Una scintilla nel grigiore aristocratico: l'attivismo del Mocenigo negli anni Trenta e Quaranta
È opinione comune e diffusa, e per lo più veritiera, sulla storia di Venezia e del Veneto sotto il dominio asburgico che siano stati anni di forte declino e ristagno economico e commerciale. Una condizione di staticità e di mancanza di sviluppo in parte prodotta dalle negative misure prese dal governo imperiale: l'elevata pressione fiscale, il ruolo del Veneto come bacino di produzione di materie prime, la subordinazione di Venezia e del suo porto a Trieste, la mancanza di istituti di credito veneziani o veneti, la lenta macchina amministrativa-burocratica viennese, ebbero certamente il loro peso. In parte, invece, da ricercarsi all'interno della stessa società veneziana, in particolare negli strati più elevati, dove si era concentrato all'epoca della Serenissima, l'esclusivo potere politico e gran parte della forza economica e finanziaria. Nonostante la perdita delle ricchezze fondiarie e delle responsabilità di governo, il ceto dei nobili possidenti era ancora il principale detentore del potere perlomeno in ambito locale, ed aveva la maggioranza nelle congregazioni centrali, provinciali e municipali. Il suo carattere prevalente, però, fu il conservatorismo, l'immobilismo in ogni campo, in special modo quello economico. Dagli studi degli storici, emerge la mancanza di una corrente liberale e riformista nella nobiltà veneziana e veneta, dinamica e rivolta ad uno sviluppo economico che potremo definire “capitalistico”, spodestata dalla classe emergente per antonomasia del XIX secolo, la ricca borghesia dei commerci e degli affari, che soprattutto da inizio secolo aveva esteso i suoi interessi alle proprietà fondiarie. Ma, anche in questo caso, il giudizio non può essere unilaterale: Alvise Francesco Mocenigo, con il suo attivismo quasi esasperato e il suo spiccato spirito imprenditoriale, sia in campo agricolo e industriale, sia in campo commerciale e finanziario, ne fu la prova.1
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Sulla situazione economico-sociale di Venezia e del Veneto durante la prima dominazione austriaca, sul ruolo del patriziato e della borghesia si veda Paul Ginsborg, Daniele Manin e la rivoluzione veneziana del
Agricoltura e industria: immagini di un intraprendente nobiluomo veneziano
I miglioramenti produttivi nelle campagne: aspetti agronomici, economici e sociali
Nei primi decenni dell'Ottocento, «il paesaggio, monotono e uniforme della bassa pianura [veneta], era legato al sistema della conduzione particellare finalizzata alla produzione per l'autoconsumo e per la rendita padronale: granturco per [… le] famiglie contadine […] e grano […] per il latifondista».2 Un'agricoltura povera, non di tipo capitalistico, che il padre di Alvise Francesco, il conte Alvise Mocenigo, cercò a cavallo dei secoli XVIII e XIX di rendere più produttiva attraverso la riduzione dell'estensione della coltura cerealicola e l'incremento dei prati, naturali e artificiali, soprattutto bonificando le immense estensioni semi-paludose delle proprie tenute. Nonostante gli ingenti investimenti di attenzioni e denari, il grande esperimento agricolo-industriale friulano di Alvisopoli, dove insieme ai terreni Alvise costruì un intero paese secondo le direttive dell'azienda «modello», al fine di incrementare non solo la produzione agricola e industriale, ma anche il benessere materiale, culturale e sociale degli abitanti, non riuscì a decollare, anzi negli anni Venti rischiò addirittura il fallimento.3 Tra gli anni Venti e Quaranta del secolo, per ridurre le ripercussioni negative dovute alla forte contrazione del prezzo dei grani, tra i proprietari terrieri del Veneto si cercò di individuare nuove colture con un valore di mercato più stabile dei cereali: il riso. Questa coltura, poco sviluppata in area veneta a differenza dei territori lombardo e piemontese, con la conseguenza di una vantaggiosa contrattazione sia nei mercati interni sia in quelli esteri, abbisognava per prosperare della presenza di numerosi canali e corsi d'acqua e di adeguati capitali finanziari: condizioni ideali per le proprietà di Alvise Francesco Mocenigo.4 A partire dagli anni 1830-1835, infatti, il Mocenigo introdusse nelle sue tenute la coltivazione su larga scala del riso, fino a raggiungere nei primi anni Quaranta l'estensione di quasi 600 ettari a Piacenza d'Este, nell'agenzia delle Valli Mocenighe nel
prima dominazione austriaca 1798-1806, Franco Angeli, Milano 1993; Alvise Zorzi, Venezia austriaca 1798-1866, Laterza, Roma-Bari 1985, pp. 238-284; Meriggi, Amministrazione e classi sociali, cit.;
Meriggi, Il Regno Lombardo-Veneto, cit.; Tonetti, Governo austriaco e notabili sudditi, cit.; Piero Del Negro, Il 1848 e dopo, in Storia di Venezia, cit.; Adolfo Bernardello, Venezia 1830-1866. Iniziative
economiche, accumulazione e investimenti di capitale, in «Il Risorgimento», 1 (2002), pp. 5-66, in
http://www.storiadivenezia.net/sito/saggi/bernardello_venezia.pdf.
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Luca Vendrame, Gherardo Freschi, Augusto Marin e Giuseppe Vendrame. Intraprendenza e tradizione
nell'Età del Risorgimento, in Teglio Veneto: storia delle sue comunità. Tei, Sintiel, Suçulins. Materiali e documenti, a cura di A. Diano, Fogolâr Furlan “Antonio Panciera”, Teglio Veneto 2007, pp. 179-216
(riferimento a p. 181).
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Bellicini, La costruzione della campagna, cit., p. 151; anche Gaspari, Terra patrizia, cit., p. 105.
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padovano, e circa 500 ettari in Friuli nell'agenzia di Alvisopoli.5 Ma la vera chiave del successo agricolo di Mocenigo non fu l'uso estensivo della risaia, ma l'applicazione dei principi dell'agricoltura moderna e capitalistica, che si venivano diffondendo anche in Italia in quegli anni, sotto la spinta riformista di proprietari come Gherardo Freschi, cugino del Mocenigo, possessore di terreni proprio limitrofi a quelli di Mocenigo nel Friuli.6 Con il Freschi ebbe certamente un prezioso scambio di informazioni e di esperienze il più importante agente di casa Mocenigo, Giovanni Toniatti. Nipote di Giuseppe Toniatti, agente delle Valli Mocenighe, con il quale collaborò, potendo impratichirsi del mestiere, e da cui apprese numerosi insegnamenti, anche Giovanni Toniatti compì diversi viaggi e molti studi riguardanti le migliori pratiche agricole. Testò la bontà delle sue conoscenze prima in appoggio allo zio Giuseppe, rilanciando le proprietà della bassa padovana presso Este, poi autonomamente riuscendo a rivitalizzare la tenuta di Alvisopoli, realizzando il progetto del padre di Alvise Francesco Mocenigo di creare una “azienda modello”. Divenuto nel 1840 l'agente responsabile dei fondi in Friuli, il Toniatti per prima cosa ridusse la risaia a soli 200 ettari, modificandone la rotazione in modo più vantaggioso; stimolò l'allevamento bovino ed equino e perciò costruì nuove stalle; introdusse su larga scala i prati artificiali, direttamente collegati all'allevamento; sperimentò con successo la coltivazione a fini industriali del canape; tolse i vecchi tradizionali filari di viti poco produttivi, lavorando poi profondamente i campi con un nuovo aratro di sua invenzione, infine coltivandoli a frumento, con abbondanti messi, durante le prime annate e convertendoli, in seguito, in ulteriori prati artificiali; sperimentò altri tipi di vigne, come molti concimi e svariati strumenti di lavoro perfezionati; scavò molti fossi e canali di scolo delle acque, continuando l'opera di Alvise Mocenigo volta a prosciugare i fondi. Inoltre fece venire un gran numero di
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Ivi, pp. 153-154 e 172n; anche Gaspari, Terra patrizia, cit., p. 105.
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Sulla figura del Freschi si veda Una figura di statura europea tra ricerca scientifica ed operare
concreto: Gherardo Freschi (1804-1893), Atti del Convegno: Sesto al Reghena/Ramuscello 13 dicembre
1997, a cura di Claudio Zanier, Sesto al Reghena 1998; Il conte Gherardo Freschi, Atti del Convegno «Cordovado ricorda il conte Gherardo Freschi - 1° sindaco 1871-1981», Edizione a cura del circolo culturale «Gino Bozza», Cordovado 1983; Luca Vendrame, Gherardo Freschi, cit. A livello agronomico, il Freschi pose l'accento su
foraggi e rotazioni, allevamento razionale del bestiame (sua una Guida per migliorare
la razza vaccina del 1840 […]), drenaggio integrale, miglioramenti nella potatura
delle viti, […] analisi dei suoli e concimazioni scientifiche sulla base dei principî della neonata chimica agraria e perfezionamento costante della gelsi-bachicoltura, su cui aveva pubblicato, sin dal 1839, una Guida per allevare i bachi da seta, […]. Con la sua opera di stimolo e di incoraggiamento il Freschi contribuì all'emergere di una nuova classe di tecnici indispensabili per il rinnovamento delle aziende agricole italiane[.]
in Claudio Zanier, Freschi Gherardo, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 50, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 1998, in http://www.treccani.it/enciclopedia/gherardo- freschi_%28Dizionario-Biografico%29.
fidati contadini padovani dalle Valli Mocenighe fino ad Alvisopoli e, anche su loro richiesta, fece costruire sedici cascine “a corona” rispetto al paese, dividendo razionalmente in sedici parti autosufficienti alla vita e al lavoro tutta la proprietà, in modo da eliminare la distanza dei terreni da lavorare rispetto alle abitazioni dei contadini, così da aumentarne la produttività. Il tutto secondo una logica tipica dell'epoca, dove a prevalere avrebbe dovuto essere il “bello” nel senso di “produttivo, ben ordinato, razionale”, che potrebbe essere condensata in una frase, perfettamente calzante se la si immagina pronunciata dall'agente Toniatti, ma pure da Alvise Francesco Mocenigo o dal cugino Freschi, dal padre Alvise Mocenigo o dal nonno materno Andrea Memmo: «In niuna parte è il lusso e lo scialo: dappertutto è l'ordine e lo stretto necessario».7
In campo sociale l'introduzione della risaia, che abbisognava di numerosa manodopera dequalificata stagionale per la coltivazione, ebbe come conseguenza, soprattutto in zone poco popolate come le pianure venete, la paura da parte dei proprietari terrieri e degli agenti della malsana e pericolosa diffusione del proletariato agricolo, «cancrena sociale che rapidamente si svolge ovunque si esercita la grande coltura […] che quando non sia soccorsa è sorgente essa stessa di immoralità e di delitti».8
La risaia con l'introduzione non controllata di un gran numero di braccianti stagionali, preclude la via alla conservazione dei vari sistemi di compartecipazione esistenti, garanti di un indiscutibile ordine costituito: e allo stesso tempo comporta, in una zona priva di manodopera, l'aumento dei salari e il distacco dalla terra dei contadini delle zone alte […] che scendendo nella bassa abbandonano le loro piccole proprietà. I paesi che circondano le risaie diventano così luogo di concentrazione e proliferazione del proletariato che, abbandonato a se stesso, senza la guida sicura e illuminata del padrone, è costante pericolo di instabilità sociale, specialmente quando la produzione della risaia comincia a diminuire. Infine la vita del bracciante, solo, senza guida, in un paese estraneo, senza il conforto del piccolo pezzo di terra che contribuiva al sostentamento della sua famiglia, di più
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Bellicini, La costruzione della campagna, cit., p. 152. Riguardo l'opera e la figura di Toniatti anche negli anni successivi al 1848, si vedano dello stesso le pp. 154 e 171n-172n. Cfr. anche Gaspari, Terra patrizia, cit., p. 106. Sindaco di Fossalta nel 1870, Toniatti sarà dal 1856 socio e membro del direttivo dell'Associazione agraria friulana, fondata negli anni Quaranta proprio dal conte Mocenigo, dal conte Freschi e altri proprietari terrieri friulani.
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«disciolto da ogni vincolo di famiglia, senza esperienza, senza previdenza, senza parsimonia e senza istruzione», viene gettato fra il «serpaio dei vizii», minando tra l'altro il sistema di risparmi e di prestiti necessario agli agricoltori.9
Questa era un'opinione, diffusa nelle campagne venete tra gran parte della media e dell'alta società, attribuibile non solo ai braccianti, ma in parte anche alla condizione dei contadini, coloni ed affittuali, soggetti ai grandi capitalisti. «L'attacco alla risaia come simbolo di un nuovo e distorto sistema di conduzione, propositore di immancabili disordini sociali» era estendibile a tutta l'agricoltura latifondistica veneta che avesse visto i contadini lasciati in balia a se stessi dai propri padroni. Solo attraverso una «indispensabile organizzazione assistenziale e di controllo» e con un'educazione al contempo agricola e sociale del lavoratore, si sarebbero potute coniugare le esigenze economico-produttive e quelle del mantenimento dell'ordine sociale, provenienti dal ceto padronale, alla lotta alla povertà e al miglioramento delle condizioni materiali di vita dei villici.10
Anche in questo campo, le aziende di Mocenigo furono tra le più avanzate dell'agricoltura veneta negli anni Quaranta, al punto che il conte Alvise Francesco, in data 12 novembre 1842, inviò una supplica all'imperatore Ferdinando, affinché «venga ad esso impartita una testimonianza della Sovrana clemente soddisfazione pell'ingente incremento da esso con vistosi suoi sacrifici procurato all'industria ed all'agricoltura». Il testo della supplica contiene, in breve, la concezione tipica dello sviluppo agricolo di un
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Ivi, p. 151. Tra i pericolosi «vizii», ritenuti connaturati alla classe bracciantile e proletaria, c'era «una moltiplicazione disordinata per precocità e frequenza dei maritaggi. Tanta colluvie di uomini senza passato e senza avvenire, curati sol del presente, pressati dai bisogni, tormentati dai desideri che generano nuovi bisogni e che non sono al caso di soddisfare, e carichi sovente di figliolanza, recano con loro la immoralità e la miseria» (Ivi, p. 150).
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Ivi, pp. 150-151. Le idee di incremento produttivo dell'azienda agricola non solo attraverso l'adozione delle più moderne tecniche agronomiche, dei più recenti ritrovati tecnologici, chimici ecc., ma anche attraverso un'opera di educazione, assistenza e controllo rivolta ai lavoratori al fine di una corretta conduzione dei poderi, era già stata fatta propria da Alvise Mocenigo padre, che creò Alvisopoli proprio con questo duplice scopo: primariamente il successo economico; in secondo luogo, la “salute sociale”. Questi indirizzi “paternalistici” furono ripresi dal conte Gherardo Freschi, parente dei Mocenigo, il quale si spinse oltre, trasferendo con successo, dalla teoria alla pratica, le nuove cognizioni favorevoli all'incremento dell'agricoltura, e cercò negli anni Quaranta di diffondere, attraverso la pubblicazioni di periodici come «L'Amico del contadino», la fiducia nelle possibilità di crescita materiale e morale dei ceti inferiori. Da un lato esortò i proprietari ad aggiornarsi ed adottare le nuove redditizie tecniche, che avrebbero garantito maggior benessere a tutta la società rurale; dall'altro, consigliò la creazione di istituzioni educative e assistenziali, grazie alle quali i contadini avrebbero potuto migliorare imparare nozioni tecniche utili al lavoro dei campi, nozioni di economia domestica, e regole morali e religiose utili al mantenimento della scala sociale e dell'obbedienza delle classi inferiori alla classe possidente. Sul Freschi, la sua concezione paternalistico-educativa dell'istruzione agraria dei contadini: Piero Brunello,
Gherardo Freschi e l'istruzione agraria: «L'amico del contadino» (1842-1848), in Una figura di statura europea, cit., pp. 105-151.
possidente, aristocratico ma riformista e liberale, dell'epoca: erano atteggiamenti ancora poco diffusi tra la classe nobiliare delle provincie venete, a cui uomini come Mocenigo e Freschi, con le loro aziende ed attività, fornirono un modello di sviluppo vincente.
Istituì [Mocenigo] vastissime risaie nel suo latifondo denominato Valli Mocenighe, eresse sontuose fabbriche, introdusse macchine nuove per tibbiare il riso, e per innalzare e scolare le acque; con tali costosissimi lavori e di esito dapprima incerto assai migliorò la condizione igienica di una vasta estensione di terreni, assicurò un perenne lavoro a varie centinaia di braccia, dette un non indifferente certo impulso all'agricoltura ed all'industria. Questa nuova istituzione ebbe anco l'importante vantaggio di diminuire d'assai il numero de' delitti e delle gravi trasgressioni che purtroppo in quella parte del Distretto di Este si annoveravano ogni anno. La Regia Delegazione di Padova dietro istanze de comuni, de parrochi e dell'autorità distrettuale, e prese in matura disamina le suesposte circostanze rilasciò allo scrivente un decreto esuberantissimo d'elogio.11
A sottolineare la fondamentale importanza non solamente sul piano puramente economico, ma anche particolarmente sul piano dell'ordine pubblico e del benessere comune, del ruolo assunto da questa enclave di proprietari terrieri riformisti e di idee liberali, conseguente alla diffusione della coltivazione del riso e, più in generale, all'adozione e allo sviluppo di pratiche agrarie moderne, accompagnate da una inscindibile opera assistenziale ed educativa verso i ceti inferiori, il 14 dicembre 1842, due giorni dopo la supplica all'imperatore, il conte Alvise Francesco Mocenigo, insieme ad altri possidenti, rivolse una richiesta al presidente della Camera Aulica di Vienna, Kubech, con la quale si perorava la diminuzione di un dazio sul riso, ribadendo gli importanti effetti positivi, economici e sociali, di imprese virtuose come le aziende del Mocenigo: motivi di salute pubblica come una maggior igiene, strettamente collegata alla quasi costante diffusione della malaria, e motivi di politica economica e politica
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ASV, Arch. Moc., b. 68, fasc. Oggetti diversi di commercio, Supplica datata Vienna 12 novembre 1842. A conferma della bontà della sua opera, Mocenigo sostenne nella supplica che anche il governo delle provincie venete, cui si era rivolto, confermò gli elogi, con decreto dell'11 Luglio 1842. Mocenigo, ambizioso com'era, non si accontentò e volle il riconoscimento imperiale, invidiosamente «animato dai ripetuti esempi di distinzioni accordate ad altri nobili possidenti per titoli eguali». La Cancelleria Aulica diede risposta negativa alla richieste del Mocenigo. Le macchine per tibbiare il riso, introdotte dal Mocenigo alle Valli, provennero dall'estero e furono «installate e progettate dal marchese d'Esquille, che […] compie anche altri esperimenti» come «testimoniano i tentativi fatti ad Alvisopoli dal sig. De Menestrel marchese D'Esquille ingegnere privilegiato sulla composizione di pietre artificiali», in Bellicini, La costruzione della campagna, cit., pp. 172-173.
interna strettamente connessi tra loro, come una crescita dell'occupazione sia nel costante lavoro dei campi sia nell'indotto, seguita da una diminuzione delle trasgressioni e dei delitti.12
L'industria applicata all'agricoltura: il mulino a vapore di Rovigo
Le aziende del Mocenigo, quindi, sembrano essere amministrate secondo un «corretto iter evolutivo», sia nella gestione delle risorse della terra, sia nella gestione delle “risorse umane”, col risultato di un innegabile progresso economico e sociale, secondo i giudizi di quell'epoca.
Poiché qui si è provveduto ad ogni bisogno dell'azienda senza dimenticare l'operaio, che ne è l'elemento principale; si è, cioè, provveduto all'abitazione, all'igiene, all'istruzione, e all'agricoltore si è innalzato […] fino a prendere in considerazione i più ardui problemi di economia sociale.13
Ottenuta, così, l'obbedienza e la stima dei suoi sottoposti, l'illuminato imprenditore agricolo contribuirà al progresso dello Stato, con la produzione di
ricchezza pubblica e privata, insieme a una forte stabilità sociale e alla redenzione di una classe subalterna ignorante e incolta. E in sé questo ruolo dell'agricoltura non è per nulla contraddittorio a quello dell'industria, in quanto la strada da percorrere è quella di «un'agricoltura industriale». Carattere che troverà la più chiara affermazione nelle grandi imprese di bonificazione […]. Quasi ad affermare […] che una fetta dell'industria italiana nasce come «industria agricola» o «agricoltura industriale».14
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ASV, Arch. Moc., b. 68, fasc. Oggetti diversi di commercio, Istanza alla Camera Aulica 14 novembre 1842.
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Bellicini, La costruzione della campagna, cit., p. 154-155. Emerge qui il tema del buon paternalismo padronale.
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Ibid. Anche su questo terreno Mocenigo non si tirò indietro: nel 1847, infatti, il conte Alessandro Gritti lo invitò a partecipare ad una società per azioni per asciugare e bonificare le terre dei consorzi Dossi Vallieri presso Padova, che si estendevano sui bordi della laguna veneta (ASV, Arch. Moc., b. 68, fasc. Oggetti diversi di commercio, Padova 20 agosto 1847); inoltre si interessò, durante il 1845 quando promosse la costruzione di una ferrovia da Chioggia al Po, delle bonifiche effettuate con esiti negativi dal barone Testa nel consorzio polesano Foresto. Le bonifiche saranno l'esempio di questa visione positivistica dell'industria applicata all'agricoltura, “utile” e “benefica” per tutta la popolazione, dimenticando o etichettando come “arretratezza” ogni pratica agricola, economica, culturale, sociale, anche se fonte di sopravvivenza, legata in questo caso al mondo della palude, e come “primitivi” e
In effetti, la gran parte delle attività di tipo “industriale” presenti nelle provincie venete nella prima metà dell'Ottocento fondavano le loro basi nell'agricoltura, in particolare la produzione e lavorazione della seta. D'altro canto, una notevole arretratezza «si riscontrava in quasi tutte le industrie manifatturiere del Veneto». A questa tendenza generale, però, si contrapponevano alcune eccezioni: la «piccola industria veneta esistente era spesso ubicata in ambienti rurali» e molte volte, data la tendenza dell'imprenditore industriale ad essere anche un proprietario terriero innovatore, l'industria era strettamente collegate all'ambito e alle produzioni dell'azienda agricola.15 La vicenda del progetto di un mulino a vapore da costruirsi presso Rovigo è emblematica a questo riguardo. Il 3 febbraio 1845, l'agente generale di Ca' Mocenigo, Giovanni Pasqualini, presentò una domanda al Magistrato Camerale di Venezia per ottenere il permesso a «costruire nella periferia della Città di Rovigo un Molino a vapore per macina grani, e brillatura riso, ritenendolo di sommo vantaggio alla città e a