APPLICAZIONE AL CASO SUPERDRY
4.4. Analisi per fasi
L’indagine persegue l’obiettivo di interrogare le diverse DMU del campione (sia per la categoria “Off‐price” che “Full‐price”), per individuare quale tra queste risulti essere la più efficiente sotto il punto di vista delle performance. Oltre a ciò, si vogliono evidenziare gli eventuali miglioramenti che si potrebbero apportare alle DMU inefficienti, per “spingerle” a collocarsi nelle prossimità della frontiera efficiente e avvicinarsi quindi allo standard “ottimo”, rappresentato dall’unità che si è dimostrata essere la più efficiente. Per raggiungere lo scopo è necessario strutturare dapprima l’analisi, in modo da rendere chiaro il percorso da seguire. Di seguito sono esposte le tre fasi fondamentali della metodologia DEA87 (Golany e Roll, 1989): Definizione e selezione delle DMU da sottoporre all’analisi; Selezione delle variabili rispettivamente di input e output, che si adattano alle DMU sopra individuate; Analisi e conseguente interpretazione dei dati raccolti e elaborati dal modello scelto. Il primo step riguarda per l’appunto la numerosità e quindi la definizione delle DMU del campione sottoposto all’analisi: per giungere a una misura di efficienza relativa e poter operare un confronto è necessario che le unità siano comparabili tra di loro. Lo scopo di operare questo confronto deriva proprio dal fatto che le prestazioni delle DMU non sono uguali, e di conseguenza è necessario misurare quelle differenze per comprendere come e se sia possibile gestire i fattori per riequilibrare le prestazioni88 (Golany e Roll, 1989). Come già esposto nel paragrafo 3.4. le DMU devono poter rispondere positivamente ai seguenti requisiti (Castelli et. Al, 2010): Omogeneità, riflessa nella stessa tipologia di input e output impiegati e prodotti dalle unità del campione;
Indipendenza tradotta nella possibilità di gestire localmente le unità, queste ultime devono poter essere libere di scegliere che volume di input impiegare e che quantità di output produrre;
87 Cfr. Golany, B., e Roll, Y., 1989. 88 Cfr. Golany, B., e Roll, Y., 1989.
Autonomia nelle scelte delle modalità di impiego delle risorse per ogni DMU. Secondo gli stessi Golany e Roll (1989) il primo requisito, l’omogeneità, rappresenterebbe un’incoerenza perché di fatto l’obiettivo è quello di “analizzare le differenze tra gruppi omogenei”. A ogni modo, l’omogeneità è presente e verificata in situazioni in cui le unità agiscono per gli stessi obiettivi e con gli stessi compiti in una condizione di mercato identica89. Tenendo presente le caratteristiche qui elencate, si selezionano le DMU che andranno a costituire il campione d’analisi, ricordando però che la numerosità del campione non deve essere troppo elevata perché potrebbe provocare un aumento delle probabilità di rilevare valori anomali o commettere errori. Si può comunque far riferimento a una regola empirica che stabilisce che il numero delle DMU dovrebbe essere almeno il doppio del numero di input e output90 (Golany e Roll, 1989). Per il caso in esame sono
stati selezionati i seguenti punti vendita, suddivisi per tipologia (“Full‐price” e outlet “Off‐price”): I punti vendita della categoria “FULL‐PRICE”, gestiti direttamente da Superdry sono 17, ovvero: France SDRY Aeroville; France SDRY Avignon; France SDRY Bordeaux; France SDRY Boulogne; France SDRY Marseille; France SDRY Metz Muse; France SDRY Paris Belle Epine; France SDRY Paris Carre Senart; France SDRY Paris Forum Des Halles; France SDRY Paris Rue de Rivoli; France SDRY Polygone Riviera; France SDRY Rouen; 89 Cfr. Golany, B., e Roll, Y., 1989. 90 Cfr. Golany, B., e Roll, Y., 1989.
Italy SDRY Bergamo Orio Centre; Italy SDRY Brescia;
Italy SDRY Milano Arese; Italy SDRY Roma Est; Italy SDRY Verona;
Le DMU appartenenti a questo campione sono collocate in Francia e Italia. Le unità spagnole, per i punti vendita della categoria FULL‐PRICE gestiti direttamente da Superdry, sono 23, ma sono rappresentati da Corner che hanno caratteristiche dimensionali e funzionali completamente diverse dai normali punti vendita “Full‐price” che verranno analizzati in questo lavoro, pertanto ho deciso di escluderli dall’analisi che condurrò.
I punti vendita del secondo campione, della categoria OUTLET “OFF‐PRICE”, gestiti direttamente da Superdry sono 11, ovvero: France OUTLET Marne La Vallee; France OUTLET Provence; France OUTLET Troye; Italy OUTLET Firenze; Italy OUTLET Napoli; Italy OUTLET Roma; Italy OUTLET Sicilia; Italy OUTLET Venezia; Spain OUTLET La Roca; Spain OUTLET Las Rozas; Spain OUTLET Mallorca Fashion; Le DMU appartenenti a questo campione sono collocate in Francia, Italia e Spagna. In seguito a una ricerca sul settore d’appartenenza di questa realtà organizzativa e un approfondimento sul tema dei KPI (Key Performance Indicators), da questo solitamente utilizzati, vengono stabilite quelle che sono le variabili del modello che più si conformano alle unità individuate per l’esame: queste ultime andranno a costituire la matrice nella quale le X indicheranno gli input e le Y gli output. La scelta delle variabili è un passaggio
fondamentale perché da questo dipende la qualità dell’analisi: la selezione di variabili errate potrebbe comportare uno sbilanciamento nella valutazione dell’efficienza dell’unità di una DMU rispetto ad un'altra oppure alla non rilevazioni di particolari tipologie di inefficienze. Inoltre, per semplificare il calcolo e sottrarsi alla probabilità di commettere errori si devono evitare le ridondanze di informazioni: l’unica strategia adottabile consiste nell’assicurarsi che ad ogni variabile siano legati dei dati non correlati a altri elementi, per evidenziare e consolidare quindi un legame causa‐effetto. Non è da escludere oltretutto la possibilità che la natura di una variabile possa mutare comportando perfino un cambiamento di categorizzazione da variabile input a variabile output.
Per selezionare le variabili di input (X) e di output (Y) ho scelto di studiare gli indicatori, conosciuti come KPI – Key Performance Indicators che le aziende operanti nel settore della fashion retail utilizzano solitamente. Questi KPI vengono calcolati per registrare l’andamento economico e commerciale dell’azienda e elaborare di conseguenza una strategia di distribuzione efficace nei confronti dell’ambiente competitivo in cui essa agisce, in sintesi, per produrre continue informazioni necessarie a lavorare in un settore dinamico e in incessante sviluppo come lo è, per l’appunto, quello della moda. In realtà, le logiche di queste metriche sono applicabili a qualsiasi tipo di attività, ovviamente adattandole alle specificità del campo di provenienza.
Dalla ricerca è emerso che non esiste un insieme di KPI prestabilito e rigido per ogni specifico settore, ma anzi, la loro costruzione è differente persino per ogni singola impresa: ogni realtà deve riuscire a realizzare un proprio set di indicatori che sia conforme e coerente con gli obiettivi fissati dalle medesime. Tuttavia, in linea generale, è stato possibile delineare dei requisiti che i KPI del fashion retail devono possedere per garantire una verifica oggettiva delle prestazioni aziendali: Devono poter essere misurati in termini numerici; Devono poter essere misurati nel tempo, stabilire quindi un inizio e una fine della valutazione, per poter condurre un’analisi di tipo temporale;
Devono poter essere contestualizzati nella specifica realtà aziendale in cui vengono adottati.
Solitamente è il Retail Manager che seleziona i KPI, in quanto responsabile dello sviluppo, delle performance e del costing, ma questa figura li delinea solamente mentre sono gli Area Manager e gli Store Manager che li adattano a livello operativo. A titolo di esempio vi è la percentuale di vendite relative a un determinato periodo temporale, l’indice di conversione ottenuto come rapporto tra il numero di clienti che entrano in negozio/visitano il sito online e quelli che effettivamente ne escono con un acquisto, lo scontrino medio ovvero l’ammontare medio di spesa per ogni cliente, l’UPT (Unit per Transaction) per il numero medio di pezzi venduti in ogni scontrino e così via91.
Ogni giorno, ogni punto vendita dei due campioni, “Full‐price” e “Off‐price”, registra queste informazioni in un portale che tiene traccia di tutti gli sviluppi, e dall’analisi di questo documento si nota come l’azienda si focalizzi sui guadagni dalle vendite, sul footfall (numero di persone che entrano nello store), sulla conversion e sull’ATS (Average Transaction Size) ossia la spesa media per cliente ricavata dall’importo medio dello scontrino. Discutendo questa osservazione con lo Store Manager del punto vendita Outlet a Noventa di Piave (Venezia) mi risulta sempre più chiaro come questi valori aiutino a distinguere e creare una graduatoria degli store più profittevoli per l’azienda, così mi sono interrogata sulla fiducia riposta in questi KPI e sulla veridicità della classifica creata su queste basi. Cooper, Seiford e Tone (2002) affermano che l’utilizzo della metodologia DEA è utile, tra le altre funzioni, a fornire nuove riflessioni su attività che erano già state valutate con altri metodi92; l’applicazione di un benckmarking con la
metodologia in questione ha infatti aiutato a individuare inefficienze in aziende che erano state considerate come tra le più redditizie e, per questa serie di ragioni, ho selezionato le seguenti variabili, per identificare delle possibili inefficienze e apportare così un mio contributo alla valutazione delle DMU appartenenti al campione (Cooper, W., Seiford, L., e Tone, K., 2002).
Le variabili destinate alla classe degli input per l’elaborato, ritenute rilevanti per la valutazione delle performance delle unità in esame, sono:
Input 1 (X1): media annua del numero di dipendenti nei rispettivi punti vendita;
91 https://www.professionaldatagest.it 92 Cfr. Cooper, W., Seiford, L., e Tone, K., 2002.
Input 2 (X2): dimensione dei punti vendita in mq.
La variabile (X1), come si potrà poi vedere di seguito, ha una misura non sempre
proporzionale alla variabile (X2) questo perché il numero di dipendenti non viene scelto
in base ai mq del negozio ma piuttosto a seconda del servizio che si vuole offrire alla clientela: le necessità che richiedono un certo numero di personale dipendono dal flusso di visitatori, dal riciclo di merce, dai periodi e le ore di punta, dagli aspetti promozionali attivati nel corso dell’anno e così via. La seconda variabile di input (X2), ovvero
dimensione dei punti vendita in mq, nell’arco temporale d’analisi 2018‐2019, rimane immutata, ma è bene esplicitare che guardando gli storici molti punti vendita hanno subito un ampliamento o una riduzione degli spazi. Le seconde variabili, classificate come output, sono le seguenti: Output 1 (Y1): conversion media annua per ogni punto vendita; Output 2 (Y2): ATS, spesa media del cliente per ogni punto vendita; Output 3 (Y3): ricavi annuali al netto di IVA di ogni punto vendita. Il primo output (Y1), chiamato anche conversion rate, è un valore espresso in percentuale che deriva dal rapporto tra il numero di clienti che entrano in un negozio (“traffic” o “footfall”) e il numero di clienti che effettivamente completano la loro esperienza di visita con un acquisto.
Il secondo output (Y2), ossia l’ATS – Average Transaction Size, indica la spesa media
sostenuta dal cliente per ogni acquisto effettuato. Il valore, espresso in termini monetari, deriva dal rapporto tra il valore totale (ammontare monetario) di tutte le transazioni per il numero di transazioni totali.
Il terzo output (Y3) è un valore monetario indicativo dei risultati economici conseguiti
dal singolo punto vendita, normalmente ritenuto come il primo valore indice della redditività dello store.