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CAPITOLO 4: Aspettative razionali, un’applicazione econometrica

4.2. Stima del modello

4.2.1. Analisi dei residui

L’analisi dei residui costituisce quella che è definita ‘analisi diagnostica’, ossia la fase in cui si va a testare la validità del modello, la quale è appunto subordinata a quello che è il comportamento dei residui. Molto brevemente, le ipotesi teoriche alla base dei modelli

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considerati, richiedono che i residui siano tra loro indipendenti e che si distribuiscano normalmente con media nulla e varianza costante. L’ipotesi di varianza costante è la cosiddetta condizione di ‘omoschedasticità’. Sostanzialmente dunque

, ~.(0, /0).

Si condurranno a tal fine i seguenti test: 1- Test di Autocorrelazione

2- Test di Normalità

3- Test di Eteroschedasticità

Intanto nel grafico sottostante sono mostrati gli andamenti dei residui ottenuti dalla stima del modello autoregressivo vettoriale in questione.

Figura 4.2: Grafico residui stima VAR(16)

1- Statistiche descrittive dei residui

Nella pagina seguente, sono proposti in figura i grafici con le distribuzioni di probabilità dei residui confrontati con la normale, i cui parametri media e varianza sono stati fissati pari a quelli della distribuzione empirica.

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Dai grafici di cui sopra si può notare come i residui non si distribuiscano come una Normale, ciò è attribuibile principalmente allo spessore delle code della distribuzione empirica. Si può notare infatti come le distribuzioni di probabilità empiriche si presentino più ‘appuntite’ rispetto alla distribuzione teorica normale, e con ‘code grasse’. Tale fenomeno è colto dall’indice di curtosi che si presenta ampiamente superiore a 3, confermando dunque di essere in presenza di distribuzioni leptocurtiche. Ciò significa che a parità di varianza rispetto ad una distribuzione normale, i residui si distribuiscono con una maggiore massa di probabilità nei pressi della media e delle ‘code’, con conseguente minore massa di probabilità nei pressi delle ‘spalle’ della distribuzione.

Per quel che concerne invece l’asimmetria delle distribuzioni, quest’ultima non risulta essere particolarmente accentuata, contribuendo dunque solo in minima parte a rigettare l’ipotesi di normalità dei residui.

I test confermano, quanto meno, come i residui abbiano media nulla. Procederemo ora testando le ipotesi di assenza di autocorrelazione dei residui e di omoschedasticità.

2- Analisi autocorrelazione dei residui

Il primo strumento utile ad individuare un’eventuale presenza di autocorrelazione tra i residui è il correlogramma con relative bande di tolleranza ammesse, oltre le quali i coefficienti di autocorrelazione vengono considerati significativi. Vengono proposti 16 grafici in quanto vengono prese in considerazione anche le ‘cross-correlazioni’ tra vettori differenti di residui, e non solo tra un vettore di residui con sé stesso.

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Stando a quanto mostrato dai grafici di cui sopra, i residui dei modello non sono correlati, indice di adeguatezza del modello stesso. Proseguendo con i test diagnostici, proponiamo di seguito l’utilizzo della statistica test generale di Ljung e Box (1978), data da

12 = 3(3 + 2) 53 − 71

2 89:

;80

dove i termini ;8 sono le stime campionarie dei coefficienti di autocorrelazione calcolate

partendo dai residui del modello, mentre K è un numero scelto a piacere in quanto dipenderà da quanto vogliamo ‘spingerci lontano’ con i lag. Tale statistica serve a verificare congiuntamente l’uguaglianza a zero delle prime K autocorrelazioni dei residui, quello che si fa solitamente è calcolare diversi Q corrispondenti a diversi ritardi K. Il modo più intuitivo per osservare la significatività delle autocorrelazioni dei residui è quello, come visto ne grafico precedente, di confrontare le stime con gli intervalli di ampiezza che sono approssimativamente pari a >?2/√3. Ad ogni modo la statistica 12 si distribuisce come una Chi-quadrato con K-p gradi di libertà (dove p è l’ordine del modello utilizzato per la stima della media), possono essere utilizzate pertanto le tavole statistiche per individuare i valori critici della statistica Q. Di seguito vengono proposti i test di autocorrelazione dei residui del modello, presi singolarmente senza guardare i prodotti incrociati.

Autocorrelazione residui tasso a 3 anni

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Autocorrelazione residui tasso a 5 anni

I test mostrano come le serie storiche dei residui non siano autocorrelati, presentando p- value ampiamente superiori al 5%. Per completezza sono stati ricavati anche i correlogrammi sui residui elevati al quadrato, in quanto sono un importante indicatore atto a segnalare la presenza di eteroschedasticità condizionale.

Per brevità ho riportato il correlogramma relativo solo al tasso a 3 anni, ad ogni modo i risultati ottenuti sugli altri tassi di interesse sono esattamente gli stessi. La presenza di autocorrelazione tra i residui al quadrato non deve sorprendere, si tratta infatti di una caratteristica tipica dei rendimenti finanziari, variabili comunemente caratterizzate da fenomeni di ‘volatility clustering’. Già questa indicazione dunque ci fa capire come la volatilità dei rendimenti non sia costante, ma bensì possa essere trattata con adeguati modelli econometrici per la volatilità quali modelli ARCH e GARCH (nel caso in esame multivariati). La ‘non costanza’ della varianza dei residui viene trattata come detto con modelli ad eteroschedasticità condizionale. Un test per la presenza di eteroschedasticità nei residui di un modello, è il test di white (senza prodotti incrociati) di seguito proposto.

3-Test di eteroschedasticità dei residui

come ci aspettavamo, siamo in presenza di eteroschedasticità nei residui.

Ricapitolando, l’analisi dei residui mostra come questi ultimi non si distribuiscano secondo una normale a causa di un eccesso di curtosi nella distribuzione di probabilità, e come non siano omoschedastici (presenza di eteroschedasticità condizionale). D’altra parte essi sono stazionari, a media nulla, e non sono autocorrelati. Di sicuro non è rispettata l’ipotesi secondo cui

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, ~.@A(0, /0)

che è esattamente l’ipotesi presa in considerazione da Johansen nella stima dei vettori di cointegrazione mediante stima basata sull’approccio di massima verosimiglianza. Questo fa sì che i risultati ottenuti successivamente nella quantificazione del rango di cointegrazione e annessa stima del vettore, vadano in un certo senso ‘presi con le pinze’. Si ricorda infatti che il rifiuto dell’ipotesi di omoschedasticità dei residui fa sì che gli standard error delle stime siano calcolate erroneamente, nonostante il valore atteso delle stime continui ad essere corretto (la stima non è distorta). Dovremmo dunque chiederci in che modo questa stima distorta della varianza va ad inficiare con i risultati sui test di cointegrazione che condurremo più avanti. Sicuramente se ci trovassimo a fare specificazione del modello di regressione, l’eteroschedasticità dei residui giocherebbe un ruolo assolutamente fuorviante nella determinazione della significatività dei coefficienti. Nel nostro caso invece non ci troviamo a fare specificazione del modello di regressione, ed il modello VECM che verrà stimato riguarda comunque la stima della media. Verrebbe pertanto da dire che possiamo stare tranquilli ed ‘accontentarci’ di residui non correlati ed a media nulla, anche se eteroschedastici. A tal fine ci

vengono in aiuto i risultati ottenuti da Giuseppe Cavaliere nel suo paper12 pubblicato nel 2010

su una rivista di teoria econometrica. I risultati empirici in questione mostrano come la distribuzione limite della statistica test per il rango di cointegrazione sotto eteroschedasticità condizionale, coincida con quella ricavata dagli stessi autori assumendo dei residui identicamente ed indipendentemente distribuiti. Tale risultato empirico che nel mio lavoro mi limito a citare, è molto importante in quanto ci fa stare tranquilli circa l’affidabilità dei test di rango che effettueremo.

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