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LA COMUNITA’ ITALIANA ALL’ESTERO: UN PROBLEMA DI DEFINIZIONE

TOTALE 58.509.526 Queste cifre se confrontate con quelle pubblicate nel Dossier Caritas del 2005, confermano la

5. ALCUNE RIFLESSION

La lunga e complessa storia dell’emigrazione italiana, qui solamente tratteggiata mette in luce alcuni aspetti che mi sembrano particolarmente significativi per tracciare il profilo degli italiani all’estero. Il primo si riferisce all’arco temporale ricoperto dal fenomeno migratorio italiano. Come abbiamo visto esso ha attraversato tutta la storia italiana almeno nei primi 100 anni dalla sua unificazione.

Il secondo riguarda la regionalità dell’emigrazione. Contrariamente a quanto si pensa, questo fenomeno ha riguardato tutte le regioni d’Italia (TAB.4). Anche se i dati statistici dimostrano che l’emigrazione all’oggi conta un maggior numero d’espatri dalle regioni del sud, non bisogna dimenticare che soprattutto a cavallo del XX secolo e fino alla prima guerra mondiale chi emigrava erano soprattutto italiani provenienti dalle regioni del nord.

TAB. 4. AIRE Statistica per regione di provenienza sugli italiani residenti all’estero (2004) Valori percentuali96.

96

Il terzo elemento d’interesse, è rappresentato dal fenomeno del pendolarismo che caratterizza tutta la storia della nostra emigrazione. Con le ovvie differenze in relazione alla distanza dei Paesi d’accoglienza, l’emigrazione italiana è stata caratterizzata da forti movimenti di partenze e ritorni, ed eventualmente ulteriori partenze.

Alla luce di ciò il tentativo di identificare gli “italiani all’estero” come una categoria di persone omogenea alla quale poter “dare una definizione”, ci impone una riflessione sulla facilità con la quale abitualmente pecchiamo di superficiali generalizzazioni. Il “paesaggio migratorio italiano”, appare, infatti, non di facile lettura e difficilmente inscrivibile tout a court nella categoria “italiani all’estero” perché si riferisce a milioni individui con un denominatore comune, l’origine italiana, ma un ventaglio molto ampio di innesti diversi che nel corso del tempo vi si sono intrecciati, talvolta sovrapposti, sul piano etnico. “Girando per il mondo, si coglie con facilità il fatto che gli oriundi sono spesso il risultato di ascendenze multiple abbastanza diversificate: per farci capire, la maggior parte degli oriundi annovera solo un ascendente, nonno o bisnonno, italiano, mentre gli altri possono essere di volta in volta, di origine anglosassone, germanica, celtica, slava, ispanica, basca, portoghese, fino alla cinese, giapponese, meticcia, gaucha, indio guarani, nero-africana, araba o addirittura aborigena”.Questi oriundi possono a buon titolo definirsi di origine italiana, come di ogni altra etnia che ha contribuito a farli venire al mondo. Questo dato, difficile da quantificare percentualmente, quando fosse definitivamente compreso, […] ci costringe considerare anche l’opzionalità e volontarietà della scelta identitaria: non si è italiani nel mondo per ragioni di sangue ma perché si sceglie di considerarsi tali, in risposta ad esigenze culturali e politiche personali.“97.

Emerge dunque un altro elemento, di carattere geografico, che mette in relazione le singolari storie di emigrazione con il Paese di accoglienza. Gli italiani all’estero hanno dovuto negoziare la loro identità di appartenenza anche attraverso il rapporto con il Paese di emigrazione e questo ha sviluppato, nel corso del tempo a comunità molto differenti tra loro. Un esempio significativo ci viene dalla realtà dell’associazionismo italiano negli Stati Uniti dove, anche oggi, “si ha la sensazione che sia in atto un processo di specializzazione funzionale delle associazioni di origine italiana, in cui le tradizionali spinte aggregative (soprattutto assistenziali e ricreative) dei decenni precedenti, lasciano il posto a nuove esigenze: rappresentanza politica al modello di lobbying tipicamente statunitense”98 Numerose sono, infatti, le Associazioni studentesche

italo-americane che si costituiscono in base ad una determinata appartenenza professionale e che hanno un proprio specifico ruolo sociale nella tutela degli interessi della categoria professionale nel paese di accoglienza.

97 http://www.mclink.it/com/inform/art/art_01/01n129a1.htm 98

A complessificare la riflessione su quella che possiamo definire come “l’appartenenza identitaria” degli “italiani nel mondo”, c’è chi sostiene, come Gabaccia (2003), che soltanto negli ultimi decenni si può parlare di emigranti provenienti dall’Italia, uniti dunque da un senso di identità nazionale. L’italianità, come di denominatore comune tra gli emigrati non è mai esistito, nemmeno durante le grandi migrazioni del secolo scorso, tanto che la nostra emigrazione raramente ha creato una diaspora nazionale omogenea e compatta ma al contrario, è stata foriera di molte diaspore temporanee e mutevoli. “Vi sono state diaspore di mercanti, spazzacamini e suonatori di organetto di Barbiera provenienti da specifiche città italiane, e vi sono state diaspore d’anarchici che parlavano italiano e di fascisti mussoliniani”.99 Quando si parla di

“comunità italiana” all’estero, è difficile dunque parlarne al singolare.

Chi sono allora gli italiani all’estero? Per tentare una semplificazione potremmo considerare solo quella minoranza che possiede la cittadinanza italiana e che almeno ufficialmente può essere effettivamente definita come “italiani all’estero”. In questo caso considereremo allora i 3 milioni di persone residenti all’estero e i discendenti degli italiani emigrati (di solito di 1 o 2 generazione) che hanno richiesto e ottenuto per i propri figli il riconoscimento della cittadinanza italiana. Ma anche il criterio di inclusione/esclusione basato sul possesso del passaporto rischia di ridursi ad un parametro semplicemente numerico, (e dunque, a mio parere poco significativo) per definire, gli “ italiani all’estero” se si considera che fra i detentori della cittadinanza italiana ci sono persone emigrate 50 o 60 anni fa, altre (forse la maggioranza) nate e cresciute nel Paese di accoglienza e che dunque non hanno vissuto (come i propri predecessori) lo sradicamento dalla terra d’origine; ed altre ancora che invece sono partite dalla Penisola solo di recente “seguendo le rotte della società globale e della “nuova economia” con prospettive molto diverse da quelle degli emigranti immiseriti, che sbarcavano quasi come dei profughi ad Ellis Island o che erano “venduti per un sacco di carbone” nelle tante Martinelle dell’Europa industrializzata all’indomani del secondo conflitto mondiale”.100

Questa differenza appare molto chiaramente anche nella definizione stessa di migrante (italiano). Se nel 1914 la Direzione generale della statistica definisce gli emigranti come "quei cittadini che, viaggiando in terza classe o in classe equiparata alla terza, si recano in Paesi posti al di là dello Stretto di Gibilterra e al di là del Canale di Suez" oggi, alle porte del terzo millennio, si parla di “fuga di cervelli” o di ”emigrazione tecnologica” riferendosi a quei i professionisti o lavoratori specializzati che vanno a vivere nei Paesi stranieri portando il loro know how fuori dai confini territoriali per aziende italiane o anche per multinazionali estere. Ne sono un

99 Gabaccia D., Emigranti, le diaspore degli italiani dal Medioevo a oggi, Einaudi, Torino, 2003 100

esempio calzante i numerosi ricercatori italiani che lavorano all'estero e i numerosi giovani che passano fuori dall'Italia periodi mediamente lunghi per studiare e specializzarsi101.

Nemmeno i giovani neo-emigrati e i figli degli emigranti rappresentano una categoria omogenea e compatta capace di racchiudere in sé, elementi peculiari degli italiani all’estero, non fosse altro perché hanno di base un elemento di distinzione significativo. Se, infatti, i primi hanno intrapreso la via del distacco dal paese natale, compiendo in prima persona questa scelta cruciale, i secondi si trovano invece all’estero soltanto perché qualcuno dei loro familiari ha optato, in passato, per l’espatrio.Questa distinzione mette in luce due differenti relazioni con la dinamica migratoria e con il legame verso il paese origine. Mentre nel primo caso, infatti, si rivivono le tappe rituali della dislocazione da un luogo all’altro (la partenza, l’arrivo, l’ambientazione e l’eventuale incorporazione nel paese ospite) nel secondo caso l’esperienza migratoria è mediata e trasmessa dalla famiglia di provenienzae lascia spazio ad un significativo attaccamento al territorio regionale, all’urgenza di mantenere vive le sue precise caratteristiche culturali, (oggi spesso dimenticate dagli stessi corregionali residenti in Italia), e ad un profondo interesse per la ricerca delle proprie origini.102.

Quando ci riferiamo agli “italiani nel mondo”, stiamo dunque parlando di una multiforme e variegata realtà difficilmente riconducibile ad un’unità. Una realtà, non dimentichiamo, ancora non precisamente identificata a livello numerico.

101 Cfr. Dossier Caritas, 2006, Op.cit 102

Capitolo 3