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Gli altri settori dell’ordinamento.

II SEZIONE LE DISCIPLINE PRIVATISTICHE.

9. Gli altri settori dell’ordinamento.

Alla feconda produzione legislativa nel settore dell’occupazione, non corrisponde un’altrettanto intensa regolamentazione del problema delle discriminazioni negli altri ambiti della vita sociale. Solo in epoca recente, infatti, il legislatore ha ritenuto opportuno colmare tale lacuna dell’ordinamento e ha dato corso, anche grazie all’impulso europeo, all’elaborazione di discipline volte ad introdurre una vasta gamma di divieti di discriminazione.

I principali interventi normativi in materia sono rappresentati dal Decreto legislativo n. 286 del 25 luglio 1998220 e dal D.lgs. 215 del 9 luglio 2003221, relativo all’attuazione della direttiva 2000/43/CE, per la parità di trattamento delle persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, per l’analisi dei quali si fa rinvio ai capitoli II e III. Appare opportuno, invece, menzionare in questa sede, la legge n. 67 del 1º marzo 2006, di grande rilievo, in quanto introduce una normativa specificamente volta ad garantire un apparato di tutele per i disabili vittime di discriminazioni.

La legge, in sostanza, va a colmare la lacuna lasciata dal D.lgs. 216/2003, il quale, come si è detto, attua il principio di parità di trattamento in relazione svariati fattori di rischio, tra cui viene ricompresso l’handicap, ma con esclusivo riferimento al contesto lavorativo.

Con la L. 67/2006 viene, invece, affrontato il problema della tutela delle persone disabili in una prospettiva generale, predisponendo un sistema di strumenti giuridici

219 Divieto sancito dall’art. 1 comma I della L. 1977/903, su cui incide la modifica.

220 Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione

dello straniero. Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 18 agosto 1998 n. 191, S.O. n. 139.

221

Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 12 agosto 2003, n. 186, come modificato dal D.lgs. n. 256 del 2 agosto 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 244 del 16 ottobre 2004.

volti a garantire l’effettività della parità di trattamento e a promuovere le pari opportunità in tutti i settori della vita.

L’art. 1, infatti, fa salva l’applicazione del decreto 216 per le ipotesi di discriminazioni relative all’accesso al lavoro e sul lavoro e specifica che la legge «ai sensi dell'articolo 3 della Costituzione, promuove la piena attuazione del principio di parità di trattamento e delle pari opportunità nei confronti delle persone con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, al fine di garantire alle stesse il pieno godimento dei loro diritti civili, politici, economici e sociali».

L’ambito applicativo della nuova legge è, dunque, particolarmente vasto, in quanto le discriminazioni possono concretizzarsi in qualunque luogo e consistere nei comportamenti più disparati, sia individuali che collettivi o generalizzati222.

Per individuare i soggetti tutelati occorre fare riferimento all’art. 3 della L. n. 104 del 1992, Legge quadro sull’assistenza, l’integrazione sociale ed i diritti delle persone handiccappate, stando alla quale può definirsi portatore di handicap colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, con assoluta equiparazione di invalidità fisica e psichica.

Sono dettate, anche in questo caso, le definizioni di discriminazione diretta, indiretta e delle molestie, che riprendono quelle offerte dal d.lgs. 216/03, ma se ne discostano sotto alcuni profili.

Se, infatti, la definizione di discriminazione diretta 223 è identica a quella contenuta nel decreto 216, la definizione di discriminazione indiretta presenta delle peculiarità che meritano di essere sottolineate: è previsto, infatti, la stessa sussista quando «una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone».

Laddove il decreto 216 sanziona anche la mera possibilità che un soggetto disabile possa essere posto in una situazione di svantaggio, nella legge in esame si presuppone che la situazione di svantaggio si sia effettivamente determinata. Per contro, la legge da rilievo al semplice svantaggio, senza richiedere che si tratti di svantaggio “particolare”.

Anche la definizione di molestie appare più restrittiva di quella contenuta nel decreto. La legge richiede, infatti, che la molestia si sia concretamente verificata, escludendo le ipotesi dove sussista il mero scopo: «sono, altresì, considerati come discriminazioni le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi connessi alla disabilità, che violano la dignità e la libertà di una persona con disabilità, ovvero creano un clima di intimidazione, di umiliazione e di ostilità nei suoi confronti».

Sotto il profilo dei rimedi, all’art. 3, è prevista in primo luogo la possibilità per il giudice adito di ordinare la cessazione del comportamento, della condotta o dell’atto pregiudizievole, che ancora sussista, e di adottare ogni comportamento idoneo a rimuovere gli effetti della discriminazione, compresa l’adozione di un piano di rimozione delle discriminazioni accertate224.

222 E. SACCHETTINI, Dubbie le richieste di ristoro avanzate dagli enti esponenziali, in Guida dir.,

2006, n. 38, pp. 14 ss.

223

Art. 2 c. II «Si ha discriminazione diretta quando, per motivi connessi alla disabilità, una persona è

trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata una persona non disabile in situazione analoga».

224 L’art. 4 comma III prevede, dunque, che il giudice possa adottare ogni provvedimento idoneo secondo le circostanze a rimuovere gli effetti della discriminazione. Il dettato della disposizione in

esame appare di grande rilievo, in quanto il legislatore – utilizzando tale formula – si è discostato dal disposto dei decreti 215/2003 e 216/03 (i quali dispongono che il giudice ordina la rimozione degli

effetti), e si avvale, invece, della formula già utilizzata nel T.U. 286/1998.

In questa sede, tuttavia, si è scelto di non approfondire l’analisi di tali norme, per la quale si rinvia al cap. III.

In secondo luogo, il giudice potrà provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale225, nonché disporre la pubblicazione del provvedimento di condanna a spese del convenuto, per una sola volta su un quotidiano a tiratura nazionale, o a maggior diffusione sul territorio interessato226.

La legittimazione ad agire in nome e per conto della vittima della discriminazione, viene prevista anche a favore di associazioni ed enti, che dispongano di delega rilasciata per atto pubblico o scrittura privata autenticata a pena di nullità227.

Agli stessi enti è riconosciuta, da parte del comma II, la facoltà di intervenire nei giudizi di danno subiti dalle persone con disabilità, nonché ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti lesive degli interessi delle persone stesse. Il comma III prevede, infine, che questi possano agire autonomamente quando si verifichino discriminazioni di carattere collettivo.

Si coglie, dunque, anche in relazione all’apparato di tutele apprestato, una certa omogeneità con le altre discipline considerate (ed in particolare con quella del d.lgs. 216/03), nella quale sembra potersi ravvisare la propensione del legislatore a tracciare un quadro di tutele che sia al tempo stesso il più possibile completo ed uniforme.

10. Il divieto di discriminazione nell’attività d’impresa.