3. Alcuni rilievi critici contro la bioetica
In realtà, a partire dall’inizio degli anni 2000, diversi autori hanno messo in luce che la bioetica starebbe vivendo un momento di
impasse. Per Albert Jonsen i giorni in cui questa disciplina si
distingueva per gli stimoli intellettuali e il coraggio morale delle battaglie contro il paternalismo medico e in difesa dell’autonomia decisionale dei pazienti sarebbero giunti al capolinea. Al posto delle «formidabili questioni del passato» (se
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L’idea della bioetica come disciplina eminentemente filosofica viene proposta da vari autori [cfr. J.J. Ferrer, La Bioética como quehacer filosófico in «Acta Bioethica», 15, 1, 2009, pp. 35‐41; E. Sgreccia, Manuale di bioetica, cit., p. 102; M. Schiavone, Statuto epistemologico della bioetica e obiettivi
didattici, in P. Cattorini (a cura di), Insegnare l’etica medica. Obiettivi e metodi di valutazione dell’apprendimento, FrancoAngeli, Milano 1999, p. 49].
26 Non va dimenticato qui, ad esempio, che all’inizio degli anni ’90 è nata la biogiuridica come ulteriore campo di indagine connesso alla bioetica. E, ancora, non va dimenticato che la stessa etica medica, per quanto distinta, sotto il profilo disciplinare dalla bioetica, ha con quest’ultima connessioni rilevanti.
condurre o meno forme di sperimentazione sui bambini, se razionare la dialisi o sospendere la ventilazione artificiale) saremmo ora di fronte a un sapere freddo e distaccato che si interroga, in modo burocratico, su problemi di principio, rapporto norme‐casi particolari, etc. Saremmo, in altri termini, di fronte a una disciplina autoreferenziale e di corto respiro. Il decano dei bioeticisti statunitensi in Why has bioethics become so boring? invita, quindi, i colleghi a uscire dalle strettoie nelle quali il dibattito si è rinchiuso e, al contrario, rivolgere la propria attenzione agli sviluppi più recenti della scienza, agli studi evoluzionistici ed ecologici e lavorare, quindi, sulla base di un’idea di etica più calata nella realtà delle scienze empiriche della vita.
Secondo Jonathan Baron, invece, alla bioetica sarebbe imputabile la creazione di un sistema decisionale che favorirebbe, di fatto, scelte irragionevoli. Nel libro Against Bioethics, egli sostiene che la bioetica non sarebbe affatto riuscita a limitare gli abusi della ricerca e della pratica medica. Al contrario, essa avrebbe fornito argomenti (come il principio di precauzione o lo slippery
slope argument) impiegati, poi, dalla politica per rallentare o bloccare la ricerca scientifica (ad esempio la sperimentazione
sulle cellule staminali embrionali). I bioeticisti, in tal senso, sarebbero diventati dei preti secolari «a cui i governi e le istituzioni guardano come a delle guide morali»27.
Su posizioni simili lo psicologo canadese Steven Pinker, il quale scrive che
una disciplina bioetica autenticamente etica non dovrebbe mettere i bastoni tra le ruote alla ricerca attraverso la promozione di moratorie o minacce basate su principi accattivanti ma essenzialmente nebulosi come dignità, sacralità o giustizia sociale. Né dovrebbe contrastare la ricerca che è capace di dare benefici all’umanità nell’immediato o nel futuro prossimo seminando paure infondate, basate su pericoli ipotetici relativi al futuro remoto. Ad esempio attraverso perverse analogie con armi nucleari o con le atrocità naziste, scenari
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distopici o mostruose ipotesi di clonazione di soldati o di Hitler28,
sottolineando, sulla scia di Baron, come la bioetica funga più da ostacolo che da supporto per le scienze biomediche e la ricerca scientifica.
Robert Becker, altro influente bioeticista americano, denuncia, invece, la carenza di senso storico dei bioeticisti, i quali nell’affrontare le questioni morali sollevate dagli sviluppi biomedici non terrebbero in debito conto la dimensione diacronica dei problemi ma sarebbero interessati, per lo più, a vincere competizioni di tipo logico‐filosofico29.
Anche nel nostro paese si sono levate voci critiche. Gilberto Corbellini30, ad esempio, ha sottolineato che il dibattito bioetico avrebbe esaurito il suo combustibile e che la stagione della bioetica, diventata nient’altro che una riflessione autoreferenziale, sarebbe giunta al termine. Al suo posto discipline più attente agli sviluppi della scienza. Ad esempio la neuroetica, la quale partendo per lo sviluppo delle sue
argomentazioni dai solidi dati offerti dall’indagine
neuroscientifica non avrebbe a soffrire di quelle carenze che attanagliano, invece, la disciplina madre.
Nell’analizzare la situazione bioetica italiana, poi, lo storico della medicina scrive che
in Italia, la bioetica non ha […] contribuito a gettare un ponte tra scienza e società. Sfruttando le debolezze strutturali e lo scarso impatto politico‐culturale della comunità scientifica, nonché alimentata dai pregiudizi antiscientifici diffusi all'interno delle tradizioni culturali cattolica e crociano‐marxista, di fatto ha fomentato la paura per la scienza e la diffidenza verso gli scienziati. In questa azione è stata ed è ovviamente favorita e assecondata dai modi improvvisati, indecisi ovvero senza un background conoscitivo e progettuale che hanno caratterizzato il governo politico della ricerca e dell'istruzione in Italia negli ultimi quarant'anni. Il legame, per certi versi piuttosto inquietante, che si è andato
28 S. Pinker, The moral imperative for Bioethics, in
https://www.bostonglobe.com/opinion/2015/07/31/the‐moral‐imperative‐for‐ bioethics/JmEkoyzlTAu9oQV76JrK9N/story.html.
29
R. Baker, Bioethics and History, in «Journal of Medicine and Philosophy», 27, 2002, pp. 449‐476.
30
Cfr. G. Corbellini, E. Sirgiovanni, Tutta colpa del cervello. Introduzione
stringendo tra una bioetica antiscientifica e una politica senza progettualità in materia, sta mettendo a rischio la libertà di ricerca, produce mostruosità normative come la legge sulla fecondazione assistita e connota il pressappochismo moralistico della maggior parte dei documenti del nostro Comitato Nazionale per la Bioetica31.
Anche la Chiesa cattolica, dopo l’elezione di Bergoglio (marzo 2013), sembra aver scelto una differente strategia rispetto alla bioetica. Se questa rappresentava nell’agenda vaticana un campo di indagine fondamentale sia sotto il pontificato di Wojtyla che di Ratzinger (una disciplina attraverso la quale poter condurre la battaglia decisiva a favore del vangelo della vita)32, con Bergoglio viene ricordato, ad esempio in Amoris laetitia, come insistendo soltanto su questioni dottrinali, bioetiche e morali, senza motivare l’apertura alla grazia, non si riuscirebbero poi a sostenere in maniera efficace le famiglie e il loro percorso di crescita33.
Da qui la necessità di integrare i principi con una maggiore attenzione alla concretezza della vita e alla peculiarità dei singoli casi.
In sintesi, i problemi da cui sarebbe affetta la bioetica sono i seguenti:
1) scarsa attenzione per i dati scientifici;
2) scarsa attenzione per la dimensione storica dei problemi biomorali;
3) autoreferenzialità delle argomentazioni morali; 4) natura eccessivamente astratta della disciplina;
5) scarsa utilità sociale della disciplina, che, spesso, crea ostacoli alla ricerca scientifica più che promuoverla.
31 G. Corbellini, Contestualizziamo la bioetica, cit. È sempre Corbellini a stigmatizzare il ruolo che, negli anni, sono andati assumendo i cosiddetti comitati etici, i quali, spesso, avrebbero ostacolato la ricerca scientifica e la sperimentazione farmacologica più che promuoverla. Sulla questione, per altro, si è sviluppato nel 2015 un ampio dibattito sulle pagine del Sole24Ore nel quale sono intervenuti studiosi come Maurizio Mori, Gilberto Corbellini, Luca Pani, Giovanni Corrao, etc.
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