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L’amore inciampato

Sant’Angelo in Vado, Classe 1°A - A.S. 2017/2018 Istituto Comprensivo Statale di Sant’Angelo in Vado (PU)

Coordinamento testo: Prof.ssa Corsini Carla Coordinamento illustrazioni: Prof.ssa Borsella Norma

C’era una volta una ragazza tanto buona e generosa di nome An-gelica, che tutti chiamavano Cenerentola perché costretta, tutto il giorno, a pulire e servire le sorelle. Queste ultime, di nome Tisbe e Clorinda non erano piacevoli né nell’aspetto né nel carattere. Vive-vano insieme in una casa davvero grande: al piano inferiore c’erano due stanze per Tisbe e Clorinda, piene di tutto ciò che due ragazze possano desiderare, mentre a Cenerentola era riservata la cucina, in cui spesso dormiva, troppo stanca delle fatiche giornaliere per arriva-re nello sgabuzzino a lei riservato. Al piano superioarriva-re riposava Don Magnifico, il padre delle tre ragazze. La quiete della casa è turbata, un giorno, dall’arrivo di un povero cieco che chiedeva la carità. Era Alidoro, maestro di Don Ramiro, principe della contea, che voleva verificare cosa succedesse dentro casa per scegliere la sposa del suo allievo. Le due sorelle subito urlano: “Vattene da casa nostra”; solo Angelica, impietosita, gli offre una tazza di caffè. Maggior confusio-ne si aggiunge con l’arrivo dei camerieri: don Magnifico vieconfusio-ne butta-to giù dal letbutta-to, visbutta-to l’arrivo imminente della famiglia reale, giunta per un annuncio. Il principe, Don Ramiro, prima di entrare chiede a Dandini, che era suo servo: “Vogliamo fare una cosa ? Io mi travesto da servo e indosso i tuoi stracci, tu prendi le mie belle vesti, così che io possa verificare quale tra le tre ragazze sia davvero la migliore.”

Quando la famiglia reale entra in casa, le due sorelle riempiono il

principe ed il re di attenzioni, facendoli accomodare nelle sedie mi-gliori e offrendo loro cibo e buon vino, mentre il servo viene relegato in cucina assieme ad Angelica, che gli offre una tazza di caffè assieme ad uno sguardo di intesa. A un certo punto il Re, alzandosi in piedi, chiede silenzio per poter dare l’annuncio tanto atteso: una delle tre ragazze avrebbe sposato suo figlio dopo aver vinto una gara di canto.

La più intonata avrebbe sposato il principe. La prova si sarebbe svol-ta nel castello di Borgo Pace, un paese arroccato tra i boschi dell’Ap-pennino e circondato da una parte dal fiume Meta, e dall’altra dal fiume Auro, che proprio in quel territorio si uniscono per formare il fiume Metauro, che una bella melodia la faceva di per sé.

Era un castello tanto caro al principe, perché lì aveva vissuto la propria infanzia: era il Castellaccio, il castello costruito in cima al monte che “protegge” il paese come un abbraccio e che ha dato il nome al paese stesso: Castel Bavie, prima che lo stesso nome fosse convertito in Borgo Pace, a ricordo del patto siglato tra Ottaviano, Marco Antonio, ed Emilio Lepido, alla morte di Giulio Cesare, ac-cordo forse avvenuto proprio qua. Il principe, da Pesaro, in cui si era trasferito con i genitori, come tanti emigrati del territorio, si sposta-va, d’estate, presso il Castellaccio, per poter assaporare la libertà che la vita di corte non gli concedeva, unendosi ai bambini del luogo e divertendosi con loro, sorvegliato a distanza dalle balie e dai paggi che non lo perdevano mai di vista, in tuffi, bagni e schizzi nelle piscine naturali di Parchiule. A volte capitava anche che risalissero insieme il fiume a caccia di gamberi o di pesci, catturati sotto i sassi, poi cucinati in barbecue improvvisati, al chiar di luna. Era divertente anche perdersi nei boschi, passeggiando guidati dal richiamo degli uccelli, da una parte, e dall’altra dal brusio dei boscaioli, che accom-pagnavano il proprio lavoro con chiacchiere e allegre risate.

Alla notizia del re le sorellastre si mettono subito in movimen-to e cominciano ad urlare: ”Angelica vieni qua, Angelica vai là” e quella poveretta non riusciva proprio ad accontentarle, tante

era-no le richieste, finchè finalmente riescoera-no a partire, con un intero guardaroba di vestiti, scarpe, cappelli, nastri e paillette. Angelica era così appesantita dal carico che seguiva il gruppo piegata, lungo la strada attraverso i boschi. Per alleviare le fatiche del viaggio Angelica inizia a cantare e le due sorelle prima ascoltano, poi si innervosisco-no, infine con una spinta la gettano tra i rovi. Mentre quest’ultima prova a rialzarsi, per terra trova un flauto, che era un richiamo per uccelli; una volta messo in tasca lo strumento si rimette in cammi-no, raggiungendo le sorelle. Arrivati finalmente al castello Angelica trova un nuovo ostacolo: le guardie, che le impediscono di passare perché vestita di stracci. Lei, rattristata, inizia a suonare il flauto. In maniera assolutamente inaspettata giunge un’aquila, probabilmente proveniente dal Furlo, che in modo imperioso e repentino solleva la guardia da terra, permettendo ad Angelica di oltrepassare il cancello.

Tutta la famiglia reale è in attesa delle tre sorelle che si preparano per cantare. Dopo gargarismi, acuti, gorgheggi mal riusciti, inizia Tisbe, che pur urlando non risulta piacevole. Il principe la scarta.

Prova quindi Clorinda che è stonata come una campana e che quin-di Don Ramiro allontana subito. E’ il momento quin-di Angelica, che il principe riconosce subito come la propria preferita, perché quando si era travestito da servo, era stata così gentile da offrirgli una tazza di caffè. I due ragazzi si guardano già innamorati e Angelica inciampa, distratta dal principe. Gli esce un acuto così alto e ben articolato che tutti rimangono meravigliati… Non serve più la prova di canto:

Angelica risulta la migliore e il principe decide che sarà lei la sua spo-sa. Il giorno dopo proprio a Borgo Pace, nel castello vicino al quale si congiungono il Meta e l’Auro, Angelica sposa il suo principe. I giovani decidono di trasferirsi definitivamente nel Castellaccio, per poter ancora sperimentare quella libertà e pace che consentiranno loro di vivere felici e contenti.