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3.1 Monarchia o Stato misto: una discussione a più voc

3.1.2 L’alfiere veneziano

Il successo attribuito al De magistratibus et republica Venetorum come opera che aveva celebrato in maniera esemplare le virtù e la solidità del sistema politico veneziano, è testimoniata non solo dalle numerose ristampe del libro di Gasparo Contarini, dopo la sua prima pubblicazione nel 1543 a Parigi, ma anche dall’inserimento della sua traduzione italiana in molti testi sull’argomento che riunivano insieme saggi di autori vari. Volumi di questo genere furono pubblicati nel 1591 dall’editore Aldo Manuzio il giovane e nel 1650 da Francesco Storti (lo stesso preso in esame per la nostra tesi).

Contarini, che aveva diviso il De magistratibus et republica Venetorum in cinque libri, aveva aperto il primo con una precisazione: influenzato dalle idee sulla politica di Aristotele, studiato negli anni trascorsi

157 Ibid., cit., p.157

158 Ibid. La legge del dicembre del 1494 prevedeva che avessero diritto ad entrare a far parte del Consiglio Maggiore fiorentino

i cittadini «statuali beneficiati», cioè coloro i cui padri o nonni erano stati sorteggiati in passato per l’elezione alle tre principali magistrature dello stato (Signoria, sedici gonfalonieri e dodici buoniuomini) e che erano «a gravezza» cioè pagavano le tasse. F.GILBERT,Machiavelli e Guicciardini, Torino, Einaudi, 2012.

159 Ivi, cit., p. 215.

160 Ivi, cit., p. 214. Giannotti considerava gli abitanti di Firenze composti dai Grandi, dal popolo (di questa moltitudine

facevano parte coloro che non potevano aspirare a diventare magistrati, ma possedevano beni immobili e pagavano le tasse e coloro che invece avevano questa possibilità) e dai mediocri cioè «tutti gli altri che sono abili a’ magistrati; li quali, o per elezione o per altro accidente vivono con modestia». Infine c’era la plebe che non aveva alcun diritto.Nel progetto proposto da Giannotti nel Della repubblica fiorentina sarebbero dovuti entrare nel Consiglio Grande tutti coloro che erano a gravezza, cioè soggetti a tassazione.

presso lo Studio di Padova riteneva che un paese, prima di procedere a scegliersi quella che sarebbe stata la miglior forma di governo, doveva dotarsi di buone istituzioni e soprattutto di buone leggi. Questo per il cardinale veneziano era proprio quello che avevano fatto coloro che era venuti per primi ad abitare nelle lagune. A differenza di quanto era capitato nella repubblica ateniese, in quelle dei lacedemoni o dei romani dove avevano agito «pochi uomini virtuosi affogati nella moltitudine»161, a Venezia i suoi fondatori erano state tutte persone virtuose che, senza badare al proprio interesse privato o al proprio onore, avevano realizzato un sistema legislativo in grado di regolare efficacemente il vivere civile. Le leggi, insieme alle ottime istituzioni, avevano favorito la stabilità interna a tal punto che la Repubblica non aveva dovuto temere sedizioni e lotte civili fra i suoi cittadini162. Avevano contribuito anche ad assicurarle lunga durata attraverso i secoli.

Per Contarini Venezia rappresentava un modello esemplare che non poteva essere paragonato a nessuna altra realtà del passato anche perché coloro che l’avevano guidata avevano sempre cercato di favorire gli atti di pace agli uffici della guerra. Una volta organizzate le prime strutture amministrative i veneziani avevano dovuto scegliersi il tipo di regime che doveva governarli. Sebbene Contarini pensava che sul piano teorico la monarchia potesse essere ritenuta un regime eccellente, in realtà a causa dell’animo umano che «il più delle volte è inclinato nella parte peggiore»163, questa non era la soluzione migliore.

Gli antichi veneziani decisero allora che «il governo della moltitudine esser più conveniente alla compagnia de Cittadini»164, riuscendo a creare una Repubblica con ammirabile sapienza perché evitarono i difetti insiti nel regime dei «molti», primo fra tutti la litigiosità, grazie all’aver introdotto la «temperanza», una mescolanza delle tre forme buone di governo «accioché questa sola Republica havesse il Principato regio, il governo de’ nobili, e il reggimento dei cittadini, di modo che paiono con una certa bilancia uguale aver mescolato le forme di tutti»165. Agendo in questo modo una parte non avrebbe potuto diventare più potente dell’altra e tutte quante avrebbero partecipato alla potestà pubblica. Era l’applicazione pratica dell’idea di governo misto che per Contarini trovava la sua massima espressione proprio nello stato veneziano.

In realtà lo stato descritto dal Contarini si poteva definire misto solo di nome, ma di fatto era un’aristocrazia. L’equivoco nasceva nel considerare cittadini solo i nobili, che erano coloro che potevano svolgere un ruolo politico attivo e che erano ammessi ad entrare nelle magistrature dello stato, mentre il resto degli abitanti, il popolo con i suoi artigiani e i suoi lavoratori sebbene utile all’economia della città veniva escluso dalle leve del potere. La «mescolanza» attuata a Venezia era dunque ben diversa da quella

161 G.CONTARINI, La Republica e i Magistrati di Vinegia, a cura di V. Conti, Firenze, Centro Editoriale Toscano, 2003, cit., p.

41. Il libro ripropone in forma anastatica la prima traduzione italiana del libro di Contarini, quella pubblicata a Venezia, per Girolamo Scotto, nel 1544, cit., p. 41.

162 G.CONTARINI, La Republica e i Magistrati di Vinegia, p .46. 163 Ivi, cit., p. 48.

164 Ibid, cit., p. 48. 165 Ivi, cit., p. 50.

teorizzata dal Giannotti del periodo dell’esilio, che prevedeva la partecipazione attiva del ceto medio. Era piuttosto un equilibrio che si giocava dentro un’unica classe sociale dominante, i cui membri avevano tutti teoricamente gli stessi diritti di partecipare al governo della città. Essi soli potevano sedere nel Maggior Consiglio, espressione del governo «dei molti», nel gruppo più ristretto del Senato (qui solo una parte veniva eletto), corrispondente al governo «dei pochi» e solo uno di loro poteva aspirare a ricoprire l’incarico di doge, con un potere che ricordava quello regio.

Per Contarini oltre al doge e al Maggior Consiglio le istituzioni fondamentali erano quelle del Consiglio dei Dieci e del Senato. A quest’ultimo era riservato «tutta la cura del governo della Republica»166, perché era l’assemblea dove si prendevano le decisioni cruciali che riguardavano le deliberazioni della pace e della guerra ed era sempre lì che si assumevano le misure da adottare in materia finanziaria. Il potere dei senatori era grande, ma veniva però moderato dal fatto che essi avevano la possibilità di votare le nuove proposte di leggi, solo dopo che queste erano state preparate prima da un'altra magistratura, il Collegio dei Savi. La coesione tra le diverse istituzioni politiche veniva infine garantita dal sistema giuridico, al cui funzionamento erano dedicate pagine importanti del trattato.

I vantaggi del sistema repubblicano veneziano descritti nel De magistratibus et republica Venetorum erano molteplici: i magistrati potevano essere scelti attraverso un duplice sistema di elezione-sorteggio che consentiva di individuare uomini veramente virtuosi; le leggi e il controllo fra le varie magistrature escludevano la possibilità di corruzione; la giustizia veniva concessa con correttezza e severità a tutti e ancora una volta saggi erano stati gli antichi legislatori veneziani che avevano affidato la facoltà di decidere in un processo non ad un solo giudice, ma ad un collegio di magistrati.

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