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GLI ANNI DELLA GUERRA FREDDA: DALLA FIRMA DEL TRATTATO DI PACE DI SAN FRANCISCO ALLA DISSOLUZIONE DELL’UNIONE

SOVIETICA

2.1 - La situazione nel dopo guerra

Subito dopo la conclusione della Seconda Guerra Mondiale, il Giappone venne occupato dalle forze alleate (dal settembre del 1945 all’aprile del 1952), anche se, in realtà, furono gli Stati Uniti, assieme a un piccolo contingente australiano, a controllare il Paese. Tutti gli Stati entrati a far parte della dominazione nipponica durante la Guerra del Pacifico ritornarono sotto il controllo coloniale precedente, mentre Taiwan e la Manciura vennero riconsegnate alla Repubblica di Cina. La nazione nipponica risultava stremata dalla guerra, protrattasi dal 1931 con l’invasione della Manciuria, avendo inoltre perso la maggior parte della sua capacità navale e industriale1.

Il Presidente statunitense Harry Truman consegnò al generale Douglas MacArthur il comando dello SCAP (Supreme Commander for the Allied Powers), ovvero del Comando supremo delle potenze alleate, organo predisposto per la demilitarizzazione e la democratizzazione del Giappone, affiancato dalla FEC (Far Eastern Commision), la Commissione per l’Estremo Oriente, dedita all’elaborazione della strategia di intervento in Giappone, e dall’ACJ (Allied Council for Japan), cioè il Consiglio Alleato per il Giappone: nonostante questo tipo di organizzazione, alla fine MacArthur ricevette le direttive unicamente da Washington attraverso il Presidente Truman, scavalcando, di fatto, gli organismi alleati. Durante gli anni 1946 e 1947, ancora all’inizio del periodo di occupazione, avvenne il famigerato “cambiamento di rotta”, trasformazione nella quale il Giappone passò da nemico sconfitto a

1 I siluri statunitensi avevano affondato circa il 70% della flotta mercantile giapponese, mentre i

bombardamenti e la fuga dalle colonie nipponiche avevano fatto perdere oltre i due terzi della sua capacità industriale. CAROLI, Rosa e GATTI, Francesco, Storia del Giappone, Laterza, prima edizione, 2004, pp. 217- 220.

maggiore alleato degli Stati Uniti2.

Yoshida Shigeru3, al termine del conflitto, venne eletto primo ministro giapponese, il 22 maggio 1946, e ottenne da subito il sostegno degli Stati Uniti, decisi a trattenere il Giappone sotto la propria ala protettrice. Yoshida applicò la cosiddetta “Dottrina Yoshida”4, volta al mantenimento di un basso profilo diplomatico internazionale, ma armonioso con tutte le altre nazioni, specialmente con Stati Uniti e Gran Bretagna5.

Il governo giapponese entrò nella sfera di influenza statunitense, in parte per la presenza americana sul suolo giapponese e per i vantaggi economici che avrebbe conseguito grazie ad una cooperazione con gli USA, e in parte perché concettualmente si trovava in linea con la politica democratica filo-americana.

L’Unione Sovietica non proseguì il suo cammino assieme alle altre nazioni vincitrici. Stalin, forte della vittoria, delle nuove conquiste territoriali e dell’ormai accresciuta potenza militare, puntò anch’egli il proprio interesse al Giappone, cercando a sua volta di influenzare il nuovo

2 Lo SCAP, operando non direttamente, ma tramite il governo giapponese, abolì il Ministero della guerra, della

marina, degli approvvigionamenti militari e degli interni, considerando quest’ultimo la causa maggiore delle persecuzioni civili degli anni della guerra. Per di più, il generale MacArthur richiese una nuova costituzione (promulgata il 3 novembre 1946 ed entrata in vigore il 3 maggio 1947, basata sui principi della democrazia parlamentare), lo scioglimento degli agglomerati industriali e finanziari giapponesi (gli zaibatsu, ) e l’epurazione dei sostenitori del regime appena sconfitto. Vennero anche introdotti i diritti politici, favorendo la formazione dei partiti. Dopo l’entrata in vigore della nuova costituzione, l’imperatore (o tennō, , letteralmente “imperatore celeste”) perse ufficialmente il suo carattere divino (era appunto considerato il “discendente dell’ininterrotta linea divina”), per divenire il “simbolo (in giapponese shōchō, ) dello Stato e dell’unità del popolo giapponese”. Ivi, p. 217-220.

3 , (nato il 22 settembre, 1878 – morto il 20 ottobre, 1967) politico giapponese a capo del Partito

Liberale (ruolo ottenuto subito dopo l’epurazione di Hatoyama Ichirō), rivestì il ruolo di primo ministro due volte nell’immediato dopo gue€rra, prima dal 20 maggio 1946 al 21 maggio 1947, e poi dal 15 ottobre 1948 al 10 dicembre 1954. La sua cultura vicina alle idee occidentali fecero di lui il candidato giapponese ideale per i rapporti con gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. La sua priorità fu la ricostruzione economica, e, grazie agli sforzi e ai sacrifici della popolazione nipponica, riuscì, durante la metà degli anni cinquanta, a ottenere nuovamente gli standard degli anni 1933-1935, i più alti del periodo antecedente alla guerra. Fu sua, con il pieno consenso di MacArthur, l’idea della “purga rossa”: nel maggio del 1950 fece espellere ventimila lavoratori di imprese private e milleduecento dipendenti pubblici, docenti universitari e insegnanti di scuola compresi, appartenenti alla dirigenza (o semplicemente iscritti) al Partito Comunista. Yoshida Shigeru, “Encyclopædia Britannica.

Encyclopædia Britannica Online”, 2012, http://www.britannica.com/EBchecked/topic/653861/Yoshida-Shigeru

e CAROLI, Rosa e GATTI, Francesco, Storia del Giappone, Laterza, prima edizione, 2004, pp. 223-224.

4 Dottrina del dopo Seconda Guerra Mondiale che prendeva il nome dal suo ideatore Shigeru Yoshida,

prevedeva l’impegno nazionale rivolto unicamente alla ripresa economica, mantenendo un basso profilo diplomatico internazionale e lasciando l’onere delle spese e della protezione militare agli Stati Uniti.

5 SODEBERG, Marie, Changes in Japan’s Foreign and Security Policy, “Scandinavian Working Papers in

governo nipponico e di farlo entrare nella propria sfera di influenza.

Il Politburo6 voleva occupare una parte del territorio Giapponese (Hokkaidō) come avevano fatto dall’estate del 1945 le truppe d’occupazione statunitensi con Okinawa, mentre le forze militari sovietiche, presenti nelle isole Curili, non sapevano fin dove potevano spingersi, restando così in attesa di un ordine dalla madrepatria. Nel frattempo i sovietici avevano fatto prigionieri circa seicentomila soldati giapponesi, prelevati direttamente dai Territori Settentrionali e mandati nei campi di concentramento russi: buona parte di loro morì e i sopravvissuti fecero ritorno solamente dopo gli accordi presi una decina d’anni dopo.

La situazione rimase in stallo fino allo scoppio della Guerra di Corea7, la quale indusse gli Stati Uniti ad intraprendere una politica di contenimento nell’Asia Orientale, e la nazione più adatta a rivestire il ruolo di cuscinetto nella regione, contro l’espansione sovietica, era il Giappone.

A questo punto le Potenze Alleate e il Giappone decisero di sistemare le questioni irrisolte tramite la sottoscrizione di un accordo di pace durante la Conferenza tenutasi a San Francisco nel 1951, con la partecipazione di ben cinquantuno Stati.

La Repubblica Popolare Cinese, nata nel frattempo con la vittoria dei comunisti di Mao Zedong ai danni del generalissimo Chiang Kai Shek, non fu nemmeno invitata. L’8 settembre quarantotto Stati firmarono quello che verrà ricordato come il Trattato di San Francisco, ponendo definitivamente fine al conflitto mondiale, precludendo ufficialmente al Giappone la

6 Политбюро (lettura Politbiurò), termine che deriva dall’inglese political bureau, è la commissione esecutiva

per un certo numero di Paesi comunisti nel mondo, considerata dagli stessi “l’avanguardia del proletariato”. Solitamente i componenti di questo ufficio politico hanno il potere di controllare lo Stato.

7 Conosciuta anche come Guerra 6-25, o in coreano Hanguk jeonjaeng ( ); dopo circa trenta anni di

occupazione giapponese (1895-1945), nell’agosto del 1945 venne liberata a nord dall’avanzare delle truppe sovietiche, e a sud da quelle statunitensi, delimitando una zona di divisione al 38° parallelo. Nella parte settentrionali si formò un governo di stampo comunista, guidato da Kim Il Sung e con capitale la città di Pyongyang, mentre a sud prese il potere Syngman Rhee, aiutato dagli americani, con capitale Seoul. Spinti dall’intento di riunificare il Paese, i nordcoreani, appoggiati dall’Unione Sovietica e dalla Repubblica Popolare Cinese, lanciarono un attacco alla Corea del Sud, il 25 giugno 1950. Nel giro di due mesi, i sudcoreani furono spinti fino a Pusan, una zona a sud della penisola; dopo la condanna dell’ONU per le azioni della Corea del Nord, le truppe delle Nazioni Unite (formate da una coalizione di diciassette Paesi membri), guidate da quelle americane con al comando il generale Douglas MacArthur, riuscirono a ricacciare gli invasori a nord, fino al fiume Yalu, al confine con la Cina, determinando così l’entrata in guerra delle forze militari cinesi, spacciate per volontari (l’Armata dei Volontari del Popolo Cinese, o in cinese Zhōngguó Rénmín Zhìyuàn Jūn, ), e la conseguente stabilizzazione degli scontri al 38° parallelo. Il 27 luglio 1953, i due Stati coreani firmarono un armistizio, ponendo il confine al 38° parallelo e creando una zona demilitarizzata al suo interno.

possibilità di diventare nuovamente una potenza egemonica8, e regolamentando le compensazioni economiche alle vittime civili e militari delle azioni belliche nipponiche.

Il testo del Trattato si ispirava fortemente alla Carta delle Nazioni Unite e dei Diritti Fondamentali dell’Uomo. Nell’articolo 2 del

trattato il Giappone fu costretto alla rinuncia

A tutti i diritti, titoli e pretese sulle isole Curili, e a quella porzione di Sakhalin e alle isole adiacenti sulle quali il Giappone aveva acquistato sovranità in conseguenza del Trattato di Portsmouth del 5 settembre 1905.9

Nonostante l’irregolarità nel diritto internazionale di tale dicitura, il Giappone si ritrovò nella posizione di non poter negare alcuna richiesta occidentale, e lo stesso Yoshida scelse la linea morbida, chiedendo solamente la restituzione delle isole Habomai.

Secondo molti studiosi10 l’articolo fu una macchinazione orchestrata dal segretario di Stato John Foster Dulles con l’intenzione di mantenere accesa l’ostilità con le nazioni vicine (specialmente l’Unione Sovietica) e di rafforzare la dipendenza militare giapponese dagli Stati Uniti. L’articolo non specificava quale nazione avrebbe beneficiato dei territori ceduti dal Giappone, ne tanto meno veniva chiarito cosa si intendesse propriamente con “isole Curili”: i Territori Settentrionali potevano far parte dell’arcipelago delle isole Curili o del Giappone in base alle diverse interpretazioni.

L’Unione Sovietica partecipò alla Conferenza di San Francisco con una delegazione

8 Ufficialmente perché ciò era già stato fatto dalla prima parte dell’occupazione statunitense in Giappone. 9 Cit. DE PALMA, Daniela, “Analisi delle relazioni tra Giappone e Russia dal 1945 al 1998”, Atti del XXII

Convegno A.I.STU.GIA., settembre 1998, p. 175.

10 Cfr. ad esempio KIMURA, Hiroshi, Mark Ealey (a cura di), The Kurillian Knot: A History of Japanese-

Russian Border Negotiations, California, Stanford University Press, 2008, pp. 58-60.

Figura 2.1. Firma del Trattato di Pace di San Francisco da parte di Yoshida Shigeru.

diplomatica guidata dal ministro degli esteri Andrey Andreyevich Gromyko11, ma fin da subito fu insoddisfatta, non solo per il contenuto del Trattato, ma anche a causa delle scarse informazioni preparatorie ricevute prima dell’incontro e per la mancata partecipazione della Repubblica Popolare Cinese. Il giorno della firma del Trattato, Gromyko espose ai partecipanti le proprie critiche, tra le quali la mancata consultazione sovietica durante la stesura del Trattato, la conseguente trasformazione del suolo nipponico in un’enorme base militare americana, e soprattutto la violazione degli accordi presi tra le tre grandi Potenze a Yalta circa il riconoscimento della sovranità sovietica su tutte le isole Curili. Infatti la delegazione russa decise di non firmare il Trattato, assieme a Cecoslovacchia e Polonia, lasciando in anticipo la Conferenza.

Apparentemente il segretario di Stato Dulles riuscì nel suo piano: l’Unione Sovietica aveva perso la sua più grande occasione per rivendicare a livello internazionale il possesso di tutte le isole Curili, territori contesi compresi. Nonostante l’ambiguità del termine “isole Curili”, la firma del Trattato di San Francisco avrebbe costituto uno strumento molto più incisivo per la propria rivendicazione territoriale rispetto agli accordi presi a Yalta, specialmente per quanto riguarda le isole di Etorofu e Kunashiri, più distanti dallo Hokkaidō.

La dirigenza sovietica aveva già approvato tramite un decreto del Presidium del Soviet Supremo del 2 febbraio 1946 l’annessione delle Curili Meridionali alla provincia di Sakhalin Meridionale, le quali furono inglobate, nel 1947, nella provincia stessa.

11 Андреqй Андреqевич Громыqко, (18 luglio, 1909 - 2 luglio, 1989) fu un politico russo durante gli anni della

Guerra Fredda, servì come ministro degli esteri dal 1957 al 1985 e come Presidente del Presidium del Soviet Supremo dal 1985 al 1987. Prima del suo ritiro nel 1987, fu considerato la mente di quasi tutti gli avvenimenti di politica estera in cui venne coinvolta l’Unione Sovietica, oltre che il portavoce ufficiale della nazione. In Occidente venne soprannominato “Mister Nyet”, cioè Signor No. Andrey Andreyevich Gromyko, “Encyclopædia

Britannica. Encyclopædia Britannica Online”, 2012,

Figura 2.2. Cartina dei Territori Settentrionali dopo la Conferenza di Pace di San Francisco.

2.2 - Analisi della Conferenza di San Francisco

Come accennato, l’Unione Sovietica, negando la propria firma al Trattato di San Francisco, perse l’occasione più semplice per ottenere il riconoscimento internazionale sulla sovranità delle Curili Meridionali. La scelta sovietica fu dettata dalla delusione e dalla sfiducia generata dalla manipolazione dell’intera Conferenza ad opera della collaborazione americano- britannica, sia per il testo del Trattato stesso, sia per altri fattori di contorno, come l’esclusione cinese o la mancata valutazione dei rischi di una rinascita militarista giapponese. All’inizio delle trattative le prospettive dell’Unione Sovietica apparivano più rosee: la prima bozza del Trattato specificava l’assegnazione dell’intero arcipelago delle isole Curili all’URSS, come deciso precedentemente negli accordi di Yalta. Una volta firmato un accordo

di questo tipo, qualsiasi rivendicazione giapponese avrebbe immediatamente perso di significato; eppure Gromyko decise di partecipare come spettatore anziché come parte direttamente in causa.

Dulles modificò il testo del Trattato in accordo con la Gran Bretagna, delineando così la versione definitivamente approvata. Il Trattato seguiva la linea intrapresa a Potsdam, dove la sovranità giapponese era stata limitata alle quattro isole principali dell’arcipelago nipponico, assieme ad alcune isole minori non meglio specificate. La nazione sovietica, non essendo tra gli Stati firmatari del Trattato, non aveva alcun titolo per reclamare la sovranità sui territori conquistati al Giappone durante la Seconda Guerra Mondiale.

La situazione a questo punto era complessa: il Giappone rinunciava alla propria sovranità sulle isole Curili in favore di un Paese firmatario del Trattato ma non meglio specificato, quindi manteneva virtualmente il possesso delle isole, dato che nessun’altra nazione di fatto vantava reclami su queste; l’Unione Sovietica, invece, poteva contare sul possesso dei territori, sulla forza della propria presenza militare e sul reclamo dei mancati accordi presi a Yalta con Stati Uniti e Gran Bretagna (anche se, pure in questo caso, la Conferenza si svolse in un contesto segreto, senza alcuna firma vincolante). In poche parole ci si trovava di fronte ad una circostanza dove nessuna delle parti poteva prevalere o dirsi soddisfatta.

Come mai, quindi, nonostante gli evidenti vantaggi conseguibili, i rappresentanti dell’Unione Sovietica decisero di non firmare?

Innanzitutto Gromyko, e lo stesso Stalin, non presero adeguatamente in considerazione la possibilità di una crescita economica del Giappone sulla scena internazionale, data la precaria condizione in cui giaceva al termine del conflitto mondiale. Per di più, l’orgoglio russo non permise a Stalin di firmare un accordo nel quale era stato messo al margine.

L’interpretazione su quali potessero essere in realtà le isole Curili rimaneva ambigua persino all’interno del governo nipponico: il direttore del Dipartimento dei trattati esteri (ufficio all’interno del Ministero degli Affari Esteri giapponesi) Nishimura Kumao dichiarò durante una riunione della Dieta Nazionale del Giappone che anche Etorofu e Kunashiri facevano parte delle isole Curili e quindi ricadevano sotto la copertura del punto 2 clausola C del Trattato di San Francisco (19 ottobre 1951), e questo ebbe notevole peso nelle rivendicazioni sovietiche successive.

Anche l’opinione statunitense rivestì un ruolo importante nella questione: il segretario di Stato Dulles rivendicò le quattro isole contese come territori separati dalle vere isole Curili. Per ribadire il concetto, egli stesso consegnò all’ambasciatore giapponese in USA, Tani

Masayuki12, un memorandum “del Governo degli Stati Uniti sui negoziati Sovietici- Giapponesi” (7 settembre 1956). Il testo recitava precisamente

Dopo un attento esame dei fatti storici, gli Stati Uniti hanno raggiunto la conclusione che le isole di Etorofu e di Kunashiri (assieme alle isole Habomai e l’isola di Shikotan, le quali sono da considerarsi parte dello Hokkaidō) hanno sempre fatto propriamente parte del Giappone e, secondo giustizia, devono essere considerate come sovranità giapponese.

L’unico dubbio lasciato dall’affermazione riguardava il modo in cui considerare la sovranità. Nessuna delle quarantotto nazioni firmatarie del Trattato di San Francisco oppose obiezioni alle considerazioni di Dulles.

2.3 - La svolta degli anni Cinquanta

Due anni dopo, la morte Stalin, avvenuta il 5 marzo 1953, rappresentò la prima vera svolta nel confronto tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Nikita Sergeyevich Krushchev13 prese le redini dell’Unione, riuscendo ad ottenere il pieno controllo del Partito solo tra gli anni 1955 e 1956, aprendo così un clima più pacifico con tutte le nazioni occidentali e orientali, Giappone incluso. Il discorso segreto, tenutosi durante il XX Congresso del PCUS il 25 febbraio 1956, evidenziò la visione politica di Krushchev, dove lo stesso condannò sia l’operato di Stalin durante le Grandi Purghe Sovietiche assieme al culto della sua personalità, sia il principio, sempre teorizzato dal dittatore bolscevico, dell’inevitabilità della guerra quale unica possibile scelta nella battaglia del popolo contro i potenti; riuscì inoltre a spodestare dalla dirigenza sovietica la fascia più conservatrice del partito. Si apriva così una nuova fase denominata di

12 , (2 settembre, 1889 - 16 ottobre, 1962) ministro degli esteri giapponese dal 1942 al 1943, in seguito

ebbe un ruolo importante nelle relazioni con gli Stati Uniti al termine del Conflitto del Pacifico. Fu ambasciatore giapponese negli Stati Uniti dal marzo 1956 all’aprile 1957.

13 Никита Сергеевич Хрущёв, (17 aprile, 1894 - 11 settembre, 1971) politico sovietico durante la Guerra

Fredda, fu segretario generale del Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica dal 1953 al 1964 e Presidente del Consiglio dei Ministri dal 1958 al 1964 (premier dell’Unione Sovietica). Fu il principale fautore del movimento di de-stalinizzazione, colui che iniziò i primi programmi spaziali e il primo capo sovietico a visitare gli Stati Uniti, nel settembre 1959. In politica estera viene ricordato per la politica di “coesistenza pacifica”, attuata con i Paesi capitalisti occidentali. Nikita Sergeyevich Khrushchev, “Encyclopædia Britannica.

Encyclopædia Britannica Online”, 2012, http://www.britannica.com/EBchecked/topic/316972/Nikita- Sergeyevich-Khrushchev e ZUBOK, Vladimir, A Failed Empire: The Soviet Union in the Cold War from Stalin

“coesistenza pacifica”, che lasciava ben sperare per la risoluzione dei conflitti ancora irrisolti. Nel 1955, si recò in Yugoslavia dal Presidente Josip Broz Tito14, per cercare di riappacificare un rapporto ormai compromesso già dagli anni di Stalin.

Sempre nello stesso anno, il 18 luglio, si svolse il summit di Ginevra, primo grande incontro del periodo di Guerra Fredda tra i “Grandi Quattro” (il Presidente americano Dwight D. Eisenhower15, il primo ministro britannico Anthony Eden, il Presidente francese Edgar Faure16 ed il leader sovietico Krushchev, accompagnato dal premier Nikolay Aleksandrovich Bulganin17). Per la prima volta, dopo la fine del conflitto mondiale, i capi delle nazioni più potenti al mondo, accompagnati dai loro ministri degli affari esteri, si incontrarono per discutere sul futuro delle relazioni diplomatiche e commerciali, godendo finalmente di un clima più disteso. L’evento venne ricordato successivamente per la nascita del cosiddetto “spirito di Ginevra”.

Ancora prima che Nikita Krushchev diventasse primo segretario del Partito Comunista Sovietico, il premier Georgy Maximilianovich Malenkov18 chiese al Giappone di normalizzare i rapporti (agosto 1953). Un anno dopo il ministro degli affari esteri Molotov dichiarò pubblicamente che l’Unione Sovietica era pronta a intraprendere rapporti diplomatici con i funzionari giapponesi a patto che quest’ultimi fossero disposti alla medesima azione. L’Unione Sovietica, nel gennaio 1955, inviò al governo nipponico una richiesta per l’inizio

14 Јосип Броз Тито, (7 maggio, 1892 - 4 maggio, 1980) politico, rivoluzionario e capo di stato jugoslavo. Fu

uno dei fondatori del Comintern. Ricordato come leader autoritario, fu tra l’altro fondatore, promotore e primo segretario del movimento degli stati non allineati; a lui si deve inoltre la nascita del Titoismo, ovvero una politica socialista separata da quella sovietica.

15 (Nato il 14 ottobre, 1980 – morto il 28 marzo, 1969). Trentaquattresimo Presidente degli Stati Uniti dal 1953

al 1961, servì l’esercito statunitense durante la Seconda Guerra Mondiale nel ruolo di Comandante Supremo delle Forze Alleate in Europa, inoltre diventando primo comandante supremo della NATO nel 1951.

16 (Nato il 18 agosto 1908 - morto il 30 marzo, 1988). Politico, scrittore e storico, rivestì il compito di primo

ministro francese per due volte, dal 20 gennaio al 8 marzo 1952 e dal 23 febbraio 1955 all’1 febbraio 1956.

17 Николаqй Алексаqндрович Булгаqнин, (30 maggio, 1895 - 24 febbraio, 1975) politico e industriale sovietico,

fu ministro della difesa dal 1953 al 1955 e premier dell’Unione Sovietica dal 1955 al 1958. Nikolay

Aleksandrovich Bulganin. “Encyclopædia Britannica. Encyclopædia Britannica Online”, 2012,

http://www.britannica.com/EBchecked/topic/84065/Nikolay-Aleksandrovich-Bulganin.

18 Геоqргий Максимилиаqнович Маленкоqв, (13 gennaio, 1902 - 14 gennaio, 1988) politico sovietico, leader

del Partito Comunista dell’Unione Sovietica e figura molto vicina a Stalin. Alla morte di quest’ultimo fu prima a