• Non ci sono risultati.

L’alternativa filosofica: a partire da Emanuele Severino verso la prospettiva della pura differenza

IN DIALOGO CON EMANUELE SEVERINO E RAIMON PANIKKAR

3. L’alternativa filosofica: a partire da Emanuele Severino verso la prospettiva della pura differenza

L’unica possibile alternativa a tale scenario è quella che prende le distanze dalla concezione per la quale l’identità è la negazione delle differenze, e per converso la differenza è la negazione dell’identità. Ma questo esige che la differenza si distingua dalla negazione, perché altrimenti il rapporto tra l’identità e la differenza comporta una qualche forma di negazione reciproca. Per questo la prospettiva filosofica che propongo è quella che è in grado di distinguere la differenza dalla negazione, rivelando in tal modo quella che io chiamo la pura differenza (come si preciserà in seguito). Solo in tal modo, infatti, diventa concepibile che una determinazione si costituisca differenziandosi dalle altre in una maniera positiva: una maniera che, appunto per ciò, è differente da

quella negativa. In tal modo l’identità autentica (di tipo etnico, religioso, culturale, statuale etc.) è quella che si costituisce rapportandosi alle altre identità (e con ciò stesso, quindi, differenziandosi da queste) in una maniera tale che la relazione differenziante è nello stesso tempo una conferma dell’identità di ciascuna delle differenti determinazioni.

Questa prospettiva, che in prima battuta può apparire semplicemente come una vaga aspirazione “buonista”, in realtà risulta pensabile solo a condizione che si siano risolti i nodi filosofici fondamentali. Anzi, essa è precisamente il risultato del più

rigoroso pensiero filosofico. Si tratta infatti di capire che la verità

basata sul principio per cui ogni differenza è una negazione – e quindi poi anche che ogni determinazione è una negazione (omnis

determinatio est negatio: come insegnano Spinoza e Hegel, solo per

nominare i due principali esponenti di tale concezione) – conduce inevitabilmente a quella che Emanuele Severino chiama “la distruzione di tutti gli immutabili” e che io, al fine di portare esplicitamente alla luce il carattere contraddittorio di tale situazione, indico con la formula “la negazione di tutti gli innegabili”, sfociando così nel nichilismo conclamato, giacché in questo modo il negativo viene ad essere nello stesso tempo innegabile e intrascendibile. Infatti, se negativo è tutto ciò che si determina mediante la negazione, allora anche il non negativo è negativo, e quindi anche il differente dal negativo (assumendo appunto che la differenza equivalga a una negazione) è non negativo e quindi, come prima, negativo. Alla prospettiva nichilistica che conduce alla negazione di tutte le verità, Emanuele Severino contrappone la verità davvero innegabile, cioè quella fondata sul fatto che persino

la sua negazione la conferma (fondazione elenctica).1 Così, per esempio, il principio di opposizione è inoppugnabile, perché persino chi si opponesse ad esso ne confermerebbe la validità, e farebbe ciò precisamente per il fatto che il suo è un atto di opposizione. La verità innegabile, quindi, resta definita come quella che è confermata persino dalla propria negazione.

Per parte mia faccio vedere come questa definizione di verità innegabile comporti alcune conseguenze assolutamente rilevanti, alle quali di solito non si presta attenzione.1 La prima, fondamentale conseguenza è che la verità innegabile, nella misura in cui si presenta come una negazione, si configura come un’autonegazione, cioè come una contraddizione. Perché la verità, se nega, nega la propria negazione (la non-verità); ma abbiamo visto che la verità è definita dal fatto che persino la sua negazione la conferma; sicché la verità, se nega, nega necessariamente la non-verità, ma cioè qualcosa che a sua volta afferma la verità, e quindi almeno in qualche senso nega se stessa. Questa circostanza può essere sinteticamente compendiata nella formula che dice: “in verità, ogni negazione è

un’autonegazione, cioè una contraddizione”. Al fine di confrontarla

con il principio precedentemente ricordato (omnis determinatio est

negatio) possiamo formularla in latino, e dire: omnis negatio est contradictio (ogni negazione è una contraddizione). Questo confronto

potrebbe essere presentato a sua volta come una forma di

opposizione, intendendo però questa volta tale termine in un senso

che si richiama essenzialmente al significato originario del termine “ob-”, o comunque a quel particolare significato di ob- che si può tradurre appunto con “di fronte” piuttosto che con “contro”. Di fronte all’uomo può stare il suo amore, cioè la sua vita ovvero il suo sole, ma può stare anche l’esercito nemico che è in marcia contro di lui per ucciderlo. Così, l’op-posizione è la posizione di qualcosa che, a determinate condizioni, può assumere la forma della negazione e quindi, in qualche misura, anche della necazione (cioè del contrasto, della distruzione e della uccisione), ma che, per altro verso, si può presentare anche nella forma del semplice stare l’uno davanti all’altro da parte di due differenti soggetti. A proposito di etimo latino, e in relazione al termine “necazione”, è il caso di ricordare che la parola “negazione” rimanda alla radice nĕx, nĕcis, la quale significa morte (tendenzialmente violenta), quindi uccisione, strage, e simili.

Si manifesta qui il fatto che la parola “negazione” esprime una nozione complessa e composta, la quale rimanda ad almeno due

significati fondamentali: la necazione, appunto, e una relazione di altro tipo, di carattere ‘positivo’. La necazione è infatti ciò che rende negativo (contrastante, o contrappositivo) il rapporto tra i due poli che stanno in una relazione di reciproca negazione, e quindi rende ciascuno dei due un negativo, qualcosa che si contrappone al positivo. La differenza è invece il rapporto per il quale due poli che sono in relazione si costituiscono reciprocamente: ciascuno dei due si co-istituisce mediante la relazione con l’altro: padre e figlio si costituiscono come tali appunto mediante la relazione che li differenzia. Così, il termine “negazione” (se vogliamo ridurre all’essenziale un problema in realtà assai complesso e variegato) significa “necazione” e insieme anche “co-istituzione”. Potremmo dire che esso significa insieme “necazione” e “differenza”; ma il problema è che normalmente noi intendiamo il termine “differenza” come sintesi, a sua volta, di “co-istituzione” e “negazione”, e quindi sottintendiamo implicitamente che ogni differenza è, appunto, una negazione. A questa condizione, però, risulta allora vana la pretesa di distinguere la op-posizione positiva da quella negativa (cioè dalla

contra(p)-posizione), giacché ogni op-posizione, dal momento che

comporta una differenza tra i due poli che stanno l’uno di fronte all’altro, viene automaticamente intesa come una contrapposizione, e quindi come qualcosa che li rende entrambi negativi. In siffatta impostazione, la posizione della differenza implica quella della negazione, e quindi implicitamente anche della necazione, sicché ogni realtà che si voglia porre come differente dagli oggetti negativi viene per ciò stesso ad essere pensata, automaticamente, come un

negativo. In tal modo il tentativo di distinguere il positivo dal

negativo fallisce, perché cadiamo inesorabilmente in quella che io chiamo “la trappola del negativo”. L’unica possibilità di distinguere il positivo dal negativo, cioè di porre un’autentica differenza tra i due, è quella di prestare attenzione alla distinzione tra l’aspetto positivo o co-istitutivo della differenza (che appunto per questo io chiamo “pura differenza”) e l’aspetto negativo (cioè misto di co-istituzione e di

positivo e quello necativo della negazione. Solo a questa condizione risulta possibile distinguere positivamente il positivo dal negativo; positivo che in tal modo, proprio in quanto distinto dal negativo mediante la pura differenza, viene a presentarsi come puro positivo.

Ma la prospettiva per cui ogni negazione è una contraddizione ha una seconda, decisiva conseguenza, consistente in quel punto di vista che possiamo chiamare “onnialetismo” perché può essere compendiato dalla seguente formula: “in verità, vi è un aspetto per il quale tutte le proposizioni sono necessariamente vere”. Ciò vuol dire che in ogni autentica proposizione vi è un aspetto di assoluta verità, assoluta in quanto essa resta tale anche nell’eventualità che la stessa proposizione si presenti come falsa; cosa che richiede, evidentemente, che la verità della proposizione si distingua dalla sua falsità, ma appunto mediante la pura differenza. La verità di ogni proposizione può qui essere intesa come assoluta se non altro nel senso che, appunto in base al principio che ogni negazione è una contraddizione, la negazione della verità di una proposizione risulta automaticamente essere una contraddizione. Più precisamente, la ‘dimostrazione’ dell’onnialetismo può essere compendiata nel modo che segue. Ogni proposizione implica l’affermazione della propria verità (ogni proposizione afferma in qualche modo di essere vera); sicché, se la verità negasse questa autodichiarazione di verità, essa verrebbe, in quanto negativa, ad essere autonegativa (come sopra abbiamo visto). Dunque ogni proposizione, in quanto la negazione della sua verità è autonegazione, è necessariamente vera.

Documenti correlati