della creatività contemplati
nel gioco della sabbia.
Elena Liotta. Roma
«in stercore invenitur»
Uno dei contributi più evidenti che l'orientamento analiti-co di Jung ha offerto alla moderna psianaliti-cologia del profon-do consiste nel ridimensionamento del potere comunica-tivo della parola a favore di quello dell'immagine.
A livello di tecnica psicoterapica questo ha comportato che anche modalità non verbali, ma comunque comuni-cative, come la pittura, la scultura ecc. che Jung stesso utilizzò per dar forma ai suoi processi inferiori, sono entrate a far parte di una metodica di accostamento all'inconscio. Non a spese della parola, ma accanto ad essa. Il gioco della sabbia rappresenta, in questo senso, una naturale filiazione, anche se non necessariamente diretta, dello spirito junghiano.
Il linguaggio junghiano, inoltre, correttamente compreso e interpretato, può essere più vicino di altri a quei feno-meni emotivi di cui l'immagine rappresenta spesso la prima elaborazione psichica, proprio perché tende a teorizzare per immagini: complessi personificati (l'ombra, la persona, l'anima e l'animus, ecc.), modelli e princìpi psichici fondamentali anch'essi sotto forma di immagini (gli archetipi), trasformazioni figurate attraverso l'immagi-nario alchemico.
In questa prospettiva il gioco della sabbia manifesta e da corpo a un processo psicologico trasformativo cui la teoria
junghiana può fungere da cornice adeguata. Ma il quadro principale rimarrà comunque la scena nella sabbiera. Se tuttavia si considera il gioco della sabbia non tanto come metodo a se stante, come via 'a' e 'da' l'inconscio, ma in quanto tecnica di accompagnamento, o di rinforzo di un altra metodica già precostituita (p. e. l'analisi come 'cura attraverso la parola'), c'è il rischio che esso finisca per diventare l'equivalente dell'illustrazione che ogni tanto ravviva la lettura di un libro, il cui senso si trova comunque nella pagina scritta.
Pur non essendo lo scopo di questo articolo, molte sa-rebbero le ulteriori distinzioni da additare qualora si desiderasse mettere a fuoco l'originalità del gioco della sabbia, Le più evidenti sono, a mio avviso, tra esso e: 1) le terapie dell'arte, 2) le tecniche proiettive, 3) le tecniche di gioco, 4) il confronto con l'analisi classica (freudiana, kleiniana, junghiana, ecc.).
Solo allora si potrà comprendere meglio se e in che cosa il gioco della sabbia può partecipare alla pratica analitica mantenendo una propria identità.
Per avvicinarmi al mio tema sento comunque di dover spendere ancora qualche parola sul gioco della sabbia in generale, procedendo, per così dire, dall'interno e dall'inizio. È comunque accettato, per cominciare, che l'elemento che funge da limite e confine dell'area della psicoterapia professionale sia la presenza di un terapeuta che crea un campo di relazione dove qualunque feno-meno psico-fisico acquista un significato particolare. In questo senso tutta la psicoanalisi dell'arte, quella cioè sul prodotto finito, di qualunque scuola, è una forma di arbitrio teorico, così come può esserlo il tentativo di analizzare la normalità con le stesse categorie concettuali usate per interpretare la psicopatologia.
In psicoterapia tutto inizia da una coppia che si incontra nella dimensione della cura. Nella mente del terapeuta c'è uno sfondo teorico e una personalità lavorata'. Per cui parlare del gioco della sabbia senza occuparsi di chi lo usa significa perdere di vista l'elemento chiave della dimensione psicoterapica. E infatti sia la Kalff sia Alte ribadiscono, con alcune differenze.l'importanza della for-mazione del terapeuta (1).
(1) P. Aite. L Crozzoli. «Il gioco della sabbia», voce del «Trattato di Psicologia Anali-tica», UTET, in corso di pubblicazione.
Se però ci si fermasse a questo punto, si potrebbe arri-vare a dire che tutto sommato non importa la metodica che viene impiegata quanto che se ne faccia un buon uso.
Volendo invece proseguire nell'esplorazione dell'universo psichico animato dal gioco della sabbia, dobbiamo immaginare che il ruolo del terapeuta, pur rimanendo fondamentale, possa essere qui diverso da quello che si attiva nell'analisi unicamente verbale, poiché non c'è più una coppia, ma un triangolo nella stanza d'analisi, e non immaginario.
Solo così si può accostare la natura originaria e originale del gioco della sabbia senza farne uno strumento subor-dinato ad altre tecniche e teorie, incluse quelle, peraltro validissime e fondate, della relazione analitica.
Se è vero, infatti, che fin dal concepimento l'essere umano è parte di una relazione a due che in seguito si amplierà includendo porzioni sempre più vaste di realtà e che, soprattutto nei pazienti che approdano alla psicoterapia, la dimensione della relazione è centralissima in quanto fonte e cura stessa della patologia, è anche vero che si muore soli, che cioè, come osserva Jung, il pro-blema della seconda metà della vita è l'accettazione della morte, cioè della separazione e della solitudine. Condivido l'impressione di chi, in contesti molto diversi, ritiene che la creatività come funzione psicologica e come espressione del Sé autentico, possa evolversi solo attraverso l'esperienza dell'assenza dell'altro e dell'incontro radicale con se stessi, proprio come il bambino che attraverso il suo gioco soprawive creativamente alla perdita della fusionalità rassicurante e protettiva della madre-grembo. Il gioco è la prima cosa tutta sua, la prima esperienza di autonomia dai bisogni primari, di un'attività fine a se stessa e non consumatoria. Winnicott ci ha ben descritto l'importanza e le dinamiche del gioco per lo sviluppo del Sé e dell'esperienza culturale dell'essere umano, puntualizzandone anche le componenti di ritiro e (2) D. Winnicott Playing and
assorbimento all'interno, e cioè di solitudine creativa (2).
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pen
' cred0 che^ues{a sial'esperienza che il gioco della sabbia permette di realizzare e che non trova analogia nell'analisi unicamente verbale: l'equivalente dell'essere soli
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e giocare, cioè creare, in presenza della madre (3), ma non necessariamente in diretta interazione con essa. In questo senso raramente in analisi il paziente 'gioca' poiché tutta la sua attenzione si consuma nel mantenere o evitare la relazione. Il processo che si rispecchia nell'analisi, ma che non appartiene all'analisi o all'analista, bensì alla vita del paziente, viene troppo spesso 'ridotto' alle dinamiche transferali da una sorta di invasività dell'analista, teoricamente fondata, che tende a rinforzare gli aspetti di dipendenza e invischiamento presenti nella relazione. Già i Balint, nel 1968 (4), identificavano un 'area creativa' caratterizzata dall'assenza di qualsiasi oggetto esterno, in cui il soggetto è solo e la sua preoccupazione principale è costituita dal riuscire a produrre qualcosa al di fuori di se stesso. Questo livello è caratterizzato dall'as-senza di transfert. Il 'qualcosa' che si awicinerebbe a un oggetto potrebbe essere definito, secondo gli autori, come pre-oggetto, o nella teoria bioniana, attraverso l'insieme degli elementi alfa, beta e funzione di alfa. Il processo creativo che trasforma il pre-oggetto in oggetto vero e proprio è assai complesso e imprevedibile e non può essere ricondotto semplicemente alla relazione analitica. Lo spazio che il gioco della sabbia mette tra paziente e analista, e che non a caso induce un'accelerazione del processo individuativo, restituisce al paziente una mag-giore autonomia e gli fa incontrare con più chiarezza il suo mondo interno e il suo mito personale, lasciando l'analista sullo sfondo, silenziosamente e rispettosamente presente e partecipe. La sabbiera, opportunamente utilizzata, protegge sia il paziente sia ('analista ristabilen do ruoli e confini più salutari e non, come si potrebbe obiettare, favorendo le difese di entrambi. La distanza difensiva, altrimenti detta neutralità analitica, ha prodotto nel tempo un'enantiodromia teorica per cui ora sembra che esista solo la relazione analitica come coacervo di dinamiche difficilmente distinguibili e separabili. Ricordo a questo proposito che Jung, col crescere della sua esperienza cllnica si è trovato a relativizzare l'importanza del transfert:
«La traslàzione può essere paragonata a quei
medicamenti che su alcuni agiscono come rimedi, su altri come un vero e proprio veleno. La sua comparsa
(3) D. Winnicott «La capacità di essere solo», in Sviluppo affettivo e ambiente, Roma,
Armando, 1974.
(4) M. e E. Balint,La regres-sione (II difetto fondamenta-le), Milano, Cortina, 1983.
(5) C.G. Jung, «Quinta con-ferenza alla clinica Tavi-stock» (1935), in Psicologia Analitica, Milano, Mondado-ri,
1975, pp. 155-156.
(6) C.G. Jung, «Psicologia della traslazione», in Pratica della psicoterapia. Opera, voi.
16, Torino, Boringhieri, p. 175.
(7) D.W. Winnicott, «I fini del trattamento psicoanalitico», in
Sviluppo affettivo e ambiente,
Roma, Armando. 1974.
rappresenta in certi casi una svolta in senso positivo, in altri un ostacolo e un aggravamento, se non peggio; in altri ancora, infine, è relativamente inessenziale» (5); e a distinguere quattro fasi, nel suo trattamento, di cui l'ultima mirerebbe ad: «affrancare la coscienza dall'oggetto». Jung considera questa fase come essenziale per il pro-cesso individuativo poiché l'uomo non cercando più fuori di sé in persone, idee o altro la garanzia della sua felicità o della sua vita stessa, arriverebbe a riconoscere che tutto dipende dal fatto di possedere dentro di sé il tesoro, owero il suo centro di gravita. Imparare a gestire ed esprimere questo tesoro può comportare per molti la ricerca di un metodo individuale per dar forma alle immagini interne, incluse quelle impersonali, attraverso il quale si metta in moto la vitale funzione psicologica di cui la religione si è fatto carico per millenni (6).
La distanza sana, nella relazione analitica, permette la fusione occasionale e la restituzione il più possibile fedele al paziente di ciò che gli appartiene. La vera fatica dell'analista è quella di non mettersi in mezzo, di non far pesare, come la madre intrusiva, la sua presenza nel rapporto, in sostanza di lasciare tutto lo spazio al paziente affinchè egli ritrovi se stesso. Nel frattempo è suo com-pito, peraltro non facile, riuscire, come diceva Winnicott, a «stare vivo, stare bene, stare sveglio» (7).
Ma, tornando al gioco della sabbia, in che modo possiamo osservare l'emergere di quella creatività che accompagna lo sviluppo di una potenziale autonomia psicologica del paziente?
Se consultiamo la scarsa letteratura esistente sull'argo-mento troveremo unanimità sul punto teorico che ricono-sce a questa metodica il potere di indurre una regressione non patologica ai livelli primari della psiche, dove giace in germe la creatività, owero la tendenza autonoma della psiche all'autoguarigione. Se, come affermano sia Jung, sia la Kalff, sia altri autori, lo sviluppo del Sé è archetipicamente determinato e se la psiche ha la possi-bilità di curare se stessa, allora il ruolo dell'analista, o meglio, del terapeuta della sabbia, è quello di vegliare su questo processo autonomo affinchè nulla intervenga a disturbarlo.
Come awiene più in dettaglio questa penetrazione diretta nella sostanza polistratiticata della psiche? L'osserva-zione del gioco infantile, delle produzioni artistiche in arte terapia, dei sogni stessi, dei miti, delle creazioni della fantasia in genere conferma il ripetersi di una processua-lità che è poi stata teorizzata nelle varie concezioni di stadi evolutivi psicologici (da quelli psico-sessuali di Freud in poi, incluso Neumann che ha fornito alla Kalff il supporto teorico più appropriato alle sue osservazioni). Tuttavia, osservando le scene costruite nella sabbiera senza preconcetti teorici, si può apprezzare, a mio avvi-so, una complessità di elementi ruotanti intorno all'asse della creatività che sono inerenti alla funzione del gioco stesso, più che a una specifica fase di sviluppo che identifica la sabbia con l'universo materno primario. Mi spiego. Dicevo più sopra che nell'attività del gioco infantile abbiamo un primo tentativo di autonomia dalla madre-nutrice. La creatività attinta attraverso il gioco della sabbia viene comunemente rappresentata come un grembo materno che fa nascere una nuova vita (la comparsa dell'immagine del neonato o del bambino piccolo). Secondo me ci sono anche altri tipi di creatività espressi da particolari forme, movimenti, percorsi, colori, configurazioni spaziali, o altre immagini meno letterali e meno legate al modello della nascita biologica, cioè all'ottica della madre.
Proviamo a calarci nei panni del bambino che gioca, invece che in quelli di una donna gravida, e a entrare in contatto con le energie e le forme che scaturiscono dalla concentrata manipolazione di una materia tutta da pla-smare.
Cercando di andare all'origine di questi fenomeni, pos-siamo trovarne il precursore nel rapporto del bambino con le proprie feci. Certamente esse sono la prima crea-zione in assoluto che il corpo umano produce e il rag-giungimento del controllo sulla funzione evacuatoria corrisponde nel bambino a un'aumentata capacità di organizzare il rapporto tra dentro e fuori, tra dare e rice-vere, tra esperienza corporea e mentale.
Altri prima di me hanno tessuto le lodi degli escrementi e tra essi ricorderò l'utopista francese Fourier che, come
(8) J. Hillman, Thè Dream and thè Underworid, New
York, Harper & Row, 1979.
(9) J. Chasseguet-Smirgel,
Creatività e perversione, Milano,
Cortina, 1987.
(10) Per una discussione e per un ampliamento critico del concetto di Sé. junghia-no e non, si veda: C.H. Klaif, «Emerging concepts of thè Self: clinical considerations», in Archetypal Processes in Psychotherapy, Wilmette, Chiron, 1987; e per il rap -porto tra il Sé e suoi aspetti oscuri, amorali, perversi, si veda: A. GuggenbuhI -Craig,
Eros on Crutches. Reflec-tions on Psychopathy and Amorality, Dallas, Spring, 1980.
molti sanno, elevava il gioco del bambino con il fango, la terra e le feci, a istinto fondamentale e proponeva addi-rittura di socializzarlo organizzando i piccoli in bande di raccoglitori, per il piacere proprio e della società. Vari esponenti della medicina romantica, inoltre, ribadirono e catalogarono il ruolo degli escrementi nelle varie popola-zioni del mondo e Freud stesso, sulla loro scia, si occupo' delle feci in quanto simbolo, e dell'analità in quanto fase psico-sessuale e di tutta la serie di dinamiche psi-chiche ad essa collegate.
Jung, oltre a occuparsene nel suo periodo freudiano in relazione a miti e folklore, ha collegato l'analità, via alchi-mia, anche alla creatività potenziale della Prima materia e Hillman ha ribadito questo orientamento collocando le immagini di fango, terra, diarrea, sporcizia ecc. nel mondo infero, sotterraneo, viscerale, nei recessi quasi irraggiun-gibili della psiche, dove l'anima, decomponendosi, si vie-ne facendo. La morte e le feci come i due grandi livellatori dell'umanità e le feci come essenza permanente, residuo di residui continuamente ricreantesi (8).
Un orientamento simile, sul versante freudiano, ce lo propone la Chasseguet-Smirgel in Creatività e perversio-ne (9), dove l'universo anale acquista un ruolo fondante e
cardinale per lo sviluppo della creatività.
Per non parlare, infine, dell'ovvia assonanza tra analità e analisi e degli aspetti di ordine, controllo, ritenzione, ecc. che caratterizzano lo stadio più maturo della fase anale, nonché il tentativo della psico-analisi di scomporre, esaminare, ristrutturare e porre sotto il predominio dell'Io la sostanza magmatica dell'inconscio.
Per venire ora al punto centrale, se integriamo il contri-buto degli autori cui ho brevemente accennato, alla rifles-sione sull'evento terapeutico prodotto dal gioco della sabbia, potremo riconoscere senza difficoltà l'universo anale con tutti i suoi componenti, inclusa la sua funzione di precursore della creatività.
L'ipotesi generale di queste riflessioni parte dall'idea che anche nello sviluppo del Sé (10), si incontri un'area in cui prevalgono contenuti., modalità, rappresentazioni di ca-rattere anale che sono ben evidenziati nel gioco infantile e nel gioco della sabbia con il paziente adulto. In questa
fase appaiono tematiche di non-esistenza del Sé o di esistenza mostruosa o rifiutata, cui può corrispondere un blocco della fantasia e della creatività, nonché il manife-starsi di aspetti perversi, sessualmente o meno.
Molte malattie psichiche sono accompagnate da disturbi della funzione creativa, oppure se c'è creatività, essa si trova spesso al servizio delle difese e del falso Sé.
In un mio articolo precedente dal titolo «Sul mostro e il mostrare» (11) e in uno successivo sul gioco della sabbia e sul ruolo dello sguardo (12), sostenevo l'importanza della funzione di accoglimento e rispecchiamento per il solidificarsi dell'identità profonda nei suoi elementi rinne-gati, come appunto l'esistenza rifiutata o degradata o il corpo mortificato. Conferme in questa direziono le ho trovate nel lavoro sulla fusionalità di alcuni colleghi freu-diani (13) che incontrano il bambino rifiutato e il bambino mostruoso nella loro ricerca sugli adulti, a partire dalla messa a fuoco di certi stati di percezione di non esistenza del Sé. A livelli più evoluti, secondo gli autori, farebbe seguito la fantasmatizzazione anale dell'essere rifiutato, dell'essere cacca, e a livelli ancora successivi compari-rebbero i problemi di vero e falso Sé.
Vorrei ora riallacciare i temi dell'analità e della creatività e collocare il tutto in una sabbiera, premettendo che il motivo del mostrare, dell'esporre, dell'esibire, del venir fuori, dell'esser visti o spiati o giudicati, della vergogna, ecc. è inerente sia alla modalità anale, sia a quella perversa, sia a quella creativa, sia alla produzione del gioco della sabbia (si consideri, a questo proposito, l'ele-mento concreto della fotografia, oltre a quello dello sguardo).
La comparsa del bambino=mostro, cioè il bambino rifiu-tato, può essere contemplata parallelamente sia nei sogni sia nelle scene costruite nella sabbiera dove vengono depositate figure di mostri o esseri ambigui e inquietanti, che a volte seguono o si alternano significativamente a sabbie luccicanti e ide alizzanti. Per sua natura, inoltre, la sabbia stessa, il giocare sporcandosi le mani o mesco-landovi dell'acqua, si pone come materiale creativo e anale al tempo stesso, che viene esposto e mostrato. Essa può essere sbriciolata, destrutturata, rimescolata e
(11) in Rivista di Psicologia Analitica, Roma, Astrolabio.
1987. n. 36.
(12) «Granelli di sabbia: appunti di un viaggio», in
Rivista di Psicologia Analitica,
Roma, Astrolabio, 1989, n. 39.
(13) C. Neri. L Pallier. G. Petacchi, G.C. Soavi, R. Tagliacozzo, «Fusionalità. Scritti di psicoanaiisi clinica», Roma, Boria, 1990.
(14) B. Grunberger, Le Nar-cissisme, Paris, Payot, 1971.
(15) C.G. Jung. «Scopi della psicoterapia» (1929), in Pra-tica della psicoterapia,
«Opere», voi. 16. pp. 56-57. Si veda anche la discussione della Quinta conferenza alla Tavistock, citata più sopra.
ristrutturata, accelerando così, per via della dimensione concreta e immediata, il contatto con gli equivalenti psi-chici di tali funzioni.
C'è una differenza nel rapporto con la materia, tra la modalità orale e quella anale. Nella prima prevale un contatto fusionale, indifferenziato con il seno materno, mentre nella seconda il bambino sperimenta la dimensio-ne primaria del 'fare' attraverso il proprio corpo e da solo. Secondo B. Grunberger la base energetica di ogni movimento pulsionale è la creazione anale (14). In questa fase il bambino fa subire agli oggetti la propria ag-gressione: spezza, sporca, taglia, gioca con la sabbia, le feci, la terra, smonta e distrugge.
E tutto questo, come ci insegna Winnicott, favorisce lo sviluppo della relazione oggettuale e dell'uso stesso dell'oggetto. Cioè l'autonomia del bambino.
Anche Jung, riferendosi all'utilizzazione di tecniche espressive, diceva che questo permetteva al paziente uno scatto verso l'attività, nel senso dell'atto personale, della responsabilità nei confronti del proprio inconscio.
«In questo modo, il fantasma allo stato puro si coniuga con un elemento di realtà, il che gli conferisce più so-stanza, più efficacia all'immaginazione... Basta che un paziente abbia verificato una volta quanto la preparazione di un'immagine simbolica lo libera da uno stato psichico miserevole, perché vi faccia ricorso ogni volta che il suo stato d'animo lascia a desiderare. Questa è un'ac-quisizione di valore inestimabile, un germe di indipen-denza, una transizione verso la maturità psicologia. Il paziente si rende indipendente grazie all'autocreazione» (15).
Analità e attività, analità e aggressività, analità e creati-vità. Tré binomi interscambiabili che offrirebbero ulteriori allargamenti di campo, in senso teorico e clinico. Ma per ora mi limito a nominarli.
Venendo alla cllnica più dappresso comincerò dicendo che ho introdotto il gioco della sabbia in una pratica già awiata e quindi ho avuto modo di osservarne gli effetti in senso trasversale, cioè su pazienti in momenti molto diversi della loro terapia, alcuni ad analisi quasi finita, altri appena iniziata, altri in posizioni intermedie. Mi ha