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un’analisi personale del documentario di Danilo Catti: Senza di me

Per combattere il terribile flagello del suicidio tra i giovani in Svizzera, Children Action, in collaborazione con l’Ospedale Universitario di Ginevra (HUG), ha creato a Ginevra una struttura che agisce a livello delle cure e della prevenzione. Questa struttura si chiama Malatavie Unité de crise e offre una risposta professionale ai giovani in distress, proponendo tre tipi di presa in carico: prevenzione, cure ambulatoriali (per giovani in crisi suicidaria di età tra i 14 e i 18 anni che rifiutano l’ospedalizzazione o che ne stanno uscendo) e cure ospedaliere (un appartamento di 6 posti letto per dei ricoveri ospedalizzati di giovani tra i 14 e i 18 anni) (Children Action 2015).

Quest ultimo tipo di presa in carico di questo centro ginevrino rispondeva qualche anno fa al nome di UCA, ed è proprio su questa unità di crisi per adolescenti che Danilo Catti, regista di Lugano fondatore nel 2002 dell’associazione Treno dei Sogni, ha basato il suo documentario Sans moi del 2004 (Swiss Films 2015).

Il documentario mette in luce come il suicidio negli adolescenti sia una delle prime cause di mortalità in Svizzera e altrove (Catti 2004), uno scandalo sociale che ha interrogato il regista Danilo Catti portandolo a svolgere quest’opera. Attraverso lo sguardo del regista, del quale lo spettatore tende a dimenticarsi della presenza, si riesce ad intravedere in questo documentario alcuni momenti della degenza di sei giovani svizzeri, passando da poco dopo l’entrata nel centro per una ragazza, fino alla dimissione per un’altra. È un documentario che ci offre l’esempio concreto di pochi adolescenti, ma riesce comunque a donare uno sguardo più ampio sulla realtà della situazione degli adolescenti con comportamenti suicidali nel nostro paese. È un’opera breve, che arriva però a far riflettere e a commuovere grazie ai filmati reali di questi adolescenti che vivono una grande sofferenza, mostrandoci alcune delle cause che potrebbero portare una così giovane persona a tentare di togliersi la vita.

Il regista non teme di mostrare apertamente le dinamiche emotive che si celano dietro i tentativi di suicidio di questi ragazzi, affermando che “il silenzio uccide e bisogna infrangere il taboo, perché la sofferenza possa essere finalmente sentita” (Catti 2004) e grazie alla visione del documentario si ha la possibilità di sentire l’impatto che solamente il reale pensiero espresso in modo diretto da questi ragazzi potrebbe dare e l’effetto di ciò è molto suggestivo. Credo che l’opportunità di sentire i pensieri in prima persona di questi giovani coinvolti sia fondamentale per comprendere quello che provano e che rimanga il punto migliore da dove partire nella ricerca del giusto approccio che si può offrire loro. Cosa provano questi ragazzi? Da dove arrivano quelle sbarre interiori che impediscono loro di vivere?

Essi sono maggiormente tormentati da pensieri come la paura di avere ancora voglia di farsi male una volta dimessi dal centro. Un ragazzo esprime durante le riprese la sensazione della presenza in lui di due persone, una fisica presente in quel momento, e una nella testa che gli dice cosa fare, apparentemente guidata da “l’odio contro me stesso, per non essere quello che avrei voluto essere”. Un’altra ragazza esprime lo stesso concetto mettendo in luce l’esistenza di una se stessa del cuore e di un’altra della testa.

Aspetto comune dei ragazzi seguiti nel filmato sembra essere la sensazione di non avere valore, la perdita di contatto con la realtà, non sapere più com’è “sentirsi normale” afferma una giovane ragazza mentre cerca di farsi piccola piccola (Catti 2004).

Le motivazioni che paiono trasparire dai sei ragazzi di Sans moi che li hanno portati a tentare di togliersi la vita sono differenti. Emergono quasi sempre dei contesti famigliari fragili. Una giovane racconta di come la perdita dell’affetto e dei contatti anche fisici con i genitori l’abbiano segnata molto, fino a darle l’impressione di non aver avuto la

possibilità di crescere, di passare dalle fasi evolutive come gli altri. Un’altra ragazza racconta la forte storia del papà che voleva far abortire la compagna quando era incinta di lei e tutte le conseguenze che questo ha comportato nella giovane: senso di colpa, sentirsi rifiutata ancor prima di venire al mondo e cosi via.

Altra motivazione apparentemente comune emersa dai racconti di questi ragazzi è legata al tentamen suicidale come atto dimostrativo e non come intenzione vera e propria di morire. Un atto volto a farsi amare di più, a rendersi più interessante agli occhi delle persone e della famiglia, senza rendersi veramente conto del reale rischio di perdere la vita.

Ma come accogliere questi ragazzi? Come guidarli e riorentarli? Come essere, in definitiva, un buon curante di adolescenti suicidali? Nel filmato si ha la possibilità di vedere esempi di approccio.

Guidati dal principio di dare al giovane degli strumenti per renderlo in grado di scegliere e agire, i curanti che seguono questi ragazzi nel centro di crisi di Ginevra hanno diversi metodi di approccio e strategie (Catti 2004).

Nessuno dei curanti aggira il problema principale, esso viene sempre esplicitato e si cerca di far esteriorizzare ragionamenti ed emozioni ai ragazzi anche con domande precise, come ad esempio: “è triste per il fatto che il Suo tentativo di suicidio non sia riuscito? Avrebbe preferito essere morta?” oppure: “questa sera ha ancora avuto voglia di farsi del male?”,

Quando un ragazzo sembra motivare la sua degenza a causa della stanchezza o di un crollo nervoso, il curante in questione lo riorienta in modo che egli non si autoconvinca che va tutto bene, ma lo aiuta nel dare un senso all’accaduto, a non rimuovere.

A mio avviso questo prezioso documentario di Catti (2004) riesce a mostrare scene di vita reale, esempi di esistenze presenti in tutto il mondo e più vicine ad ognuno di noi di quanto ci piaccia ammettere. Occuparsi degli adolescenti, compito così delicato e complesso, è vitale, essi sono da un lato lo specchio della società odierna, dei limiti degli adulti e dei nostri disagi, dall’altro sono l’evoluzione ed il futuro della società stessa.

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