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1.7 L’OBESITA’ COME MALATTIA MULTIFATTORIALE

1.7.1 Le alterazioni lipidiche nella popolazione in sovrappeso o obesa

In stato di sovrappeso/obesità in genere, vi è una franca ipertrigliceridemia, dal punto di vista funzionale questa alterazione ha una causa, e una serie di implicazioni metaboliche, ormai ben note. La presenza di ipertrigliceridemia è infatti in genere conseguenza dell’elevato afflusso di acidi grassi liberi al fegato, che nel paziente con

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sovrappeso o obesità è attribuibile alla riduzione della sensibilità delle lipasi del tessuto adiposo all’azione inibitoria (antilipolitica) dell’insulina. Questo aumentato afflusso di acidi grassi liberi al fegato comporta un’aumentata sintesi e rilascio di lipoproteine nel circolo sistemico (si tratta delle cosiddette very low density

lipoproteins o VLDL) e quindi in una serie di alterazioni a catena delle caratteristiche

delle lipoproteine stesse che esita in un pattern di riconosciuta aterogenicità. L’elevata quantità e la relativa ricchezza in trigliceridi delle VLDL (le lipoproteine, come si ricordava, sintetizzate dal fegato ed immesse in circolo) comporta infatti una maggiore presenza degli stessi trigliceridi anche nelle lipoproteine a densità intermedia (IDL) e soprattutto nelle LDL che derivano dalle VLDL (Despres e Krauss, 1998; Superko HR, 1996). Inoltre, l’ipertrigliceridemia attiva un meccanismo enzimatico di scambio, mediato da un enzima denominato CETP (cholesteryl ester transfert protein) che scambia esteri del colesterolo con trigliceridi. In presenza di un eccesso di trigliceridi nelle VLDL questa via è particolarmente attiva, con il risultato di un ulteriore passaggio di trigliceridi verso le LDL e le HDL, bilanciato dal punto di vista molecolare dal passaggio di esteri del colesterolo in senso inverso (dalle LDL e dalle HDL verso le VLDL). I trigliceridi, a differenza degli esteri del colesterolo, sono tuttavia metabolicamente poco stabili e in particolare sono attaccabili dalle lipasi presenti nel circolo ematico o a livello della parete capillare (sia la lipasi lipoproteica o LPL, sia la lipasi epatica o HL). L’idrolisi dei trigliceridi, presenti in eccesso nelle LDL nel paziente sovrappeso o obeso per i meccanismi appena ricordati, porta, come conseguenza, ad una sorta di svuotamento del nucleo lipidico delle LDL stesse, e a una conseguente diminuzione del loro volume. La riduzione del contenuto di trigliceridi, caratterizzati come è noto da una densità piuttosto bassa, aumenta inoltre anche la densità delle lipoproteine LDL così

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modificate, formando particelle più piccole e più dense, denominate appunto small-

dense LDL dagli autori anglosassoni. E’ importante sottolineare che le small-dense LDL sono notoriamente più aterogene delle LDL normali, più ampie e più leggere:

probabilmente per la loro maggiore capacità di penetrare nel subendotelio (grazie alle ridotte dimensioni), ma anche – e soprattutto – per la loro limitata capacità di resistere allo stress ossidativo, che le porta a convertirsi, soprattutto nello strato sottoendoteliale della parete arteriosa, in LDL ossidate, in grado di attivare i meccanismi della chemiotassi, la penetrazione di cellule infiammatorie ed, in ultima analisi, i meccanismi dell’aterogenesi (Grundy SM., 2004; Ross R., 1999). Anche le lipoproteine HDL sono soggette all’arricchimento in trigliceridi mediato dalla CETP e, successivamente, all’attacco delle lipasi (specie la lipasi epatica): anch’esse tendono quindi ad avere dimensioni ridotte nei soggetti in sovrappeso o obesi. Questa modificazione strutturale sarebbe inoltre associata a una perdita dell’attività antiaterogena che caratterizza queste particelle in condizioni normali. Il progressivo svuotamento della particella dell’HDL, tra l’altro, facilita la perdita per via renale dell’ApoA-I, la principale apolipoproteina costitutiva delle HDL stesse: il che implica, di fatto, una diminuzione dei loro livelli nel plasma. La presenza di bassi valori della colesterolemia HDL nei pazienti con sovrappeso/obesità è infatti un dato relativamente costante (Verges et al., 2006). Dal punto di vista generale, è interessante osservare a questo proposito che le alterazioni lipoproteiche prima ricordate (aumento della trigliceridemia e riduzione dei valori del colesterolo HDL) sono decisamente più rappresentate tra i soggetti con obesità viscerale rispetto ai soggetti con obesità semplice. E’ interessante notare che il calo di peso, comunque ottenuto, tende a migliorare il profilo lipidico del paziente, riducendo la trigliceridemia, aumentando la colesterolemia HDL e modificando il pattern delle

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lipoproteine LDL dal fenotipo a maggiore densità e minori dimensioni prima ricordato (fenotipo aterogeno o B) verso il fenotipo a maggiore dimensione e minore densità (fenotipo non aterogeno o A). Il calo del peso corporeo contribuisce quindi anche a migliorare la dislipidemia aterogena che contribuisce in maniera determinante al rischio coronarico di questi pazienti.

Infine, è ancora opportuno ricordare che alcuni dei componenti della tipica alimentazione moderna sono in grado di influenzare sfavorevolmente questi parametri lipidici, e vanno pertanto selettivamente ridotti (al di là dell’esigenza ovvia di controllare l’apporto calorico totale) nel paziente con soprappeso o obesità. Gli acidi grassi insaturi della serie trans, caratterizzati dalla presenza di almeno un doppio legame con questa conformazione, probabilmente per la loro capacità di legarsi con effetto inibitorio sui recettori nucleari denominati PPAR alfa, hanno per esempio una documentata capacità di ridurre la colesterolemia HDL; il loro consumo va quindi ridotto, e se possibile eliminato, nei soggetti con sovrappeso e obesità. Il consumo di acidi grassi della serie trans, inoltre, si associa ad una progressiva attivazione dei fenomeni della flogosi, documentati da un aumento dei livelli della PCR passando da consumi relativamente bassi (l’1% dell’energia totale) fino a consumi relativamente elevati (il 3% circa del totale): un fenomeno che si sovrappone, peggiorandolo, all’aumento dei livelli degli stessi indicatori di infiammazione che si osserva, di per sé, in presenza di sovrappeso o obesità.

Sul piano del consumo dei carboidrati è invece essenzialmente l’indice glicemico dei carboidrati stessi a condizionare il loro effetto sul profilo lipidico: il consumo di carboidrati ad alto indice glicemico (alcuni zuccheri semplici come il glucosio, ma anche alcuni amidi ad elevata digeribilità come le patate o il pane) si associa infatti ad un aumento della trigliceridemia, ad una riduzione della colesterolemia HDL, ad

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un aumento dei livelli plasmatici della proteina C-reattiva (PCR). La scelta di amidi a basso indice glicemico rappresenta quindi probabilmente l’opzione più interessante per il paziente con soprappeso o obesità, anche con l’obiettivo di migliorare il suo profilo lipidico. Il consumo di alimenti, e specificamente di amidi ad alto indice glicemico si associa infatti a un rapido rilascio di glucosio nell’intestino e a un rapido aumento della glicemia che, in assenza di un rapido impiego del glucosio ottenuto con obiettivi energetici, induce ipertrigliceridemia e aumento dello stress ossidativo. In conclusione, il paziente con sovrappeso/obesità presenta in genere una tipica alterazione del profilo lipidico, caratterizzata da ipertrigliceridemia, bassi valori del colesterolo HDL, LDL non aumentate quantitativamente ma con caratteristiche di maggiore densità e minori dimensioni (LDL piccole e dense) che contribuiscono in modo significativo all’aumentato rischio coronarico e cardiovascolare di questi pazienti. Anche l’adozione di specifiche scelte di natura dietetica, con l’eliminazione degli acidi grassi della serie trans ed il consumo preferenziale di alimenti a basso indice glicemico, può contribuire, oltre al controllo ponderale stesso, a migliorare questo importante aggregato di fattori di rischio cardiovascolare (Mozaffarian et al., 2006).