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Nell’aprile del 1909, a Rovereto, nacque una nuova rivista storica: «San Marco. Studi e materiali per la storia di Rovereto e della Valle Lagarina». Si trattava di un fatto rilevante, soprattut- to per l’operazione culturale che ne era alla base e che merita di essere indagata, poiché specchio esemplificativo di come la ‘Storia’ non risulti avulsa dal contesto e risenta delle circostan- ze, affatto peculiari, che attraversano le vite degli uomini e delle donne che sentono l’esigenza di riannodare i fili con il passato.

Cosa spingeva, quindi, uno sparuto manipolo di appassionati, per quanto agguerrito, determinato e consapevole di possedere una metodologia adeguata e innovativa, a distinguere ed elevare la propria voce fino ad intraprendere l’arduo lavoro di imposta- zione, strutturazione e gestione di una nuova rivista nei primi anni del XX secolo? Di certo non l’assenza di spazi o di possibi- lità pubblicistiche, considerato il fatto che tra fine Ottocento e inizio Novecento fiorivano, a vario titolo e con differenti ap- procci, le iniziative editoriali dedicate alla storia patria in area trentina.1 Non poteva neppure trattarsi della percezione di una

mancanza locale, quasi che le riviste fossero concentrate nel ca- poluogo e disinteressate alle valli, poiché, come si vedrà, pro- prio Rovereto offriva all’epoca un milieu culturalmente ricco e avanzato. E dunque perché a Rovereto?

1 D. Rasi, La cultura trentina fra Otto e Novecento: la stampa periodica, in M. Allegri (ed.), Rovereto in Italia dall’irredentismo agli anni del fascismo

(1890-1939), Accademia Roveretana degli Agiati, Rovereto 2002, pp. 215-

Il testo qui presentato cerca di rispondere a queste, e per la verità anche ad altre, più numerose, domande attraverso un tri- plice approccio: quello teso al mantenimento di un’attenzione alla biografia degli storici – principalmente tre: Quintilio Perini, Enrico Tamanini ed Ettore Zucchelli – coinvolti nella genesi della rivista; quello volto ad inserire questi percorsi biografici all’interno delle istituzioni che accolsero simili personalità e le posero a contatto con altre, principalmente l’Accademia Rove- retana degli Agiati e le istituzioni scolastiche superiori concen- trate nel centro urbano e che contribuivano all’incontro e alla coesistenza di spiriti che condividevano interessi e ideali; quel- lo, infine, che non distoglie lo sguardo dalla sfera politica, cul- turale e lato sensu passionale che attraversava la città in un pe- riodo così complesso come quello a cavallo tra XIX e XX seco- lo.

Si cercherà, in sostanza, di far emergere dal contesto alcune iniziative promosse da «uomini memoria», per usare una felice espressione di Fabrizio Rasera, ossia uomini che «sentono la memoria come proprio compito e vocazione» e di tentare di colmare quella lacuna evidenziata dallo storico roveretano lad- dove egli tratteggia la metodologia da dispiegare per una tale indagine «mettendo a raffronto biografie, ruoli sociali, soggetti- vità».2

1. Rovereto: cultura cittadina e cittadina culturale tra istan-

ze locali e nazionali

L’insieme eterogeneo degli studi dedicati a personaggi, per- corsi, eventi, istituzioni della città di Rovereto tra XIX e XX se-

2

F. Rasera, Politica dei monumenti in Trentino. Dal centenario dantesco

colo offre uno spaccato ampio e chiaro della vita culturale citta- dina a ridosso del Novecento.3

A partire dalla metà dell’Ottocento agli usuali promotori di cultura si affiancarono cultori di scienze e di storia patria prove- nienti dal funzionariato e dal ceto produttivo di una città che, all’epoca, si distingueva già per l’attività imprenditoriale nono- stante il progressivo declino dell’industria serica. Ne erano esponenti il giovane Silvio Andreis, Fortunato Zeni, Raffaele Zotti, Francesco Antonio Marsilli (cui gli studenti roveretani, capeggiati da Fabio Filzi, dedicarono una lapide nel 1909), An- gelo Marsilli, Giovanni Battista Noriller, Antonio Pischl, Do- menico Sartori, molti dei quali pilastri costitutivi del neonato (1851) Museo cittadino di Rovereto (ora Museo civico). Queste personalità della borghesia cittadina contribuirono a diffondere la cultura e ad ampliarne il portato verso la società, mescolando il proprio operato a quello di nomi importanti della nobiltà e del clero, da sempre impegnati nelle locali istituzioni culturali, co- me l’Accademia Roveretana degli Agiati (fondata nel 1750) o la Biblioteca civica.4 Ma nella stretta collaborazione e condivisio-

3

Basti qui citare i volumi miscellanei dedicati alla città tra inizio Ottocen- to e prima metà del Novecento curati da Mario Allegri: M. Allegri (ed.), Ro-

vereto, il Tirolo, l’Italia: dall’invasione napoleonica alla belle époque, Acca-

demia Roveretana degli Agiati, Rovereto 2001 (Memorie dell’Accademia Roveretana degli Agiati, II/4); M. Allegri (ed.), Rovereto in Italia dall’irre-

dentismo agli anni del fascismo (1890-1939), Accademia Roveretana degli

Agiati, Rovereto 2002 (Memorie dell’Accademia Roveretana degli Agiati, II/5). Altri riferimenti più puntuali a opere relative a istituzioni, famiglie, pa- lazzi verranno segnalati in maniera più adeguata successivamente.

4 Alcuni nomi possono essere quelli delle figure presenti nell’Accademia degli Agiati e, contemporaneamente, dell’erigendo Museo cittadino, come ad esempio don Paolo Orsi, don Eleuterio Lutteri, don Giuseppe Pederzolli, il barone Cesare Malfatti. Altri illustri religiosi intellettuali roveretani attivi nel- le istituzioni culturali oltre la metà dell’Ottocento e che recepirono e protesse- ro l’insegnamento rosminiano furono don Giovanni Bertanza, monsignor An- drea Strosio, don Francesco Paoli. Sull’Accademia degli Agiati vd. M. Bo- nazza, L’Accademia Roveretana degli Agiati, Accademia Roveretana degli Agiati, Rovereto 1998; M. Bonazza, Accademia Roveretana degli Agiati. In-

ventario dell’Archivio (secoli XVI-XX), Accademia Roveretana degli Agiati,

ne di spazi intellettuali era insita una grande differenza ab ori-

gine: l’istituzione del Museo civico di Rovereto nacque già in

un contesto «patriottico» (nel valore ottocentesco attribuibile a tale aggettivo), non procedette tramite l’acquisizione di un pre- cedente fondo familiare o personale (come nel caso della Biblio- teca civica intitolata a Girolamo Tartarotti proprio perché fonda- ta sull’acquisizione nel 1764 della biblioteca del noto intellet- tuale settecentesco) e neppure da un lascito testamentario, ma come progetto condiviso di unità cittadina che, partendo da pic- cole collezioni e da singoli oggetti, creasse una memoria della patria, un patrimonio, appunto, comune.5

Negli stessi anni il Comune provvedeva all’acquisto di pa- lazzo Piomarta con l’obiettivo di riunire in un’unica sede (il «Palazzo della pubblica istruzione») le scuole cittadine;6 in bre-

ve tempo diverrà, oltre che il contenitore della cultura civica per eccellenza (scuole superiori, Biblioteca, Accademia – pur solo nelle sedute annuali – e Museo), il luogo della memoria monu- mentale, nel quale commemorare gli ingegni patri con una poli- tica celebrativa che vivrà nell’ultimo decennio dell’Ottocento e il primo del Novecento la sua stagione più importante e contro- versa.7

Se si insiste brevemente sulla situazione culturale della città nel periodo compreso tra le tre Guerre d’Indipendenza lo si fa perché in quel periodo, ma soprattutto dopo il 1866,8 germina-

5

Su questo peculiare elemento identitario del Museo civico vd.: R.G. Mazzolini, «Il sublime linguaggio della materia raccolta nei Musei». Il caso

del collezionismo scientifico nel Trentino (1815-1918), «Archivio Trentino.

Rivista di studi sull’età moderna e contemporanea», n. 1 (1999), pp. 133-203; F. Rasera, Scienza, patria, città, in F. Rasera (ed.), Le età del museo. Storia,

uomini, collezioni del Museo civico di Rovereto, Osiride, Rovereto 2004, pp.

18-20.

6 Q. Antonelli, In questa parte estrema d’Italia. Il Ginnasio Liceo di Ro-

vereto (1672-1945), Nicolodi, Rovereto 2003, pp. 133-136.

7 F. Rasera, Politica dei monumenti, in particolare pp. 327-332.

8 Sulla questione ginnasiale Roveretana dopo il 1866 vd. le considerazioni di Giovan Battista Filzi, preside del liceo e padre dei due fratelli irredentisti, riportate in E. Zucchelli, Il Ginnasio di Rovereto in duecentocinquant’anni di

rono quelle posizioni che tanta parte avrebbero avuto nella ge- nerazione successiva, orientandola e influenzandola in un’ottica di riscoperta e difesa di quelle tradizioni necessarie a ribadire una comune identità patriottica, che diventò, col passare del tempo, sempre più nazionale. In tutto ciò i luoghi e le istituzioni citati rivestirono un ruolo importante fin dalla metà dell’Otto- cento e subirono direttamente le politiche repressive asburgiche con l’allontanamento di alcuni docenti (Venturini, Bertanza nel 1860) e studenti dal ginnasio cittadino per posizioni giudicate eccessivamente filo-italiane, parziale conclusione di un giro di vite che aveva coinvolto quello stesso anno Fortunato Zeni, Sil- vio Andreis, Angelo Marsilli e Cesare Cavalieri (di Isera), in- ternati per un anno in Moravia.9

Del resto, si tratta degli stessi anni (1861) in cui il principale periodico di Rovereto (che sarà poi soppresso dall’Austria nel 1866) mutò il proprio nome, sotto la guida di Antonio Caumo,

Rovereto», 4 (1921-1922), pp. 133-134; citato anche in Q. Antonelli, In que-

sta parte estrema, p. 161. In quell’anno Ettore Zucchelli scriveva inoltre: «È

lecito affermare come non dubbio che, fin bene addentro al secolo passato, la festa di San Marco ebbe carattere unicamente religioso e cittadino. Forse si ricordava con un sentimento di orgoglio che lo stesso Santo aveva, nello stes- so giorno, la sua celebrazione a Venezia, ricca di grandezza e di memorie. Qualcuno, forse, rammentava anche il buon dominio veneto a Rovereto. Ma finché Venezia era soggetta all’Austria, anche il ricordo della passata, lontana dominazione non poteva avere che un valore storico. Tutt’al più il desiderio, vivo solo negli intellettuali, di veder riunita Rovereto e la sua valle a Venezia, poteva alimentare la speranza di un più sollecito ricongiungimento all’Italia. Da quando, dopo la guerra del 1866, Venezia, a capo di tutta la regione a cui dà il nome conseguì la sua libertà nazionale e divenne Italia, allora, a poco a poco ma sensibilmente, anche le memorie veneziane a Rovereto s’impre- gnarono e si colorirono d’un nuovo spirito e d’un nuovo significato». E. Zuc- chelli, San Marco irredentista, in Viva S. Marco!, a cura del Comitato della festa di San Marco, Rovereto 1922, pp. 13-15.

9 Vd. F. Rasera, Collezionismo scientifico, virtù civiche, lotta nazionale:

una lettura politica dell’epistolario di Fortunato Zeni, in M. Allegri (ed.), Rovereto, il Tirolo, l’Italia, pp. 597-612.

da «Il Messaggiere Tirolese» a «Il Messaggiere di Rovereto», scelta evidentemente gravida di risvolti politici.10

Si tratta infine, come ben dimostrato da chi si è occupato di cultura e politica in quei difficili anni, di un momento in cui vennero scoperti e, in alcuni casi, creati alcuni miti nazionali che avrebbero avuto lungo corso fino al ricongiungimento del Trentino all’Italia a ogni livello: da quelli sovralocali, come quello di Dante – simbolo «di un’identità nazionale oppressa o messa in discussione»,11 rivisto a seconda dei vari ambienti non

solamente come «grande italiano», «orgoglioso patriota», «gran- de cattolico», «poeta della giustizia», ma anche come fulgido esempio del binomio ‘lingua-italianità’12 – a quelli squisitamen-

te locali (si pensi a Rosmini, Vannetti, Tartarotti, al mito di Ve-

10 «A sfida del governo e dei tirolesi il giornale [dal 1861 il Messaggiere di Rovereto] si chiamò col 2 gennaio 1866, quando le speranze di liberazione parevano prossime ad avverarsi, Messaggiere del Trentino, ma l’autorità mili- tare lo soppresse l’11 luglio di quell’anno. Fatto rinascere a Verona dal suo redattore Antonio Caumo, venne a cessare nel 1867»: E. Brol, Il giornalismo

patriottico trentino in una lettera di Giovanni a Prato, «Rassegna storica del

Risorgimento», 38 (1951), p. 278. Si veda inoltre C. Gallo, I Caumo, «Il Mes-

saggiere Tirolese» e «L’Adige». Appunti per la storia di una famiglia Rovere- tana di giornalisti ed editori, in M. Allegri (ed.), Rovereto, il Tirolo, l’Italia,

pp. 615-618.

11 F. Rasera, Collezionismo scientifico, p. 611. Si pensi alla politica dei monumenti legata a Dante Alighieri, per la quale si rinvia a M. Garbari, B. Passamani (edd.), Simboli e miti nazionali tra ‘800 e ‘900, Atti del convegno di studi internazionale (Trento, 17-19 aprile 1997), Società di Studi Trentini di Scienze Storiche, Trento 1998 e al citato F. Rasera, Politica dei monumen-

ti.

12 M. Garbari, Il Trentino fra Austria e Italia: un territorio di confine

nell’età dei nazionalismi, in M. Garbari, B. Passamani (edd.), Simboli e miti nazionali, p. 19. Sul ruolo della lingua come fondamentale elemento di rispet-

to delle prerogative delle minoranze all’interno dell’Impero (contestata dagli

Alldeutschen) vd. il recente M. Bellabarba, Il Trentino, il Tirolo, la monar- chia asburgica: politica e geografia tra i due secoli, in L. Dal Prà (ed.), Tem- pi della storia, tempi dell’arte. Cesare Battisti tra Vienna e Roma, Provincia

autonoma di Trento; Castello del Buonconsiglio. Monumenti e collezioni provinciali, Trento 2016, pp. 31-40.

nezia) cui taluni tentano di attribuire un valore sovracittadino,13

che avremo modo di presentare qui sotto e che ben si intessono con la ricerca della «San Marco» e degli operatori culturali ro- veretani al volgere del secolo.

2. Un’istituzione culturale tra nazione, tradizione e innova-

zione: gli Agiati, le polemiche interne e la battaglia antiacca- demica

Secondo chi si è occupato dell’organizzazione e della vita dell’Accademia Roveretana degli Agiati il quarto di secolo pri- ma della Grande Guerra ebbe un carattere straordinario, grazie in particolare a una matura gestione organizzativa, a una nuova percezione del ruolo del sodalizio all’interno del contesto cultu- rale regionale e al contributo di personalità di spicco della cultu- ra trentina.14 Tali aspetti sono già sufficientemente noti a chi si

occupa di storia della città o, più in generale, dello sviluppo del- la cultura e delle scienze locali a cavallo tra Ottocento e Nove- cento. La scelta di dedicare un paragrafo alla poliedrica e com- plessa presenza dell’Accademia per delinearne la vita interna, la produzione scientifica e gli ideali politici (posto che essi fossero univoci all’interno delle varie e complesse personalità degli uomini-chiave dell’istituzione) non è dettata da un’esigenza compilativa, ma, al contrario, funzionale, sia perché le esistenze dei tre storici che diedero origine alla «San Marco» si intreccia- rono a vario titolo con la vita di questo coetus litterarius – Peri-

13 Si pensi all’atteggiamento dimostrato da Ferdinando Pasini, contributo- re e membro del comitato scientifico della rivista «San Marco», nelle lettere a Gino Marzani in merito al monumento in favore di Clementino Vannetti eret- to nella loggia di palazzo Del Bene-d’Arco nel maggio del 1908: F. Rasera, Il

palazzo monumento. Simboli e riti nazionali nella Rovereto del primo Nove- cento, in S. Lodi (ed.), Palazzo Del Bene a Rovereto. Da residenza patrizia a sede bancaria, Fondazione Cassa di risparmio di Trento e Rovereto, Trento

2013, p. 224. 14

M. Bonazza, L’Accademia, pp. 51-52; M. Bonazza, Accademia, pp. XXVIIIss.

ni, Tamanini e Zucchelli furono infatti, pur secondo una diffe- rente tempistica, soci accademici –; sia perché per uno di essi, Quintilio Perini, la volontà di fondare una nuova rivista va indi- viduata – come si vedrà tra breve – nella scelta, personalissima, di evadere dalla difficile coesistenza con altre figure di spicco dell’Accademia a cavallo tra il primo e il secondo decennio del Novecento; sia, infine, perché uno di essi (Ettore Zucchelli) fu per anni, prima di aderirvi alla ripresa della vita associativa al- cuni anni dopo la conclusione del primo conflitto mondiale, fie- ro contestatore di questa istituzione e di ciò che essa incarna- va.15 Non deve infine sfuggire il fatto che la nascita della nuova

rivista andava affiancandosi, a tratti contrapponendosi, alla pubblicazione degli «Atti» dell’Accademia, usciti regolarmente dal 1883.16

È già stato notato17 come a partire dagli inizi del Novecento,

e in particolare dal momento in cui il Governo austriaco auto- rizzò18 l’Accademia a custodire gli archivi notarili e comunali

del distretto di Rovereto, si possa riscontrare negli atti accade- mici un numero via via crescente di saggi inerenti alla storia lo- cale. A maggior ragione, quindi, emerge la necessità di indagare come mai, a fronte di tale aumento, dal 1909, anno di fondazio- ne della «San Marco», gli «Atti» non sembrassero – o non sem- brassero più – adeguati alla pubblicazione di notizie relative alla storia patria.

Che questa presa di posizione potesse dipendere anche da un atteggiamento giudicato eccessivamente prudente dell’Accade- mia nei confronti di Innsbruck e Vienna va dimostrato. È vero che gli Agiati mantennero tra il volgere e del secolo e il primo decennio del Novecento – anche prima dello studio di Carlo

15 Vd. Appendice, n. 2.

16 M. Bonazza, L’Accademia, pp. 47-48; D. Rasi, La cultura, pp. 215-217. 17 M. Garbari, Libertà scientifica e potere politico in due secoli di attività

dell’Accademia Roveretana degli Agiati, Accademia Roveretana degli Agiati,

Rovereto 1981, pp. 45-46.

Teodoro Postinger dedicato alle costituzioni dell’Accademia19

che valse all’istituzione la cancellazione dal ruolo delle associa- zioni con relativo allentamento della censura e delle restrizioni di legge previste per queste ultime (1898)20 – un atteggiamento

marcatamente filo-italiano, tanto dal punto di vista dell’impegno nella difesa dell’identità locale dall’attacco pangermanista,21

quanto nel sostenere festosamente celebrazioni favorevoli al mantenimento della memoria di illustri compatrioti, spesso au- tentiche glorie accademiche che divenivano talvolta – al di là delle intenzioni dei membri dell’Accademia – terreno di scontro tra irredentisti e autorità locali.22 Tuttavia fecondi e costanti

erano stati e continuavano a essere, per ovvie ragioni di soprav- vivenza della società stessa, i rapporti con la casa regnante asburgica e con le istituzioni austriache23 e tra le file accademi-

19

C.T. Postinger, Delle costituzioni e del governo dell’i.r. Accademia di

Scienze Lettere ed Arti degli Agiati in Rovereto, «Atti dell’i.r. Accademia di

Scienze Lettere ed Arti degli Agiati», s. 3, 4 (1898), pp. 97-130.

20 Si rimanda al saggio di Carlo Andrea Postinger presente in questo vo- lume.

21 A Rovereto era stato attivo, a partire dal 1856 e poi stabilmente dal 1858 presso il liceo cittadino, Christian Schneller, esponente di spicco del

Deutschtum, bersaglio delle critiche cittadine soprattutto a seguito dell’an-

ticipata e forzata messa in quiescenza di due docenti, i proff. Venturini e Ber- tanza, ufficiosamente puniti per le proprie posizioni filoitaliane: Q. Antonelli,

In questa parte estrema, p. 167. Sull’operato di Christian Schneller vd. il re-

cente S. Forrer, Christian Schneller studioso di confine: cultura popolare del Wälschtirol e difesa del Deutschtum, «Studi Trentini. Storia», 96 (2017), pp. 117-143.

22 Si pensi alla vicenda dello scoprimento dei busti dedicati a Vannetti a Isera nel 1906 e a Rovereto nel 1908 (F. Rasera, Politica dei monumenti, pp. 348-352); ma anche alle posizioni espresse dall’Accademia a difesa di Tarta- rotti e Rosmini che venivano spesso ampliate in chiave anticlericale o nazio- nale negli scontri politici, spesso animati dalle associazioni studentesche.

23 Ad esempio, l’Accademia partecipa al giubileo imperiale di Francesco Giuseppe (del 1908) con un fascicolo commemorativo contenente delle brevi biografie di medici trentini che furono archiatri alla corte di Vienna (intenzio- ni espresse dal presidente Dr. Guido de Probizer al punto 3 dell’adunanza del corpo accademico del 27 giugno 1908: Archivio Storico dell’Accademia Ro- veretana degli Agiati [d’ora in poi AARA], Registri dei Verbali, sc. 5, 18). Si legge che in seno al corpo accademico (dei soci residenti) «l’offerta viene ac-

che era possibile rintracciare anche illustri studiosi austriaci, re- centemente associati, come il Mayr ed il Voltelini;24 del resto

molti animatori culturali dell’Accademia risultavano a vario ti- tolo dipendenti del governo imperiale.

Questo aspetto causò una vicenda degna di essere seguita proprio nell’anno di fondazione della «San Marco», vale a dire tra gli ultimi mesi del 1908 e il 1909. Una decina di anni dopo le forzate dimissioni del presidente precedente, il conte Filippo Bossi Fedrigotti, a seguito della polemica con il consiglio acca- demico per le modalità con cui aveva gestito le celebrazioni per la ricorrenza del centenario della nascita di Rosmini,25 i vertici

accademici vennero nuovamente scossi da gravi insinuazioni, questa volta evidentemente politiche, relative alla posizione del- l’Accademia nei confronti del governo austriaco. Nell’adunanza del consiglio accademico del 6 gennaio 190926 il presidente,

Guido de Probizer, lamentò infatti come vi fosse da tempo chi

colta con piacere». Lo stesso presidente, che dice di possedere una prolusione del medico Stoffella Roboretanus intorno alla pellagra (che verrà aspramente criticata da Zucchelli nel 1909, vd. più oltre, nota 41) insieme al vicepresiden- te Bettanini, a Perini e a Gustavo Chiesa prenderà parte al comitato speciale che si occuperà della questione. La pergamena d’omaggio dell’Accademia per il giubileo fu inviata il 26 novembre 1908 e il 2 dicembre successivo la Presidenza prese parte alla solenne funzione in San Marco per la celebrazione in onore dell’imperatore.

24 Di Mayr e Voltelini parlano in questo volume Walter Landi e Marco Bellabarba. Michael Mayr, attivo compilatore delle Memorie dell’i.r. Acca-

demia di Scienze Lettere ed Arti degli Agiati in Rovereto pubblicate per commemorare il suo centocinquantesimo anno di vita, Grigoletti, Rovereto

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