4. Trattamento delle ferite croniche
6.1 Alginato
40 6. Biopolimeri
I “biomateriali” sono polimeri derivanti da fonti naturali come alghe o batteri e sono biocompatibili, ossia affini alla matrice tissutale vivente, evitando così reazioni allergiche più o meno gravi. I biopolimeri hanno un ruolo importante nel processo di riparazione dell’ulcera, nella ricostruzione del nuovo tessuto e possono essere associati anche ad altre sostanze come antimicrobici o fattori di crescita. Una volta a contatto con la ferita, verranno rilasciati e svolgeranno la loro azione nel processo ripartivo [Boateng J. et al, 2008].
Negli ultimi decenni, hanno acquisito sempre più importanza i polimeri di origine naturale che, in virtù delle loro proprietà, mostratesi positive nelle più svariate applicazioni, sono stati sfruttati come materiali di partenza in diversi settori, ad esempio nelle industrie alimentare e tessile, in campo medico e farmaceutico.
Il successo di questi composti in ambito biomedico è presto spiegato: sono biomateriali, biodegradabili e biocompatibili, in grado di agire, all’interno degli organismi viventi, in sinergia con i componenti tissutali, senza scatenare risposte immunitarie. Tali caratteristiche rendono possibile il contatto diretto tra i biopolimeri e i tessuti del corpo, nel caso in cui, ad esempio, si debba provvedere al trattamento di una lesione cutanea. Nel corso degli anni, si è passati dall’utilizzo di medicazioni “inerti”, utili esclusivamente nel prevenire l’infezione della ferita, previamente pulita con apposite soluzioni saline disinfettanti, a dressings con proprietà bioattive, capaci di promuovere il processo di wound healing.
I polisaccaridi, componenti naturali di tutte le strutture viventi, sono ottimali nella produzione di dressings e scaffolds, in quanto dalla loro degradazione nel sito della ferita non derivano prodotti tossici, immunogenici e carcinogenici.
La chitina e il suo derivato deacetilato, il chitosano, sono stati individuati come adatti bio-supporti nella riparazione e rigenerazione tissutale, sia per la loro struttura che per le proprietà antimicrobiche e funzionali al processo di wound healing [Francesko A. and Tzanov T., 2011].
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oppure sono alternate tra loro e la loro distribuzione dipende dal tipo di fonte da cui deriva il materiale (Figura 6). L’alginato prodotto dall’alga bruna ha un contenuto di residui di acido glutammico che può variare dal 20 all’80% in base alla specie di alga da cui proviene. Il peso molecolare del sodio alginato varia tra 32,000 e 400,000 g/mol [Lee K.Y., Mooney D.J., 2012] e la solubilità dipende dalla composizione chimica dell’alginato: se l’alginato è ricco di acido glucuronico sarà maggiormente solubile in acqua rispetto a quello ricco in acido mannuronico.
Invece la viscosità dell’alginato dipende dalla sua concentrazione, dal peso molecolare e dalla lunghezza e numero di unità di monomeri nei segmenti di alginato: la viscosità sarà maggiore se la lunghezza dei segmenti sarà più lunga [Goh C.H. et al, 2012].
La presenza nell’acqua di ioni di- e trivalenti da il via alla formazione di un gel con struttura ordinata e questa proprietà è alla base delle applicazioni biologiche ed industriali dell’alginato.
In campo farmaceutico l’alginato viene utilizzato nei processi riparativi delle ulcere perché l’alginato ha elevate proprietà assorbenti e può raggiungere fino a venti volte il suo peso [Fonder M.
et al, 2008]. Questa caratteristica dipende dalla sua composizione: se il contenuto di acido mannuronico è elevato, la medicazione avrà un maggiore potere assorbente [Goh C.H. et al, 2012].
L’alginato interviene nei processi di assorbimento dell’essudato in modo da creare un microambiente dell’ulcera ottimale per promuovere una corretta epitelizzazione.
Figura 6: Struttura chimica dell’alginato: a. rappresentazione della struttura chimica dei monomeri acido mannuronico (M) e glucuronico (G); b. conformazione della catena; c. distribuzione del
blocchi [Draget K.I. et al, 2011]
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L’alginato svolge la sua azione attraverso uno scambio di ioni sodio-calcio tra l’essudato della ferita e la medicazione stessa. Questo scambio provoca la produzione di un gel di alginato di sodio che è in grado di trattenere elevate quantità di acqua. Per queste caratteristiche le medicazioni a base di alginato sono adatte ad ulcere con elevata produzione di essudato [Fonder M. et al, 2008].
L’alginato possiede anche buone proprietà emostatiche [Goh C.H. et al, 2012]. Groves e Lawrence hanno dimostrato l’efficacia dell’alginato nel trattamento delle ulcere sanguinanti: se si applica calcio alginato sulla ferita e si lascia agire per 5 minuti si evince la sua attività emostatica [Groves A.R., Lawrence J.C., 1986].
L’alginato è biocompatibile e quindi non provoca reazioni sistemiche in seguito alla somministrazione ed è biodegradabile. Infatti, a contatto con i fluidi corporei, si scinde in residui monosaccaridici che vengono completamente assorbiti e la conversione a sale sodico facilita la rimozione dei residui rimasti a contatto con la ferita.
Le medicazioni a base di alginato non sono adesive ed hanno bisogno di un rivestimento secondario per l’adesione alla cute, la medicazione va cambiata quando è satura di essudato e questo avviene generalmente dopo sette giorni dall’applicazione [Lee K.Y., Mooney D.J., 2012].
L’alginato è un polimero che si adatta a diverse formulazioni:
Beads: sono microparticelle che vengono formulate sciogliendo l’alginato in acqua bidistillata ed unendolo al farmaco prescelto. A questo punto la soluzione viene estrusa da uno strumento automatico oppure viene gocciolata con l’utilizzo di una siringa. In questo modo si ha la formazione dei beads contenenti il farmaco. Un esempio è il lavoro di Gu F. et al, che propone la formulazione di beads di alginato per veicolare il VEGF (vascular endotelial growth factor) allo scopo di applicarli nel wound healing o nell’ingegneria dei tessuti vascolari [Gu F. et al, 2004].
Microcapsule: Blandino A. et al hanno formulato delle microcapsule di alginato contenenti glucosio ossidasi. Una soluzione contente glucosio ossidasi viene fatta gocciolare attraverso uno strumento automatico in una soluzione di alginato. Appena la goccia tocca la superficie si forma una membrana attorno ad essa, dovuta al cross-linking causato dagli ioni calcio dell’alginato. In questo modo si avrà la formazione delle capsule ed il rilascio controllato di glucosio ossidasi [Blandino A.
et al, 2001].
Sistemi “sponge-like”: nell’articolo di Bilgainya R. et al viene descritto il processo di formulazione di una spugna. Dal crosslinking tra gli ioni calcio, sodio carbossimetilcellulosa e sodio alginato si
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forma un gel, il quale viene liofilizzato generando la spugna, che può contenere nanoparticelle, come descritto nell’articolo, [Bilgainya R. et al, 2010] oppure microcapsule.