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Abbiamo già visto come l’attuazione del “rifiuto” è una delle caratteristiche fondamentali del pensiero pacifista di stampo woolfiano. In questo senso, il ripudio della guerra e di tutto ciò che è conflitto e dominazione risulta non solo come imperativo, ma come immediatamente applicabile al contesto della liberazione delle donne dalla loro sottomissione al genere maschile.

Le riflessioni elaborate ne “Le Tre Ghinee”, infatti, partono tutte da un unico interrogativo: «come possono agire le figlie degli uomini colti per prevenire la guerra?». La Guerra, quindi, come genesi del cambiamento, indesiderabile quanto ineluttabile motore che determina alcuni tra i più significativi dinamismi del rapporto donne-lavoro. Il riconoscimento che la storia delle donne “deve” alla guerra, il cui contributo alla partecipazione femminile nel mondo dell’industria, pur maldestramente propagandato, è indubbio; esso però deve tradursi però non in termini di encomio e rispetto, ma di critica e disapprovazione: la resistenza appare come necessaria, l’indifferenza alle pratiche della guerra come silenziosa opposizione.

Proprio il tema della resistenza ci permette di avvicinarci ad una delle protagoniste del mondo classico più care alla Woolf: Antigone. L’eroina greca che nega l’autorità del sovrano, giudicato mero mortale di fronte alle eterne Leggi morali e divine, viene costantemente richiamata dalla Woolf, che la riconosce come l’incarnazione della Giustizia:

«Non credo che le tue leggi siano forti abbastanza Da soverchiare le leggi non scritte e immutabili Di Dio e dei Cieli, poiché tu sei solo un uomo117

117 «I did not think your edicts strong enough / To overrule the unwritten unalterable laws / Of God and

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«Sono nata per amare, non per odiare118», continua Antigone. Amore e Odio, quindi, come Pace e Guerra, concetti agli antipodi che tuttavia determinano le dinamiche di tutti i più intensi drammi umani.

La sua fede incrollabile ed il suo coraggio, che non si piega al compromesso neanche di fronte alla minaccia della morte, rendono Antigone «l’archetipo perfetto dell’eroina», come la definisce Sybil Oldfield119, una delle più attente studiose di

Virginia Woolf. Nel suo articolo, la Oldfield sottolinea come:

«Virginia riconosca nel sovrano Creonte, che esige di essere obbedito senza indugio e che minaccia di morte chiunque non rispetti i suoi ordini, la voce dell’eterno Dittatore120

La stessa Oldfield, nella sua analisi, ci pone di fronte ad un altro contrasto, meno evidente di quello tra Antigone e Creonte, ovvero l’antitesi tra Antigone e la sorella Ismene. L’attualità delle parole di quest’ultima è sorprendente:

«Pensa, Antigone; siamo donne, non sta a noi

Combattere contro gli uomini: i nostri dominatori sono più forti di noi, Siamo tenute alla loro obbedienza in questo, ed anche in cose ben peggiori, …non posso fare diversamente

Da ciò che mi viene ordinato, fare di più sarebbe una follia121

La rassegnazione di Ismene alla sua sorte, l’assunto della superiorità di Creonte, in quanto regnante e in quanto uomo, l’inadeguatezza degli strumenti naturalmente propri del genere femminile a combattere gli uomini, tutto ciò appare nei versi pronunciati da Ismene come qualcosa di lampante, inequivocabile e, soprattutto, immutabile.

118 Antigone, v. 523. A cui Creonte risponde:«Vattene dunque nel mondo dei morti e, se devi amare,

ama quelli. Finché avrò vita, non sarà una donna a comandarmi»;

119 Oldfield, Sybil, Virginia Woolf and Antigone – Thinking against the current, in «South Carolina

Review 29» n.1, autunno 1996;

120 Dal testo: «Virginia Woolf hears the voice of the eternal Fascist in Creaon’s demand that he be

obeyed unquestioningly whether right or wrong on pain of a torturing death», ivi, traduzione della laurenada;

121 «O think, Antigone; we are women; it is not for us / To fight against men; our rulers are stronger

than we, / And we must obey in this, or in worse than this. / …I can do no other / But as I am commanded; to do more is madness.», traduzione della laureanda;

103 L’atteggiamento passivo e sottomesso della sorella di Antigone è quello di moltissime di generazioni di donne, che si sono arrendevolmente adeguate alla dominazione maschile, in modo più o meno cosciente. Il «primo passo verso la libertà» era compiuto, secondo la Woolf, ma che ne resta della docile Ismene? Qual è l’eredità di questa remissiva figura nell’immaginario woolfiano?

In un’interpretazione strettamente personale, ne ho rintracciate alcune orme in un altro saggio di Virginia Woolf: “Professioni per le Donne”. In questo testo viene citato un personaggio, o meglio, uno spirito, che l’autrice chiama “l’Angelo del focolare”. Ora, cosa ha a che fare questo spirito con Ismene? Ebbene, nel saggio, l’Angelo del focolare viene descritto da Virginia come

«[…] infinitamente comprensivo. Era estremamente accattivante. Era assolutamente altruista. Eccelleva nelle difficili arti del vivere familiare. Si sacrificava quotidianamente122

Aveva inoltre l’abitudine di intromettersi nelle decisioni e nelle scelte dell’autrice; era, se così si può definire, la rappresentazione di quella parte di coscienza che si nutre delle convenzioni, delle qualità, delle definizioni e delle immagini cui ogni donna deve adeguarsi, alle quali da sempre è tenuta a conformarsi per potersi definire una persona perbene. La presenza di questo spirito diventava tanto più invadente quanto più la Woolf dava ascolto, fino a che diventò talmente insopportabili che l’autrice, esausta, decise di ucciderla:

«Mi voltai e l’afferrai per la gola […] La mia giustificazione, se mi avesse trascinata in tribunale, sarebbe stata che avevo agito per legittima difesa123 È Ismene-Angelo del Focolare, dunque, a morire nella visione dell’autrice, e non Antigone, che invece rappresenta allegoricamente la fedeltà ai propri ideali. Virginia Woolf reinterpreta così il dramma di Sofocle, cambiando l’identità della vittima e del carnefice, non più Creonte, ma l’autrice stessa, che, liberatasi dell’Angelo, conquista definitivamente la propria libertà.

122 Woolf, Virginia, Voltando pagina, Saggi 1904-1941, Milano, Il Saggiatore, 2011, a cura di Liliana

Rampiello, p. 353;

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Liliana Rampello, nell’Introduzione al volume Voltando Pagina, parlando dello stile narrativo della Woolf, scrive:

«è molto giovane Virginia Woolf quando comincia a capire come va il mondo per una donna, e non lo dimenticherà mai, non smetterà mai di ammirare apertamente la grande tradizione maschile, nelle arti e nel pensiero, ma non rinuncerà mai a denunciarne le verità nascoste, a indicare nel patriarcato la prima forma simbolica, politica e sociale, dell’oppressione di un sesso sull’altro, e a indicare coraggiosamente, a se stessa e alle altre donne, un nemico anche più insidioso, l’Angelo del focolare. Un io profondo, quel fantasma la cui bellezza più grande è il pudore, che ci ordina moderazione, misura, e ci suggerisce, accattivante, una comprensiva complicità con gli uomini124