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“Non c’è bene che paghi la lagrima pianta invano, il lamento del ferito che è rimasto solo, il dolore del tormentato di cui nessuno ha avuto notizia, il sangue e lo strazio umano che non ha servito a niente. Il bene degli altri, di quelli che restano, non compensa il male, abbandonato senza rimedio all’eternit{.”111

La vicenda esistenziale di Hans Mayer, caso esemplare di vittima della violenza nazista indirizzata a consolidare in negativo il principio identitario collettivo promosso dal regime hitleriano, ci permette di introdurre quello che sarà il tema specifico del prossimo capitolo di questo lavoro: un’ analisi del fenomeno dei lager nazisti svolta esaminando le linee interpretative di alcuni di coloro che si trovarono a vivere in prima persona l’esperienza concentrazionaria proprio in virtù della loro appartenenza al controtipo ebraico.

Se, sul piano pratico, il primo passo verso l’inveramento del principio identitario collettivo compiuto dall’ideologia nazionalsocialista fu, come visto, quello di annullare gli individui appartenenti al controtipo come soggetti di diritto, quello successivo si risolse nel creare delle apposite ‘strutture di contenimento’ (i ghetti, i campi di concentramento, i campi di sterminio) all’interno delle quali far confluire i rappresentanti di esso, per trasporre su di un piano concreto la teorizzata divisione tra coloro che a pieno diritto potevano rientrare nella Volksgemeinschaft del Terzo Reich e coloro che invece dovevano esserne esclusi.

111 Renato Serra, citato in Eugenio Garin, Cronache di filosofia italiana (1940/1943), volume

52 Il lager si presenta così a tutti gli effetti come un microcosmo riflettente il macrocosmo costituito dallo stato totalitario112.

Inoltre, esso costituisce l’ espressione concreta della volont{ dettata dall’ideologia nazista di ridurre qualsiasi tratto costituente l’unicit{ dell’ individuo a un unico, anonimo, macroinsieme identitario da ‘classificare e reprimere’, per utilizzare una formula di Enzo Traverso113.

Cogliendo pienamente tale doppia natura, Hannah Arendt scrive all’interno dell’ultima sezione della sua opera capitale:

“Il dominio totale, che mira a organizzare gli uomini nella loro infinit{ pluralit{ e diversità come se tutti insieme costituissero un unico individuo, è possibile soltanto se ogni persona viene ridotta a un’immutabile identit{ di reazioni, in modo che ciascuno di questi fasci di reazioni possa essere scambiato con qualsiasi altro. […] I Lager servono, oltre che a sterminare e a degradare gli individui, a compiere l’orrendo esperimento di eliminare, in condizioni scientificamente controllate, la spontaneità stessa come espressione del comportamento umano e di trasformare l’uomo in un oggetto.”114

Notoriamente i nazisti, ed in particolare i membri delle SS adibiti alla sorveglianza dei detenuti in lager, prestavano la massima attenzione a non rivolgersi mai ai prigionieri in quanto persone, o a commettere l’errore di farle percepire come tali: la riduzione dell’uomo a oggetto era un primo passo fondamentale volto a far valere il principio, che doveva essere interiorizzato da tutti coloro che erano appartenenti ai corpi militari e para-militari del Reich, per cui trovandosi a contatto con i prigionieri (e con gli ebrei in particolare) non si aveva propriamente a che fare con esseri umani, ma tutt’al più con animali, a cui guardare come mere riserve di forza lavoro e materie prime da utilizzare senza riguardo alcuno o parassiti da eliminare in quanto non appartenenti al consorzio umano ed anzi dannosi per esso.

112 Si vuole incidentalmente notare in questa sede che lo psicoanalista austriaco Bruno

Bettelheim (anch’egli di origine ebraica) a proposito dei Lager parler{ di ‘societ{ di massa in miniatura’. Si confronti, in particolare: Bruno Bettelheim, Il cuore vigile. Autonomia individuale e

società di massa, Adelphi, Milano, 1998.

113 Si confronti: Enzo Traverso, La violenza nazista, pp. 123; 148. 114 Hannah Arendt, op. cit., pp. 599 – 600.

53 A tal riguardo, estremamente significativo è un passo dell’opera più conosciuta di Primo Levi, Se questo è un uomo.

Nel primo capitolo del libro, intitolato Il viaggio, così lo scrittore torinese descrive l’arrivo del reparto di SS che avrebbe caricato i prigionieri della milizia fascista temporaneamente detenuti nel campo di internamento di Fossoli, nei pressi di Modena, sugli autobus diretti alla stazione di Carpi dove li attendeva il convoglio che li avrebbe condotti direttamente ad Auschwitz:

“Con la assurda precisione a cui avremmo più tardi dovuto abituarci, i tedeschi fecero l’appello. Alla fine, - Wieviel Stück? [‘Quanti pezzi?’] – domandò il maresciallo; e il caporale salutò di scatto, e rispose che i «pezzi» erano seicentocinquanta, e che tutto era in ordine.”115

L’essere umano, connotato nella sua unicit{ (per utilizzare un’efficace e pregnante espressione di Aldo Capitini, considerato nella sua intraducibilità, ovvero attraverso quella costellazione di determinazioni che formano l’individuo nella propria insostituibile singolarit{), è stato sacrificato dall’ideologia nazionalsocialista a favore di un unico macroinsieme in cui ogni persona costituiva niente più niente meno che un pezzo interscambiabile con qualsiasi altro.

In questo modo, rendendo gli uomini ‘superflui’ e venendo a capo, tramite un uso massiccio e sistematico di violenza fisica e psicologica, dell’unicit{ e della spontaneità della persona116 si giunse con il Terzo Reich a realizzare quel

drammatico esperimento/progetto sociale che può essere opportunamente definito l’anonimato dell’individualit{.

Nel 1976 Levi scrive un’ Appendice per l’edizione scolastica di Se questo è un uomo117 (a partire da quella data inserita in tutte le edizioni successive

115 Primo Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, Torino, 2014, pp. 8 – 9.

116 La ‘spontaneità’ è definita da Arendt come “la capacit{ dell’uomo di dare inizio coi propri

mezzi a qualcosa di nuovo, che non si può spiegare con la mera reazione all’ambiente e agli avvenimenti.” Hannah Arendt, op. cit., p. 623.

117 Così questo scritto viene presentato dall’autore: “Ho scritto questa appendice nel 1976 per

l’edizione scolastica di Se questo è un uomo, per rispondere alle domande che costantemente mi vengono rivolte dai lettori studenti. Tuttavia, poiché esse coincidono ampiamente con le domande che ricevo dai lettori adulti, mi è sembrato opportuno riportare integralmente le risposte anche su questa edizione.” Primo Levi, Appendice a «Se questo è un uomo», in Primo Levi, Se questo è un uomo, cit. p. 172.

54 dell’opera), in cui fa confluire alcune delle domande che nel corso degli anni sono state a lui rivolte con maggiore frequenza dai propri lettori.

Nel rispondere ad una di queste volta nuovamente a cercare di comprendere i caratteri specifici dell’antisemitismo nazista, servendosi di una parentesi descrittiva l’autore riesce ad illustrare con grande efficacia proprio tale ’anonimato dell’individualit{’:

“Qui [in lager] non c’era solo la morte, ma una folla di dettagli maniaci e simbolici, tutti tesi a dimostrare e confermare che gli ebrei, e gli zingari, e gli slavi, sono bestiame, strame, immondezza. Si ricordi il tatuaggio di Auschwitz, che imponeva agli uomini il marchio che si usa per i buoi; il viaggio in vagoni bestiame, mai aperti, in modo da costringere i deportati (uomini, donne e bambini!) a giacere per giorni nelle proprie lordure; il numero di matricola in sostituzione del nome; la mancata distribuzione di cucchiai (eppure i magazzini di Auschwitz, alla liberazione, ne contenevano quintali), per cui i prigionieri avrebbero dovuto lambire la zuppa come cani118; l’empio sfruttamento dei cadaveri, trattati come

una qualsiasi anonima materia prima, da cui si ricavavano l’oro dei denti, i capelli come materiale tessile, le ceneri come fertilizzanti agricoli; gli uomini e le donne degradati a cavie, su cui sperimentare medicinali per poi sopprimerli. Lo stesso modo che fu scelto (dopo minuziosi esperimenti) per lo sterminio era apertamente simbolico. Si doveva usare, e fu usato, quello stesso gas velenoso che si impiegava per disinfestare le stive delle navi, ed i locali invasi da cimici e pidocchi119. Sono

118 La riduzione da ‘uomo’ a ‘bestia’ si realizzava anche sul piano linguistico. In Se questo è un

uomo, nel capitolo intitolato Una buona giornata, raccontando un aneddoto sulla giornaliera

distribuzione di zuppa riservata ai prigionieri Levi si sofferma proprio sul fatto che il verbo comunemente utilizzato in lager per descrivere l’azione del nutrimento fosse Fressen (nel tedesco comune riservato agli animali) e non Essen (tramite cui viene indicato il modo di mangiare degli esseri umani). “Periodicamente viene il Kapo fra noi, e chiama: - Wer hat noch zu fressen? [‘Chi deve mangiare?’] Questo non gi{ per derisione o per scherno, ma perché realmente questo nostro mangiare in piedi, furiosamente, scottandoci la bocca e la gola, senza il tempo di respirare, è «fressen», il mangiare delle bestie, e non certo «essen», il mangiare degli uomini, seduti davanti a un tavolo, religiosamente.” Primo Levi, Se questo è un uomo, cit. p. 71.

119 Qua Levi sta facendo riferimento all’agente tossico a base di acido cianidrico denominato sul

piano commerciale Zyklon B (letteralmente: ‘Ciclone B’). Sviluppato nel corso degli anni ’20 ed originariamente utilizzato come insetticida per combattere i pidocchi ed i focolai di tifo, quando sul finire degli anni ’30 i campi di sterminio nazisti iniziarono ad entrare in funzione di esso venne fatto un uso massiccio per alimentare le camere a gas di alcuni dei più noti di quest’ultimi come Auschwitz e Majdanek.

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state escogitate nei secoli morti più tormentose, ma nessuna era così gravida di dileggio e di disprezzo.”120

L’estrema conseguenza a cui condusse l’affermarsi dell’identit{ collettiva nazionalsocialista in base ai teorizzati stereotipo ariano e controtipo ebraico fu il campo di sterminio (lager121), risultato concreto, tangibile, della rigida

divisione tra due opposti macroinsiemi identificativi che il modello concettuale dell’identit{-muro descrive su un piano teorico.

Come affermato da Levi nella Prefazione da lui apposta a Se questo è un uomo: “A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che «ogni straniero è nemico». Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager.”122

All’analisi di tale fenomeno, esaminato principalmente attraverso la viva voce di coloro che lo sperimentarono in prima persona, intendiamo dunque volgerci nel prossimo capitolo.

120 Primo Levi, Appendice a «Se questo è un uomo», cit. p. 187.

121 Riportiamo la voce contenuta nell’ enciclopedia Treccani: “Lager: sostantivo neutro, tedesco

[affine al greco λεχος «giaciglio» e al latino lectus «letto»] (plurale Lager). – Campo, accampamento. La parola si è diffusa in tempi recenti soprattutto in quanto designava, in Germania, i campi di residenza obbligatoria, e in particolare (come abbreviazione di

Internierungslager e Konzentrationslager) i campi d’internamento o di concentramento.” Primo

Levi, all’interno di un’intervista rilasciata ad Enzo Biagi l’8 Giugno 1982 per il programma televisivo ‘Questo secolo’, spiega tra l’altro: “Lager in tedesco vuol dire almeno otto cose diverse, compreso i cuscinetti a sfera. Lager vuol dire giaciglio, vuol dire accampamento, vuol dire luogo in cui si riposa, vuol dire magazzino, ma nella terminologia attuale lager significa solo campo di concentramento; è il campo di distruzione.”

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