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2.1. La tesi antisociale nella teoria queer

2.1.3. Alcune considerazioni sulle teorie queer antisociali

Le teorie queer antisociali – e in particolare la formulazione edelmaniana – hanno attirato su di sé non poche critiche da parte di teoriche e studiose afferenti all’ambito degli studi queer stessi: sono fatti oggetto di rimprovero soprattutto la presunta noncuranza rispetto ai vissuti reali e alle esigenze materiali delle persone LGBTI*, l’eccessiva astrattezza teoretico-politica e l’archivio limitato cui fanno riferimento. Non mi soffermerò a lungo su quest’ultima critica, avanzata da Judith “Jack” Halberstam in occasione della già citata416 conferenza sulla svolta antisociale,417 perché credo che una

possibile risposta si trovi già nelle parole di Leo Bersani quando insiste, nel prologo di

Homos, sul proprio particolare posizionamento in quanto uomo gay bianco e

relativamente benestante e su come questo non escluda la possibilità di un approccio intersezionale alle tematiche da lui trattate;418 inoltre ritengo che l’esposizione

edelmaniana dei concetti di queerness e di sinthomosessualità419 si presti – ancor più 413 Ibidem (trad. mia).

414 «Sinthomosexuality […] offers us fantasy turned inside out, the seams of its costume exposing reality’s seamlessness as mere seeming, the fraying knots that hold each sequin in place now usurping that place» (ivi, p.35 [corsivo mio]).

415 Ivi, p. 31 (trad. mia). 416 V. supra, nota 246.

417 «The real problem, to my mind, with antisocial turn in queer theory has […] more to do with excessively small archive that represents queer negativity. The gay male archive coincides with the canonical archive and narrows it down to a select group of antisocial queer aesthetes and camp icons and texts» (Halberstam, J. in Caserio, R.L., Dean, T., Edelman, L., Halberstam, J., e Muñoz, J.E., 2006, p. 824).

418 Cfr. Bersani, L., 1996, p. 8 sgg.

419 «Queerness can never define an identity; it can only ever disturb one» (Edelman, L., 2004, p. 17); «as 96

marcatamente rispetto alle teorizzazioni di Bersani – a essere declinata in molteplici direzioni, lasciando dunque il proprio archivio di riferimento aperto ad ampliamenti e contaminazioni.420

Per quanto riguarda la prima obiezione, pur riconoscendo il valore dell’attivismo LGBTI* nell’essere riuscito – in alcuni contesti geopolitici e socio-culturali – a migliorare almeno in parte le condizioni esistenziali delle soggettività marginalizzate dal sistema eterosessista, credo che le teorie queer antisociali rivestano un’importanza fondamentale nel mettere in guardia rispetto alle derive assimilazioniste di certo movimentismo LGBT: infatti, se una strategia di integrazione all’interno della società costituita può rispondere alle esigenze di alcune, mi pare tuttavia fondamentale che le teorie queer insistano sull’importanza di radicalizzare le istanze politiche della loro controparte movimentista; inoltre, i gruppi politici LGBT “mainstream”, tendendo spesso ad appiattire il soggetto delle proprie rivendicazioni su una identità che è sì più o meno “deviante” dal punto di vista sessuale o di genere, ma che il più delle volte accede al privilegio della “bianchezza”421 e/o di un relativo benessere economico, rischiano di

dimenticare le esigenze di quelle soggettività che di fatto risentono in maniera più forte dell’eteronormatività egemone. Ritengo dunque che le teorie queer antisociali siano in grado di assumere il ruolo di altrettanti campanelli di allarme, per così dire, pronti a segnalare le ambiguità che insidiano alcune pratiche promosse dai movimenti LGBT, soprattutto in quanto denunciano il rischio – più che mai concreto – che la resistenza queer all’eteronormatività egemone venga da quest’ultima recuperata e neutralizzata. my insistent refusal of identity politics should be taken to suggest, the sinthomosexual has no privileged relation to any sex or sexuality» (ivi, p. 165, nota 10).

420 Cfr. ibidem. Non a caso – come già accennato nel paragrafo precedente – l’autore sottolinea a più riprese che gli esempi letterari e cinematografici da lui addotti non sono da leggersi come simboli del desiderio omosessuale (cfr. ivi, p. 43 e p. 132).

421 Mi riferisco a ciò che nei contesti anglosassoni è indicato con l’espressione “white privilege”, cioè quell’insieme di «vantaggi sociali, benefici e cortesie che derivano dall’appartenenza alla razza dominante» (Delgado, R. e Stefancic, J., 2001, p. 78 [trad. mia]).

Nello specifico, per esempio, mi sembra interessante la parte del primo capitolo di

Homos in cui Bersani mette sotto accusa le politiche basate sulla visibilità

sottolineandone gli effetti normativi («dal momento in cui abbiamo accettato di essere viste, abbiamo anche accettato di essere sorvegliate»);422 altrettanto – e forse ancor più –

significativa da un punto di vista politico è a mio avviso la disamina bersaniana de Les

Bonnes, già trattata nel paragrafo dedicato a Homos.423

Se dunque è vero che le teorizzazioni queer antisociali non si fanno portatrici di un’agenda politica concreta in senso tradizionale, bisogna riconoscere che esse non mancano di sollevare questioni di interesse politico; inoltre, si deve considerare anche che la tesi antisociale rifiuta tale concretezza programmaticamente, in quanto – parafrasando Noreen Giffney424 – essa costituisce una meditazione non tanto sulle

possibilità insite nella queerness quanto su una serie di impossibilità, e in particolare: the impossibility of exercising agency if one partakes of a system steeped in reproductive futurism which permeates all social, political and cultural structures […] [and] the impossibility of launching a queer political resistance to heteronormativity without its being recuperated and neutralised by reproductive futurism in the process and put into the service of heteronormativity.425

Potrebbe essere interessante, tutt’al più, esplorare il rapporto tra questo rifiuto programmatico e quei risvolti politici (tutt’altro che accidentali), soprattutto per quanto riguarda l’opera di Bersani che – nonostante l’aperta ricusazione del valore assolutamente positivo comunemente attribuito alla relazionalità e al concetto di comunità per come li conosciamo – sembra prefigurarsi comunque una sorta di futuro

422 Bersani, L., 1996, p. 12 (trad. mia); cfr. anche ivi, p. 11 sgg. 423 Cfr. supra, p. 83 sgg.

424 Cfr. Giffney, N., 2008, p. 63; l’osservazione di Giffney si riferisce specificamente a No Future, ma mi pare – almeno per quanto riguarda due delle quattro impossibilità rilevate dalla studiosa irlandese (cioè quelle riportate nelle righe seguenti) – che si possa estendere alla tesi antisociale nel suo insieme.

425 Ibidem.

post-apocalittico in cui sarà forse possibile inaugurare forme di coesistenza finalmente libere da quelle strutture oppressive che caratterizzano il mondo sociale dato.426 Sotto

questo riguardo Edelman risulta senz’altro più coerente, mobilitando una forma di edonismo nichilista che – come afferma egli stesso a proposito della queerness – «non promette […] assolutamente nulla».427

2.2. La negatività queer applicata all’immaginario