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l’alfabetismo informativo nelle biblioteche universitarie «A fronte di un concetto nato alla fine degli anni Settanta negli Stati Uniti, che

partiva dalla considerazione dell’importanza del ruolo della formazione permanente in una nascente “società dell’informazione” e aveva la sua genesi in un contesto lavorativo, ad oggi l’analisi del numero di contributi presenti pone in evidenza che le biblioteche universitarie e quelle scolastiche, in misura molto minore le biblioteche pubbliche, sono l’ambito della maggior parte delle esperienze documentate incentrate sul tema.» [Ballestra-Cavaleri 2006, p. 3]

Nel capitolo precedente abbiamo visto in che modo, per diverse motivazioni stori- che e sociali, le biblioteche siano state individuate come le istituzioni principali e più appropriate per svolgere attività di sensibilizzazione e formazione sul tema dell’alfabetismo informativo. In questo capitolo cercheremo di dimostrare che – all’interno del vasto e molto variegato sistema bibliotecario – sono in particolare le bi- blioteche accademiche quelle che per struttura interna, obiettivi e caratteristiche del personale, possono ricoprire al meglio questo ruolo così fondamentale per la società nel suo complesso, sia in quanto centri di ricerca sul tema [Lucchini 2007] sia nella for- nitura pratica di servizi.

I motivi che portano a riconoscere a questo tipo di biblioteche una parte centrale nel settore dell’Information literacy possono essere ricondotti essenzialmente a tre macroaree: le caratteristiche proprie delle biblioteche universitarie [Lucchini 2007], il rapporto con la didattica e la formazione specifica dei bibliotecari.

In primo luogo, le biblioteche universitarie hanno ereditato e tramandato nel tempo alcune caratteristiche, dovute alla loro stessa natura, che le rendono delle “incubatrici” quasi perfette per laboratori di questo tipo, rendendo molto più facile e agevole l’impostazione e la buona riuscita del percorso. La prima di queste caratteristiche ri- guarda la composizione dell’utenza di riferimento: le biblioteche accademiche, infatti, a differenza di quanto accade ad esempio nelle biblioteche pubbliche, si rivolgono ad un’utenza piuttosto omogenea, sia per quanto riguarda l’età che per il livello di forma- zione e istruzione. Questo permette, ad esempio, di impostare seminari e corsi anche piuttosto mirati riuscendo comunque a raggiungere e a soddisfare le esigenze di un

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gran numero di utenti. La presenza di un’utenza formata principalmente da “interni” (studenti, docenti e ricercatori) permette poi di delimitare in modo considerevole anche gli interessi e gli ambiti di ricerca – circoscritti nella maggior parte dei casi a settori ben definiti, solitamente gli indirizzi delle diverse facoltà – presentando una notevolmente minore variabilità nelle richieste rivolte ai bibliotecari rispetto a quanto avviene nelle biblioteche pubbliche. Questo permette, come vedremo in modo più approfondito nel- le pagine seguenti, una possibilità di formazione e di aggiornamento mirato da parte dei bibliotecari e un conseguente innalzamento del livello e della qualità del servizio di consulenza offerto agli utenti. Un’ultima caratteristica che distingue le biblioteche ac- cademiche dalle biblioteche pubbliche è solitamente una condizione economica più fa- vorevole, con conseguenti maggiori disponibilità finanziarie da impiegare per questo tipo di attività.

La seconda area è definita dallo stesso scopo primario delle biblioteche accademi- che, ossia quello di «supportare l’esercizio della didattica e della ricerca svolte nelle uni- versità» [Guerrini-Crupi 2007, p. 784]. A differenza di altre tipologie di biblioteche, che vedono nell’accesso alla documentazione la loro funzione principale, le biblioteche ac- cademiche sono infatti, già per la loro stessa definizione, un passo oltre la biblioteca- magazzino di cui si è tracciato il profilo nel capitolo precedente [Mazzocchi 2011]. L’insegnamento, da parte dei bibliotecari inseriti nelle università, di metodi di ricerca e di valutazione delle informazioni non è solamente una richiesta generale di tipo etico- morale, bensì una necessità individuata dalla struttura stessa che ospita la biblioteca. L’università, infatti, per svolgere al meglio il proprio compito di formazione, necessita di studenti in grado di rapportarsi in modo efficiente ed efficace alla documentazione e alla letteratura specifica. La formazione dell’utente relativamente agli strumenti e ai me- todi della ricerca bibliografica non è quindi, nel caso delle biblioteche accademiche, uno dei tanti servizi che queste possono offrire, bensì uno dei compiti principali sulla base del quale viene valutato anche il loro lavoro complessivo [Guerrini 2012]. Nelle “Linee guida per la valutazione delle biblioteche universitarie” [IFLA-AIB 1999] una delle funzioni principali riconosciute a queste istituzioni è proprio quella della forma- zione dell’utenza. Sebbene, infatti, le competenze informative in sé dei singoli utenti siano difficili da quantificare e valutare in quanto soggette a moltissime variabili (argo-

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mento di ricerca, caratteristiche della letteratura specifica, database a disposizione etc.), molti degli indicatori di qualità delle biblioteche accademiche (uso delle raccolte da par- te degli utenti, ricerca di un documento noto, ricerca per argomento) hanno proprio l’obiettivo di verificare con quale livello di difficoltà gli utenti svolgono determinate a- zioni all’interno della biblioteca: questo livello dipende quasi completamente (tenendo conto che una minima parte potrebbe dipendere dalla qualità del catalogo) dal livello di alfabetismo informativo – e quindi dalle capacità nella ricerca – che l’utente possiede. Come indicato anche nell’introduzione agli standard ACRL,

«Developing lifelong learners is central to the mission of higher education in- stitutions. By ensuring that individuals have the intellectual abilities of reasoning and critical thinking, and by helping them construct a framework for learning how to learn, colleges and universities provide the foundation for continued growth throughout their careers, as well as in their roles as informed citizens and mem- bers of communities». [ACRL 2000, p. 4]

Un ultimo aspetto riguarda il personale impiegato nella biblioteca: i bibliotecari uni- versitari, infatti, hanno dovuto negli ultimi anni modificare e adattare continuamente il proprio profilo professionale sulla base delle esigenze avanzate da studenti e istituzioni. In particolare, la necessità di gestire una collezione specialistica, quasi unicamente o- rientata alla saggistica e alla manualistica, nonché la presenza di un’utenza che possia- mo considerare almeno settorialmente esperta ha comportato una sempre maggiore di- stinzione tra la figura del bibliotecario di biblioteca pubblica e quello universitario. Le caratteristiche e le competenze proprie di un bibliotecario standard – come possono essere la catalogazione, la disposizione del materiale a scaffale e la capacità di svolgere ricerche base all’interno del catalogo – non rispecchiavano più, infatti, il profilo richie- sto da una biblioteca universitaria, diventata in misura sempre maggiore una vera e propria agente attiva nel percorso didattico [Mamoli-Gorreri 2003]. La necessità di af- fiancare e supportare, ad alti livelli, le ricerche di studenti e insegnanti, nonché quella di aiutare tramite percorsi formativi mirati gli studenti nell’acquisizione di conoscenze e competenze relative agli strumenti della biblioteca e ai metodi di ricerca, hanno spinto i bibliotecari accademici a muoversi già da diversi anni nella direzione di quel “bibliote- cario del futuro” prospettato nel paragrafo 2.2.1, arrivando in alcuni casi ad assumere

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ruoli e caratteristiche così diverse da quelle di partenza da necessitare una definizione specifica.

Queste nuove figure, che sono andate a crearsi e a diffondersi in numero sempre maggiore all’interno della struttura della biblioteca accademica, sono i cosiddetti subject

librarians, ossia i bibliotecari responsabili di una specifica materia o settore. Essi si di-

stinguono per una formazione e un profilo diverso da quello del bibliotecario tradizio- nale: per poter svolgere al meglio il proprio lavoro e dare un contributo significativo a studenti e docenti nella ricerca, il bibliotecario addetto al reference all’interno di una struttura universitaria deve essere sempre più frequentemente esperto non solo nella gestione delle informazioni, ma anche di una specifica materia o indirizzo, della quale diventa il referente. Ogni subject librarian diventa quindi responsabile di uno specifico settore ed ha come compito principale quello di fare da ponte tra l’istituzione bibliote- caria e la facoltà/polo/dipartimento, curando lo sviluppo delle collezioni sulla base del- le richieste provenienti da docenti e studenti, supportando le ricerche nel suo campo e gestendo tutti i rapporti tra la facoltà cui fa riferimento e la biblioteca. Questa serie di compiti devono essere svolti, ovviamente, in coordinamento con gli altri bibliotecari e

subject librarian, in modo da garantire la maggiore uniformità possibile all’interno della

struttura bibliotecaria nel suo complesso, soprattutto per quanto riguarda la politica delle acquisizioni. Dal punto di vista formativo i subject librarian sono solitamente laure- ati in una materia diversa dalla biblioteconomia ed hanno acquisito competenze in am- bito bibliotecario con una seconda laurea o con una formazione post-universitaria. A livelli così avanzati come quelli universitari si è difatti rivelata necessaria la presenza di bibliotecari con conoscenze approfondite sugli argomenti centrali della didattica acca- demica: a differenza dei bibliotecari di una biblioteca pubblica, che entrano in relazione solitamente con un’utenza che richiede consulenze sulla narrativa o su argomenti in genere comprensibili anche ai non addetti ai lavori, nelle biblioteche accademiche il bi- bliotecario di reference, per fornire un supporto effettivo nella ricerca non può prescin- dere dalla conoscenza, ad esempio, delle diverse ramificazioni della materia e del lin- guaggio specifico e professionale. A livello di competenze informative avanzate, la pre- senza di un subject librarian in grado di formare gli studenti delle singole facoltà in modo mirato, che non si limiti agli aspetti generali e alle metodologie condivise, ma che vada

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nello specifico della materia, delle sue esigenze e delle caratteristiche proprie della sua letteratura, costituisce indubbiamente un valore aggiunto per gli studenti che ne posso- no usufruire.

Una questione ancora molto dibattuta per quanto riguarda la professione biblioteca- ria è quella relativa alle competenze necessarie per insegnare Information literacy: come capita purtroppo in molti altri settori, con il crescere della richiesta di figure esperte nel campo delle competenze informative si sta diffondendo, all’interno del mondo delle biblioteche, la convinzione che le competenze acquisite dai bibliotecari nel corso dei loro anni di lavoro siano più che sufficienti per permettere loro di tenere corsi di alfa- betizzazione informativa. In realtà, la serie di competenze acquisite e le capacità di ri- cerca proprie della professione bibliotecaria costituiscono indubbiamente un punto di partenza avvantaggiato – come abbiamo visto nel capitolo precedente – rispetto a mol- te altre categorie per questo tipo di attività, ma di certo non sufficiente [Lucchini 2007]. In primo luogo, le stesse competenze informative in possesso di molti bibliotecari oggi non sono tali da poterli definire information literate ad alti livelli [Ballestra-Cavaleri 2006]: di certo il bibliotecario, grazie all’esperienza maturata nel corso degli anni, ha una capa- cità di ricerca migliore rispetto ad un utente medio sia per quanto riguarda la velocità che l’accuratezza [Guerrini 2012], ma le competenze acquisite esclusivamente con l’esperienza – per quanto preziosissime – possono spesso essere lacunose o non pog- giare su basi teoriche solide. La mancanza di una formazione specifica sull’argomento potrebbe portare il bibliotecario a snaturare il concetto di competenza informativa co- me metodo e percorso unitario, portandolo a limitarsi ad insegnare nozioni “preconfe- zionate” e scalette di azioni da eseguire per svolgere una ricerca, invece che una vera e propria metodologia di lavoro. Come sottolinea anche Guerrini, la differenza tra questi due tipi di formazione è purtroppo abissale: mentre nel primo caso, infatti, le skill e i concetti acquisiti si limitano ed essere utili per un caso particolare o per una tipologia di problema ben definita, «chi apprende il metodo sa come cavarsela anche se cambiano le situazioni e il contesto» [Guerrini 2012, p. 8]. Una formazione non strutturata, basata unicamente sulle proprie personali esperienze nel campo della ricerca, rischia poi di tra- lasciare aspetti importanti del percorso globale di acquisizione delle competenze infor- mative. In un processo di ricerca vi sono, infatti, alcune azioni che il ricercatore esperto

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svolge in maniera quasi automatica e istintiva – come ad esempio la valutazione delle fonti o la consapevolezza, etica e legale, dei diritti d’autore presenti sulle opere citate – e che invece nella formazione di uno studente non possono essere assolutamente date per scontate. Un modulo relativo all’etica del lavoro scientifico, come abbiamo già po- tuto vedere negli standard e modelli analizzati nel capitolo precedente, è fondamentale per formare uno studente dal punto di vista delle competenze informative tanto quanto un approfondimento sulle tecniche di ricerca all’interno di un database. Un ulteriore ri- schio in cui si potrebbe facilmente incorrere proponendo pacchetti “standard” di Infor-

mation literacy è poi quello – forse banale, ma di cui non si può non tenere conto – di al-

lontanarsi dalle esigenze specifiche dello studente, della facoltà e del contesto all’interno del quale si svolgono questo tipo di attività. Come sottolinea efficacemente Kühne, infatti, è molto importante tenere sempre a mente il contesto culturale e sociale di base, poiché le esigenze informative e le problematiche che si troveranno ad affron- tare, ad esempio, uno studente europeo e uno proveniente dalle campagne della Cina non saranno sicuramente le stesse. Scopo principale di questo tipo di insegnamenti de- ve essere quello di rendere le persone information literate rispetto al loro specifico am- biente di riferimento, adattando metodi e competenze pur mantenendo il fine comune di rendere l’individuo in grado di «vivere all’interno del proprio ambiente nel modo migliore e più consapevole possibile» [Kühne 2005, p. 4, traduzione propria]. Tutto questo senza contare l’aspetto pedagogico, ossia l’effettiva capacità del docente- bibliotecario di insegnare e trasmettere agli studenti le conoscenze e le competenze possedute.

L’importanza di un’adeguata formazione e di un continuo aggiornamento dei biblio- tecari nel campo dell’Information literacy, attraverso la partecipazione a corsi e seminari, è quindi indubbiamente indispensabile per fornire un servizio di qualità all’utente e sod- disfare le forti aspettative riposte dalla società nei confronti delle biblioteche per quan- to riguarda la trasmissione di questo tipo di competenze [Ingrosso 2002].

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3.1 – La trasmissione di competenze informative nelle biblioteche