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Aldo Paparo e Matteo Cataldi

Nel documento Le Elezioni Europee 2014 (pagine 129-139)

28 maggio 2014

Il risultato delle elezioni europee è stato chiaro e inequivocabile: una straor-dinaria affermazione del Pd targato Renzi1. In questo articolo analizziamo tale risultato a livello provinciale, per capire se e come si articoli geograficamente il successo del Pd.

Alle politiche di un anno fa il M5s si era classificato primo partito in 50 province italiane, avendo fatto meglio del Pd a guida Bersani, che era primo partito in 40 province2. Tralasciando Bolzano e Aosta, vinte da partiti regionali (rispettivamente il Svp e la Valée D’Aoste), il Pdl aveva conquistato il primato in 17 province - tutte nel meridione tranne Varese -, mentre la Lega era il primo partito nella provincia di Sondrio.

In questa europee si segnalano alcuni elementi di continuità, in un quadro però profondamente mutato. Lega e Svp mantengono i propri primati a Sondrio e Bolzano. Per il resto è un trionfo del Pd, ovunque partito più votato tranne che ad Isernia dove è Fi al primo posto. Si tratta anche sotto questo profilo di un risultato storico. Oggi 107 province su 110 vedono il Pd come primo partito3. Mai nella storia della Repubblica un partito si era dimostrato altrettanto capace di imporsi su tutto il territorio nazionale.

A questo punto ci pare interessante capire come si sia strutturata la compe-tizione nelle diverse province: chi è arrivato secondo, alle spalle del partito di Renzi? Quale distacco si è registrato fra primo e secondo partito nelle diverse province? Sono queste domande particolarmente interessanti anche nell’ottica dell’eventuale approvazione dell’Italicum, sistema elettorale che prevede la possi-bilità di un ballottaggio fra i primi due competitor.

1 Per un’analisi dettagliata del risultato elettorale, si veda Maggini in questo volume.

2 Sul punto si vedano Cataldi e Emanuele (2013).

Per rispondere a questi interrogativi guardiamo la figura 1, che mostra il secon-do partito in ciascuna provincia, indicansecon-done anche il distacco rispetto a quello che lo precede lo precede. Il colore che riempie ciascuna provincia indica il partito che è arrivato secondo. L’intensità cromatica rappresenta il distacco dal primo: più intensa la tonalità del colore, minore è il distacco dal primo partito e viceversa.

Come si può osservare, il colore giallo è largamente prevalente nella mappa della nostra penisola. Il M5s, infatti, è il secondo partito in ben 84 province su 110, mentre il partito di Berlusconi, Fi, è riuscito ad arrivare secondo in soli 19 casi. Completano il quadro le tre province in cui il Pd non è primo, tutte e tre con il Pd al secondo posto; e le 4 province in cui è stato il Carroccio il secondo partito più votato.

Guardando ai distacchi, possiamo osservare come quasi la metà delle pro-vince (46) si dimostrino scarsamente competitive, con un vantaggio del primo partito superiore ai 20 punti percentuali sul secondo. In particolare ci sono 45 province in cui il Pd ha un margine superiore ai 20 punti sul rivale più vicino: il 41% delle province totali. Più in dettaglio, nella zona rossa il M5s è secondo partito con oltre 20 punti di distacco in 24 delle 26 province complessive. Solo ad Ascoli-Piceno e Fermo il partito di Grillo ha subito distacchi inferiori, ma co-munque oltre i 10 punti. In 19 province settentrionali su 38, cioè esattamente la metà, Il Pd mette oltre 20 punti di distanza tra sé e il primo inseguitore. Questo è il M5s in 13 istanze, Fi in 5 e la Lega a Lecco. In 16 delle rimanenti province del nord, il vantaggio del partito di Renzi è comunque superiore ai 10 punti: in questi casi 10 volte secondo è il M5s, 3 la Lega e altrettante Fi. Solo a Imperia il vantaggio sul secondo partito non è in doppia cifra: infatti M5s è staccato di 7,2 punti percentuali.

Nel meridione il quadro politico appare assai più competitivo. Qui, infatti solo in 2 province su 46 si registra un vantaggio superiore ai 20 punti percentua-li: Enna e Potenza. In 20 province il vantaggio del Pd è fra 10 e 20 punti, 13 volte sul M5s e 7 su Fi. In esattamente la metà delle province meridionali si segnala invece un Pd al primo posto ma con un margine inferiore ai 10 punti sul più votato rivale: in 19 casi questo è il M5s, in 4 è Fi.

Nelle tre province non vinte dal Pd, il partito di Renzi è comunque secon-do. Inoltre si registrano margini assai contenuti, con la sola eccezione dell’Alto Adige, in cui il Svp ha oltre 30 punti di margine. A Isernia Fi può contare su 5,3 punti di vantaggio; ancora meno la Lega a Sondrio (2).

Diamo adesso uno sguardo più sistematico alla mappa in figura, per verificare se i diversi quadri della competizione presentati fino qui si articolino lungo preci-se direttrici geografiche. In effetti si ospreci-serva una grande rilevanza della prossimità geografica e si individuano chiaramente alcune zone.

Innanzitutto, si vede il dominio del Pd sul M5s nella zona rossa: in ogni pro-vincia oltre 20 punti di distacco, tranne che nell’estrema periferia sudorientale della questa area geopolitica (ovvero le province di Fermo e Ascoli Piceno, già

segnalate in precedenza). Vittorie del Pd con un M5s al secondo posto staccato di oltre 20 punti si registrano anche in buona parte del triveneto. Solo a Padova,

Vi-Fig.1 – Secondo partito nelle 110 province italiane e suo distacco dal primo classificato

cenza e Treviso il distacco del partito di Grillo da quello di Renzi è compreso fra i 10 e i 20 punti. L’unica eccezione è la provincia di Verona in cui al secondo posto, e sempre con distacco intermedio, non c’è il M5s ma la Lega. Comincia lì la fascia pedemontana nella quale è appunto il Carroccio il secondo partito – anche se staccato dappertutto di almeno 15 punti-, che passa per Bergamo, Brescia e Lecco. Questa “cintura verde” si chiude a Sondrio, dove – come abbiamo visto – la Lega è risultato primo partito, anche se con un margine estremamente ridotto sul Pd.

Nel nord-ovest il trionfo del Pd è più contenuto. Infatti i colori dei secondi classificati sono più intensi e nella maggior parte dei casi nelle fasce che indicano distacchi fra i 10 e i 20 punti dal Pd. Qui compare l’azzurro di Fi, che è secondo partito in particolare nelle province attorno a Milano, tranne quella del capoluo-go stesso e di Monza e Brianza in cui il M5s è secondo dietro al Pd.

Nella figura 1 si può poi visualizzare la maggiore competitività del Sud. Qui i colori chiari, indicanti margini di vantaggio del primo partito oltre i venti punti, sono l’eccezione; mentre nella maggioranza assoluta dei casi si segnalano distac-chi in singola cifra.

Si evidenzia infine l’altra area di relativa competitività di Fi, oltre quella già osservata intorno al capoluogo lombardo: la fascia tirrenica meridionale. Si può infatti vedere come il partito di Berlusconi sia al secondo posto lungo la costa da Latina fino a Reggio Calabria, con le sole eccezioni delle province di Napoli, Cosenza e Catanzaro. Anche Messina vede Fi al secondo posto. In tale area si inserisce anche Isernia che, pur non avendo accesso al mare, confina con questa fascia costiera ed è l’unica provincia italiana in cui Fi è in testa. Il colore azzurro ri-compare poi nell’estremità meridionale della Puglia (province di Brindisi e Lecce). Nel resto del Sud è di nuovo il M5s ad inseguire Pd. Risulta particolarmente competitivo nei confronti del partito di Renzi in Sicilia, Sardegna e nelle pro-vince dell’Adriatico meridionale, con la sola eccezione di Foggia. Al contrario si registrano distacchi più elevati in Calabria, Basilicata e Lazio.

Riassumendo, il quadro che emerge dai risultati elettorali a livello provinciale replica, con poche eccezioni, quello nazionale. Il Pd è infatti primo in 107 pro-vince su 110, il M5s è il secondo partito in 84 unità, mentre invece il partito di Berlusconi deve accontentarsi del terzo posto un po’ in tutta Italia (di nuovo 84 province), salvo che nella fascia tirrenica meridionale e intorno a Milano. A Tren-to, Verona, Vicenza, Belluno e Treviso Fi è addirittura il quarto partito più votato.

Non è certo questa una situazione consueta per il centrodestra italiano e il suo storico leader. Certo, guardando bene i dati, si osserva che se Berlusconi fosse ancora capace di federare le varie anime dei moderati italiani e sommarne i voti (anche se non tutti per lo meno la maggior parte), ecco che tale campo potrebbe riconquistare se non il ruolo di front-runner, certamente quello di principale sfi-dante in vista delle future elezioni politiche. Ma probabilmente quei tempi sono definitivamente trascorsi e non si intravedono all’orizzonte nuove figure capaci di coagulare attorno a sé i voti degli elettori di Lega, Ncd, Fdi e Fi.

Riferimenti bibliografici

Anderlini, F. (2013), Il voto, la terra, i detriti. Fratture sociali ed elettorali.

Dall’al-ba del 2 giugno 1946 al tramonto del 25 febbraio 2013, Bologna, Editrice

Socialmente.

Cataldi, M., e Emanuele, V. (2013), Lo Tsunami Cambia La Geografia E Strappa 50 Province a Pd e Pdl, in L. De Sio, M. Cataldi e F. De Lucia (a cura di) Le

Elezioni Politiche 2013, Dossier CISE 4. Roma, CISE, pp. 53-56.

D’Alimonte, R. (2014), Il Pd vince dappertutto, anche nel Nord-Est in L. De Sio, V. Emanuele e N. Maggini (a cura di), Le Elezioni Europee 2014, Dossier CISE 6, Roma, CISE, pp. 125-128.

Diamanti, I. (2009), Mappe dell’Italia Politica: Bianco, Rosso, Verde, Azzurro... E

Tricolore. Bologna, Il Mulino.

Maggini, N. (2014), I risultati elettorali: il Pd dalla vocazione all’affermazione

maggioritaria in L. De Sio, V. Emanuele e N. Maggini (a cura di), Le Elezioni Europee 2014, Dossier CISE 6, Roma, CISE, pp. 115-124.

Dossier CISE n. 6 / Le Elezioni Europee 2014 / a cura di Lorenzo De Sio, Vincenzo Emanuele e Nicola Maggini / CISE, Roma, 2014

Roberto D’Alimonte

Pubblicato su Il Sole 24 Ore del 28 maggio 2014

Due fattori hanno contribuito in maniera decisiva al successo del Pd di Renzi. Il primo è stato la sua capacità di portare a votare i suoi elettori, quelli che avevano vo-tato Pd nel 2013. Un altro Pd. Il secondo è svo-tato la sua capacità di allargare la base di consensi del suo partito, nonostante questo tipo di consultazione sia difficile per un partito di governo in tempo di crisi. Il primo fattore ha pesato più del secondo. A mano a mano che diventano disponibili i voti ai partiti a livello di singole sezioni elettorali si riesce a capire meglio come sono andate effettivamente le cose. Sono cinque per ora le città in cui grazie a questi dati si sono potuti calco-lare i flussi tra i partiti e dai partiti verso l’astensione. La base di riferimento sono le elezioni politiche dell’anno scorso. Si tratta di una consultazione ovviamente molto diversa da quella delle europee, ma per quello che ci interessa questo non è molto rilevante. È ben noto che alle europee si è sempre votato meno che alle politiche, ed è stato così anche questa volta. Ma questo non altera le conclusioni della analisi sui flussi perché questa comprende per l’appunto anche i movimenti dal voto al non voto e viceversa.

In fondo non è molto complicato spiegare come Renzi ha vinto. In un conte-sto in cui i votanti in queste elezioni sono stati circa 6.500.000 in meno rispetto al 2013 il Pd ha conquistato 2.500.000 in più. L’affluenza è andata giù e Renzi è andato su. Semplice. È più complicato spiegare perché questo è successo. Perché gli altri partiti hanno perso voti - ad eccezione della Lega che ne ha guadagnati circa 300.000 - e Renzi ne ha presi di più? Cosa dicono i flussi di voto nelle nostre 5 città? Da dove vengono i voti del Pd?

Il dato più chiaro è che vengono in primo luogo dal Pd stesso. Il tasso di fedel-tà del suo elettorato in queste elezioni è stato straordinario. Quelli che lo avevano votato nel 2013 sono tornati quasi tutti a votarlo nel 2014. Una mobilitazione molto efficace. E tanto più sorprendente perché queste erano elezioni europee e non politiche. Anche tenendo conto del fatto che l’elettorato Pd è più propenso a votare anche in questo tipo di consultazione un tasso di fedeltà così elevato è inusuale. Questo è stato il primo merito di Renzi e la base principale del suo suc-cesso. Infatti, la prima – e più importante – regola per vincere è quella di portare a votare i propri elettori. Renzi c’è riuscito. Gli altri no.

A Firenze hanno votato Pd oggi addirittura il 95% dei suoi vecchi elettori. E questo – sia detto per inciso – spiega anche lo straordinario successo di Dario Nardella, neo sindaco. Il tasso di fedeltà più basso si è registrato a Palermo – e non è una sorpresa – ma siamo sempre al 71%. Il confronto con gli altri partiti è impietoso. A Venezia il Pdl ha perso il 58% del suo elettorato verso l’astensione, A Palermo il 61%. Va meglio – si fa per dire – a Torino con il 35% e a Firenze con il 20%, ma perché qui la base di consensi era inferiore. Più o meno la stessa cosa è successa al M5s. A Venezia non sono tornati a votarlo il 25% di quelli che lo avevano scelto nel 2013, a Firenze il 38%, a Palermo il 45% e così via.

Questo fenomeno va sotto il nome di astensionismo asimmetrico. Renzi avrebbe vinto anche solo grazie a questo fattore. Ma ha vinto ancora meglio per-ché è scattato un altro meccanismo. Per vincere – o per vincere bene – si devono conquistare nuovi elettori e non solo tenersi i vecchi. E qui si vedono i frutti della capacità di attrazione del premier. Come avevamo anticipato ieri, e come si vede nei dati di oggi nelle 5 città, il Pd ha pescato in misura variabile nell’elettorato di quasi tutti i partiti rivali. Ma, tra tutti, c’è un flusso che è particolarmente significativo, ed è quello che proviene da Scelta Civica. La vecchia formazione di Monti praticamente non esiste più. Una buona parte dei suoi elettori sono andati verso il Pd, ma molti non si sono recati alle urne. A Torino ha ceduto al partito di Renzi il 60% del suo elettorato del 2013 mentre un 15% è andato al partito di Alfano. In questa città il flusso verso l’astensione è minimo. Stessa cosa più o meno a Firenze. Ma non è così a Palermo. Qui oltre alle defezioni verso il Pd e il Ncd, si nota anche un flusso verso Forza Italia (11%) e verso l’astensione (14%). E così grazie a Scelta civica una quota di elettori moderati sono stati traghettati gradualmente verso il centro-sinistra, destinazione prima Monti e poi Pd. Ma senza Renzi non sarebbe successo.

I flussi verso il Pd non si fermano qui. Agli elettori di Scelta civica vanno poi aggiunti anche quelli del M5s e di Fi. Sono passaggi di voto di entità più mode-sta, pare. Ma tutto fa brodo. Nel complesso sembra che il movimento di Grillo sia stato relativamente più ‘generoso’ nei confronti del partito di Renzi. A Firenze il 17% dei suoi vecchi elettori ha scelto il Pd, mentre ha fatto la stessa cosa il 12% degli elettori Pdl. A Torino i dati sono rispettivamente 12% e 9%. Da ultimo anche una parte degli elettori della Lega ha ‘tradito’ contribuendo a ingrossare le fila del Pd. A Torino il 12%, a Venezia addirittura il 36%, a Parma il 14%. Sono tutti questi rivoli che hanno portato Renzi ad uno storico 40,8%.

Queste elezioni erano per Renzi un passaggio difficile e delicato che ha voluto affrontare senza nemmeno mettere il suo nome sulla scheda. Le europee sono elezioni rischiose per i grandi partiti e soprattutto per quelli di governo. Si è visto quello che è successo in quasi tutti i paesi della Unione, ad eccezione della Germa-nia dove in realtà anche la Merkel ha preso meno voti rispetto alle scorse politiche.

Adesso la sfida per Renzi è quella di consolidare questo successo. Se ci riesce, ci ricorderemo di queste elezioni come di una tappa importante verso la costruzione,

intorno al Pd, di un nuovo blocco sociale e elettorale, tendenzialmente maggio-ritario. In questo Renzi è, tra l’altro, facilitato dal fattore tempo. Da qui al 2018 non ci sarà più un turno di elezioni a carattere nazionale. Infatti una volta c’erano le elezioni regionali. Chi non ricorda le dimissioni di D’Alema dopo il cattivo ri-sultato per il centro-sinistra delle regionali del 2000? Ma allora la gran parte delle regioni andava al voto nello stesso giorno. Il prossimo anno non sarà così. A causa di vari scioglimenti anticipati ci sono ben 9 regioni in cui non si voterà il prossimo anno. Questo orizzonte temporale rappresenta una grande occasione per portare avanti un programma di governo di medio termine senza distrazioni elettorali. In un paese dove governare è molto difficile anche questo aiuta.

Riferimenti bibliografici

Goodman, L. A. (1953), Ecological regression and behavior of individual, in «Ame-rican Sociological Review», vol. 18, pp. 663-664.

De Sio, L. (2008), Elettori in movimento. Nuove tecniche di inferenze ecologica per

Dossier CISE n. 6 / Le Elezioni Europee 2014 / a cura di Lorenzo De Sio, Vincenzo Emanuele e Nicola Maggini / CISE, Roma, 2014

Nel documento Le Elezioni Europee 2014 (pagine 129-139)