Dal cuore della tristezza di questa situazione la speranza risorge grazie agli amici di Iljuša che, guidati da Alëša, possono iniziare a scoprire il senso della vita e della morte, ma soprattutto il valore del ricordo dei compagni. Dice Alëša:

Signori, presto ci separeremo. Stringiamo un patto qui, presso il macigno di Iljuša: che non ci dimenticheremo prima di tutto di Iljušecka, e poi l’uno dell’altro […]. In nessun caso dobbiamo dimenticare di come siamo stati bene un tempo qui, tutti insieme, uniti da un sentimento così nobile e buono, che ha reso anche noi, per il periodo in cui abbiamo amato il povero ragazzo, migliori forse di quello che siamo in realtà230.

I ragazzi accolgono con entusiasmo il discorso di Aleksej e la sua esortazione all’amore. Simonetta Salvestroni paragona il discorso di Alëša al commiato di Cristo del Vangelo di Giovanni231: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati» (Gv 15.12). L’amore ha come esito essenziale l’unità. Alëša richiama i suoi amici a restare saldi nell’unità, nonostante li separi la lontananza fisica. L’ultima parola di Cristo è proprio l’unità, per la quale Egli ha pregato e sofferto:

Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.

228

I fratelli Karamazov, pag. 752

229 F.M. Dostoevskij, lettere sulla creatività,pag. 159 230 I fratelli Karamazov, pag. 1040

124 E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano

come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me […] perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro. (Gv. 17.21- 26)

L’esortazione di Cristo è il messaggio essenziale che Alëša lascia ai suoi giovani amici: «voi, ora, siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia»342. L’ultima parola non è la morte ma la risurrezione, anche ne I fratelli Karamazov. Kolja, il più legato ad Alëša,

chiede a quest’ultimo:

«È vero che la religione dice che noi tutti risorgeremo dai morti e torneremo a vivere e ci rivedremo l’un l’altro, tutti, anche Iljušcka?»

«Senza dubbio risorgeremo, senza dubbio ci rivedremo e in gioia e letizia ci racconteremo l’un l’altro tutto il nostro passato», rispose Alëša sorridente ed estasiato.

«Ah, come sarà bello!», sfuggì a Kolja232.

Così si ricongiunge l’epigrafe al romanzo e ala conclusione. L’amore e la bellezza raggiungono la loro stabilità nella dimensione dell’eterno, ma già in questa vita l’uomo può iniziare a sperimentarle. La gioia e l’amore sono realtà di questa terra, benché l’uomo le viva in maniera limitata. Nell’eternità l’uomo si compie in maniera stabile e definitiva «Se Dio esiste, allora anch’io sono immortale!»233

, afferma Stepan Trofimovič ne I demoni. L’epilogo dell’opera apre a un’esistenza nella quale tutto può essere salvato e gli amici potranno incontrare nuovamente Iljuša e fare festa con lui.

232 Ivi, pag. 1041 233 I demoni, pag.708

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Bibliografia

Nel documento L'immagine di Cristo in Dostoevskij (pagine 122-125)

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