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Analogie e differenze tra le varie interviste

PARAGONA I PENSIERI DELLA

5.1.3 Analogie e differenze tra le varie interviste

Per l’analisi delle interviste è opportuno osservare le griglie complessive sopra riportate. Effettuando la raccolta dati, il particolare che inizialmente salta all’occhio è la diversità dei tre nuclei famigliari: nella prima intervista abbiamo una mamma che ha dovuto occuparsi da sola in tutto e per tutto della figlia, non emerge, infatti, nessuna figura maschile o comunque nessun punto di riferimento oltre a lei; nella seconda intervista abbiamo, invece, una coppia di genitori che si trovano ad affrontare questa malattia per la terza volta e che hanno, come risorsa, la presenza delle altre due figlie. Esse danno un contributo sensibile alla situazione dovuto ai propri vissuti e a studi intercorsi successivamente la malattia. Nell’ultima intervista, infine, abbiamo un’altra coppia di genitori, completamente coinvolti dalla malattia della figlia, dove si può notare, in modo particolare, una stanchezza e una disperazione evidente da parte della mamma, che si occupa al cento per cento della figlia da quando le è stata diagnosticata la malattia. Un altro particolare che emerge è, indubbiamente, l’eloquio utilizzato da tutti gli intervistati: nelle prime due interviste vi è una modalità di comunicazione semplice, coincisa e chiara, immediatamente comprensibile alle orecchie di chi ascolta; nell’ultima intervista, invece, vi è un eloquio particolarmente strutturato e ricercato in particolar modo dal padre, con l’utilizzo anche di metafore come “[…] Noi siamo delle formiche in

mezzo ad un frullatore, cioè ci sono forze enormi, a noi sconosciute […]”.

Nel secondo e nel terzo colloquio sono state intervistate entrambe le figure genitoriali e si nota una profonda differenza. Nel primo caso troviamo una figura materna molto forte e determinata, con le idee chiare in merito alla malattia e sulle proprie capacità di problem-solving e di coping, situazione molto simile alla mamma della prima intervista, che si mostra molto sicura di sé e consapevole delle proprie capacità e delle proprie risorse interiori; nella terza indagine, invece, vi è una mamma insicura, stanca, distrutta dalla situazione che sta vivendo, in preda al senso di colpa e anche dal senso di fallimento e sconfitta come figura genitoriale, evidente nella frase “Ho lasciato il lavoro

per stare vicino ai miei figli e va che casino. […] A volte mi sembra anche, sinceramente, di non meritarlo […]”. Durante l’intervista, inoltre, si lascia andare

frequentemente a momenti di pianto e di debolezza, elemento che non emerge nelle altre inchieste e che mette in evidenza, tramite il non verbale, il suo disagio e il suo vissuto doloroso.

Per quanto riguarda, invece, le figure paterne, anche qui emergono delle profonde differenze. Nel primo caso, è necessario stimolare più volte il papà a rispondere e ad esprimere, non solo con un eloquio monosillabico, i propri vissuti e le proprie emozioni in merito alla situazione; dall’altra parte, invece, vi è un papà che risponde ad ogni domanda proposta dall’intervistatore in modo molto esaustivo, con un gergo alquanto ricercato e forbito e anticipando sempre le risposte della moglie. Per quanto riguarda la comunicazione non verbale e paraverbale, nella seconda intervista non c’è nessuna ricerca di un contatto oculare con l’intervistatore, è presente uno sguardo triste e fisso nel vuoto; nell’ultimo caso, invece, vi è un’apertura nei confronti di chi pone le domande e un contatto fisso per tutta la durata del colloquio.

Nella terza intervista emerge una profonda preoccupazione da parte del padre nei confronti della moglie, coinvolta dalla malattia della figlia a tal punto da non avere più nessun tipo di contatto esterno, nessuna vita sociale e alcuna valvola di sfogo per affrontare la situazione. Questo elemento è presente solamente in questa situazione, delle tre proposte, ed è sottolineato più volte nel corso della conversazione: è evidente,

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in questo caso, quanto la malattia modifichi e cambi in modo significativo le dinamiche famigliari e quanto sia presente il tema dell’isolamento sociale.

In merito alla tematica della scoperta del disturbo, si evidenzia l’incapacità di accorgersi tempestivamente dell’inizio della patologia, basandosi sui primi segni e sintomi; al contrario si può notare che i genitori si sono accorti del problema quando ormai la patologia era avanzata e conclamata:

“[…] Cominciava comunque a selezionare gli alimenti e lì ho capito davvero che il problema c’era. Me ne sono accorta perché l’ho vista che ad un certo punto trafficava con il cibo sotto il tavolo e lo nascondeva in un tovagliolo dentro la gonna […]”.

Inoltre, ciò che accomuna tutte e tre le interviste sono i vissuti emotivi e i pensieri delle figure genitoriali in merito alla situazione che si trovano ad affrontare. Sia le mamme che i papà si dicono pervasi da un senso di impotenza e frustrazione, in quanto non riescono a comprendere i meccanismi intrinseci della malattia che portano a comportamenti inusuali e incomprensibili da parte delle proprie figlie. Emerge che tutti provano a mettere in atto delle strategie per far fronte alla situazione, ma che comunque queste non riescono a rivelarsi sufficienti ed efficaci, facendo permanere, così, questo senso di inadeguatezza e di frustrazione che li fa soffrire molto e che non da loro la possibilità di reagire in modo funzionale. “A me, più che altro, causa

impotenza, perché abituato per mentalità a risolvere problemi, qui mi trovo impotente. Questo a me provoca un senso di frustrazione enorme […] Perché è una cosa che mi sfugge, che non riesco a capire”.

Oltre a questo, è presente, in tutti i genitori, un senso di colpa non indifferente per lo sviluppo della patologia. I primi pensieri, infatti, che vengono alla mente sono “Perché?” “Che cosa ho fatto?” “Che cosa ho detto?”. Entrambe le figure genitoriali cercano di trovare risposte alle numerose domande attribuendosi delle colpe che possono aver scatenato il disturbo del proprio caro e ciò che emerge è la sensazione di aver trascurato il proprio figlio troppo a lungo fino ad arrivare alla conclamazione del disturbo.

Un altro aspetto che accomuna i genitori intervistati è la presenza di poche risorse che li aiutino ad affrontare la situazione; tutti e tre i nuclei famigliari affermano che non hanno trovato nessun aiuto esterno che potesse dar loro un sostegno o un appoggio. Ovviamente questo provoca un aumento dello stress che nuoce alla famiglia ma anche, e soprattutto, alla persona stessa. Questo tema è molto evidente nell’intervista numero 3, dove il tasso di stress e stanchezza della mamma è veramente molto alto e questo è dovuto ad una solitudine e ad un isolamento importanti.

Un elemento comune che si riscontra è il cambiamento importante delle dinamiche famigliari dal momento in cui è presente una consapevolezza di malattia. I genitori si concentrano totalmente sulla problematica riscontrata nel proprio caro e fanno di essa la priorità, lasciando in secondo piano tutto il resto: amici, routine famigliare, hobbies, cura della propria persona, interessi personali, ect. Ciò che risulta di fondamentale importanza per questi genitori è stare accanto ai propri figli, accudirli e trovare così delle risposte alle loro numerose domande. A lungo andare, però, questa focalizzazione porta ad un elevato tasso di stress non solo per il genitore stesso, ma per tutti i componenti della famiglia, che potrebbero risentirne anche in futuro.

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Dalla raccolta dati, infine, si evidenzia che è necessario, per tutte le figure genitoriali, essere presi a carico da uno specialista, da una figura esterna alla famiglia che possa accoglierli, rispondere alle loro domande, informarli in merito alla patologia, al suo decorso e alle strategie da mettere in atto con i propri figli e che possa dar loro la possibilità di avere uno spazio personale e privilegiato per potersi sfogare e per confrontarsi sui propri vissuti personali.

6. DISCUSSIONE

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