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Antisemitismo Medio Oriente

Andreina Bert, LA CASA DEL PASSATO, pp. 125, € 10, Angolo Manzoni, Torino 2006

Questo è un libro d'incroci: fra generi, cul-ture e tipi narrativi di solida tradizione lettera-ria, quali il viaggio e il delitto. E nel viaggio propone le variazioni tematiche, fra l'andare e il tornare, e il sostare in una visione lontana oppure in una stanza e nella coazione a ripe-tersi. Il titolo annuncia che il viaggio sarà an-zitutto psicologico attraverso i tempi della vita, dove il passato risucchia il presente. Ma poi non mancano gli spostamenti spaziali, i luoghi e i nomi dello spazio terrestre. Questo infatti è un bel romanzo, che sfugge alle strettoie strut-turali per aprirsi invece alla ricchezza fluida della sua materia, sempre tra vita e narrazio-ne. Il lettore che ha già apprezzato in Andrei-na Bert la nuda schiettezza del parlar di sé la-sciando emergere con meditata semplicità anche la parte in ombra, qui può ritrovarne le qualità vedendola trasferirsi in un protagoni-smo collaterale, in un personaggio d'invenzio-ne, che racconta con la propria voce in pagi-ne e giornate piepagi-ne di gente e di gesti, e di brutti sogni. Valentina, divorziata e donna so-la, lavora nell'editoria a Torino e torna a Villa Boschetto, la sua casa di famiglia rimasta mezza vuota, solo per venderla o affittarla. Siamo banalmente fra Torino e Pinerolo, fra Bi-biana e Bagnolo, a un passo però dal ponti-cello che apre il varco per Luserna San Gio-vanni e le valli valdesi. Villa Boschetto ha i suoi antichi segreti. Era mezza vuota e ora ar-rivano invece per strano caso figli, nipoti, fi-danzati, amici, anche l'amica di gioventù Mo-nica. Arriva anche lo straniero, e capiamo che qualcosa dovrà capitare. Si chiama Michael, è inglese, ha l'aspetto nordico, era

gio-vane negli anni settanta e subito con Monica rammemora il Nepal e Kat-mandu. Tutti, giovani o vecchiotti, portano alla pericolosa Villa Boschet-to le loro vite e il confronBoschet-to crudele delle generazioni, e le passioni e gli interessi. In questo romanzo di con-versazione viaggiano soprattutto le parole. Tutti infatti stanno fermi in Vil-la (anche Michael) e tutti raccontano a frammenti e spizzichi i loro sposta-menti e viaggi di varia specie. Sui racconti e sui nomi, che Andreina, abituata alla lettura lenta, usa

abil-mente, s'accende l'immaginario. Quanto alla conclusione, limitiamoci a dire che il buddi-smo vincerà. Andreina Bert, traduttrice e scrit-trice, ci consegna un libro elegante, in cui l'in-crocio più difficile, il vero discrimine del viag-gio si manifesta tra il fare e il narrare.

LIDIA D E FEDERICIS

perfino cruda, per esempio le condizioni mi-serevoli della gente, il sudiciume degli am-bienti, l'inesistenza di alloggi, il disagio negli spostamenti, particolare per lui, munito di in-gombranti attrezzature fotografiche. Ma non è viaggiatore fastidioso o prevenuto: mostra simpatia per i destini oscuri, è suggestionato dalla solennità ancestrale dei pastori, apprez-za la grazia delle fanciulle, guarda sospeso la devozione dei pellegrini in lacrime. Il tutto in buon amalgama di scrittura, pur senza punte di prosa eccelsa. Il curatore Giuliani ripropo-ne quest'opera in edizioripropo-ne dignitosa, arricchi-ta di alcune delle foto che illustrarono quella originaria, e puntella con solida introduzione un Beltramelli ancora leggibile.

COSMA SIANI

Maria José de Lancastre, C O N UN SOGNO NEL BAGAGLIO. U N VIAGGIO DI PIRANDELLO IN P O R T O -GALLO, pp. 195, € 15, Sellerio, Palermo 2006

Nel 1931 ebbe luogo in Portogallo il 5° Congresso internazionale della critica e Luigi Pirandello, di cui veniva allestito in prima mondiale e in traduzione portoghese Sogno (ma forse no), brillantemente interpretato da Amélia Rey Colago ne era l'ospite d'onore. Da questo spunto parte Maria José de Lan-castre per raccontare (e documentare con una precisione mai tediosa) il viaggio del drammaturgo siciliano attraverso le principa-li locaprincipa-lità portoghesi, Estoril, Porto, Coimbra, esclusa la capitale, le cui differenze socioe-conomiche esposte sulla pubblica via avreb-bero forse gettato un'ombra di tristezza sui festosi congressisti. Chissà invece quali ri-flessioni potevano nascere dalla feconda mente pirandelliana alla vista del bifrontismo

mente con Virgilio: si affanna per guadagnare la vetta di qualche montagna, si arresta per ri-prender fiato, si aiuta con la mano quando non basta il piede: e se smarrisce la via, ne domanda; osserva il corso del sole e degli astri". Citando molte altre opere, fra cui Dan-tes Spuren in Italien di Alfred Bassermann e The Casentino and its Story di Ella Noyes, l'autrice del saggio ripercorre le tappe di que-sto cammino a più voci attraverso lunghe cita-zioni dai testi e anche immagini tratte da ac-quetarti, schizzi a matita e stampe. Dal mo-mento che, come afferma in un suo saggio Lawrence Durrell, "gli uomini sono espressio-ne del loro paesaggio", il viaggio sulle orme dei luoghi letterari diventa un percorso di veri-fica alla ricerca di risposte sulla verità delle descrizioni. Persino Maurice Hewlett, nella sua guida alla Toscana, invita il lettore a un viaggio nel Casentino "con Dante nel sacco", allo scopo di rinvenire il genius loci, di aprire un giardino segreto dell'immaginazione. In perfetta sintonia con quest'intento, Raffaella Cavalieri, in un capitolo conclusivo, riproduce, attraverso una scelta iconografica raffinata, l'I-talia che gli appassionati lettori danteschi po-tevano visitare nel loro tempo.

MONICA BARDI

Antonio Beltramelli, IL G A R G A N O , a cura di Fran-cesco Giuliani, introd. di Benito Mundi, pp. 171, € 15, Il Rosone, Foggia 2006

Il Gargano aiuta Beltramelli, che a distanza secolare vede richiamato in vita due volte questo libro del 1907: da Boni di Bologna nel 1994, e ora nella provincia stessa dell'area vi-sitata. È un libro di viaggio non certo suffi-ciente a rialzare le sorti letterarie dell'autore, retrocesso da minore a minimo del Novecen-to, non estranea l'ombra della sua devozione fascista. Ma il volume è anteriore a tale incli-nazione. Se restringiamo l'ottica a quel tra-scurato filone periegetico che è il viaggio nel Gargano, il lavoro acquista rilievo e offre ap-pigli per un recupero, alla luce altresì dell'o-pera di reporter nazionale ed estero svolta da Beltramelli. Il libro fonda la moderna letteratu-ra di viaggio relativa al tour garganico, ripren-dendo le fila dall'antesignano dell'Ottocento Gregorovius, ma imprimendogli una vena mi-sta di paesaggismo, passione esplorativa, ri-succhio nel remoto, gusto dell'arcaico, che sarà elaborata da altri viaggiatori del Promon-torio (da ricordare almeno due, Bacchelli e Arthur Miller). Beltramelli ha il merito di non fa-re oleografia. Fornisce dati storici. Al lirico ce-de con misura. Riporta in maniera obiettiva,

della società lusitana, il doppio registro esi-stenziale tra il piano onirico della bellezza da cartolina delle spiagge di Estoril e la realtà di certi quartieri dalla miserabilità dickensiana. In una continua comparazione del dramma in scena con più referenti letterari, dal Doppio sogno schnitzleriano al Marìnheiro di Fernan-do Pessoa, l'autrice illustra con Fernan-dovizia di particolari e di immagini tanto l'avventura del nostro drammaturgo agli estremi confini d'Europa, descritta anche nelle lettere all'a-mata Marta Abba (molto efficaci le immagini di un popolo dall'aggressività meridionale impetuosa e soffocante o per il quale l'esal-tazione degli animi è lo stato normale), quan-to la squan-toria della ricezione lusitana dell'opera pirandelliana in virtù dell'appassionata pro-mozione di un attento organizzatore cultura-le come António Ferro, o del sostegno di cri-tici illuminati, pur nell'asfissiante salazari-smo, come Eduardo Scarlatti o José Règio.

DANIELA DI PASQUALE

Raffaella Cavalieri, IL VIAGGIO DANTESCO. V I A G GIATORI DELL'OTTOCENTO SULLE ORME DI D A N

-TE, pp. 173, € 10, Robin, Roma 2006

Fra Otto e Novecento il viaggio colto, alla ri-cerca dei luoghi e dei paesaggi letterari, di-venta una moda diffusa soprattutto fra autori stranieri, francesi, tedeschi e americani. Ac-canto ad Ariosto, Tasso e Manzoni, Dante è l'oggetto di un vero culto e di una ricerca sot-tile, anche per il fatto che la stessa struttura della Commedia rimanda al viaggio, come sottolinea Jean-Jacques Ampère, autore del Voyage dantesque: "Dante cammina

vera-Ambrogio Borsani, STRANIERI A SAMOA, pp. 163, € 14,50, Neri Pozza, Vicenza 2006

Dopo aver raccontato le isole Marchesi e le Mauritius in Addio Eden e Tropico dei sogni, Ambrogio Borsani ripercorre le Samoa sulle tracce di grandi scrittori, artisti, antropologi e avventurieri sbarcati sulle isole, chi per esplo-rare l'altra parte del mondo, chi alla ricerca di un altrove sognato. Sono figure che Borsani guarda da vicino, narrandole con in-telligenza in diciassette coinvolgenti storie di cronaca e creazione lette-raria. A Upolu, in cima al monte Vaea, sopra il porto di Apia, è se-polto Robert Louis Stevenson. Sono stati gli indigeni a segnare il sentie-ro, a portare a spalle il feretro e a costruire la tomba a forma di casa come ultimo omaggio a Tusitala, "il narratore di storie". Lo scrittore scozzese era sbarcato qui già famo-so in tutto il mondo e sì era fatto amare anche per il suo impegno in difesa degli indigeni: "Samoa ai Sa-moani" ripeteva, rischiando la deportazione, nel periodo in cui la febbre coloniale era al suo zenit. Stevenson è proprio il fil rouge che lega alcune delle storie più affascinanti del libro perché attira nelle Samoa alcuni tra gli spiriti più inquieti dell'Ottocento. Sette anni dopo la sua morte inizia il pellegrinag-gio alla tomba. Il primo occidentale è Marcel Schwob, raffinato e malandato intellettuale parigino: ha navigato due mesi per rendere omaggio a Stevenson, ma è troppo malato per scalare il Vaea e ne approfitta per scrive-re infuocate lettescrive-re d'amoscrive-re alla moglie, Mar-guerite Moreno, la "musa del simbolismo". È poi la volta di John Griffith, che vuole espe-rienze da tradurre in letteratura e rendere omaggio a chi lo ha preceduto nel Pacifico. Quando era povero aveva inutilmente prova-to a imbarcarsi come cameriere di bordo, adesso è Jack London, si è fatto costruire una nave, lo Snark, e solca il Pacifico sulle or-me di Melville. Anche Soor-merset Maugham, a Samoa con un incarico di spionaggio, sale in cima al monte Vaea. Viaggia insieme al com-pagno Gerald Haxton, incontra un broker americano che gli farà guadagnare una fortu-na e trova quelle esistenze "abbandofortu-nate ai corso dei destino" che gli ispirano capolavori come Rain, Mackintosh e Red. A Upolu na-sce l'intraprendente faccendiera Emma Coe, Queen Emma, che acquista intere isole per poche casse di tabacco e fonda un impero commerciale; qui sbarcano l'antropologa Margaret Mead, il duca Caffarelli, e, di fronte all'oceano, Erick Scheurmann contrappone, in Papalagi, la follia della cultura occidentale sull'orlo della prima guerra mondiale al ricor-rente mito del buon selvaggio.

| D E I L I B R I D E L M E S E

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Adalbert Stifter, ECLISSI. LETTERE INVERNA-LI. D A L L A FORESTA BAVARESE, a cura di Ales-sandra Rizzi, trad. dal tedesco di Simone Co-stagli, pp. 109, € 12, Clueb, Bologna 2006

Il volume propone, per la prima volta in traduzione italiana, tre brevi prose (Die Sonnenfinsternis am 8. Juli 1842 Winter-briefe aus Kirchschlag, Aus dem bairi-schen Walde, la prima del 1842 e le altre del 1866, ai due estremi temporali della produzione di Stifter. In una convincente e accurata resa linguistica, i testi sono in-quadrati da una breve

premessa di Simone Costagli e da un'intro-duzione di Alessandra Rizzi. In parte autobio-grafici, in parte scienti-fico-divulgativi e a sfondo ecologico, que-sti scritti sono interes-santi soprattutto per-ché presentano, sotto altra angolatura, alcuni dei temi ricorrenti della narrativa stifteriana: il rapporto fra i limiti

del-la ragione e il cuore, fra le leggi che reg-gono la natura e quelle che governano il mondo umano, e infine la problematica appartenenza dell'evento - nella sua ca-pacità di inserirsi nel divenire, o di inter-romperlo - alla necessità.

MARGHERITA VERSARI

Albert Drach, IL VERBALE, ed. orig. 1964, trad. dal tedesco di Luigi Forte, prefaz. di Clau-dio Magris, con un saggio di Luigi Reitani, pp. 230, € 22, Forum, Udine 2006

Una ricezione delle più travagliate di-stingue da altri austriaci coevi Albert Dra-ch (1902-1995), avvocato, appassionato di De Sade, autore di poesie, drammi, ro-manzi, insignito nel 1988 del Buchner, il massimo premio letterario tedesco. L'edi-tore udinese Forum ha aperto la collana "OltrE", diretta da Annalisa Casentino, studiosa di ceco, e da Luigi Reitani, mas-simo esperto italiano di cose austriache, per presentare al pubblico italiano scrit-tori mitteleuropei del secondo Novecento e oltre. Magnifica iniziativa, a prescinde-re dall'uso di una carta così pesante da fare dei volumi una lettura da scrivania. Scritto fra il '39 e il '40 durante l'esilio del-l'autore in Francia, Il verbale fu pubblica-to solo nel '64. È la vicenda - che va dal-la fine deldal-la prima guerra all'avvento del

nazismo - di Schmul Zwetschkenbaum (Susino); un piccolo, nullatenente ebreo chassid, che, accusato ingiustamente di aver rubato delle susine da un albero, re-sterà vita naturai durante impigliato nelle maglie di una misera, dissennata buro-crazia che lo sballotta fra prigione e ma-nicomio. Vicenda tragicomica del totale isolamento di un individuo, di un paria, dentro un folle vorticare di fatterelli e mi-nimi personaggi, narrata da un anonimo verbalista che si attiene scrupolosamente al vacuo e impettito stile delle pratiche giudiziarie, pieno di pa-rentesi e di subordina-te. Il tenersi, con ineso-rabile fedeltà, a questo linguaggio costituisce l'inconfondibile origina-lità del libro ed è anche il suo senso simbolico: il racconto ha già in sé la propria interpretazio-ne. Un'anima semplice, che a differenza di Giobbe ha però dei dubbi sulla giustizia di Dio, è caduta dallo sh-tetl ebraico nei labirinti della storia. Ma è forse proprio questa studiata uniformità di linguaggio che a un certo punto pro-duce un po' di monotonia, fa smarrire tan-ti partan-ticolari per strada, e le situazioni a venire, se certo non si prevedono, è però sempre prevedibile "come" ci verranno narrate. Non cessa tuttavia la nostra am-mirazione per l'arte di Drach, per i parti-colari che quadrano, per i profili umani sempre vivi e credibili, per la toccante umanità dello stesso Zwetschkenbaum: siamo nel cuore della grande tradizione mitteleuropea. E vale la pena di arrivare alla fine, dove l'anonimo verbalista si sve-la e per bocca sua e del magnate Grze-zinsky si dispiegano, tranquilli e perciò truci, i motivi dell'odio anti-ebraico. Indi-spensabili, chiarissimi sono gli orienta-menti critici forniti da Magris e da Reitani. Il lungo saggio conclusivo da Reitani è ricco di riferimenti: alla tradizione ebraica della Haggadah, al Giobbe di Joseph Roth, ai Racconti dei chassidim di Martin Buber, alia commedia popolare viennese (di cui Drach certo risente) e al Buon sol-dato Schwejk di Jaroslav Hasek. Reitani ricorda anche, assai utilmente, che le ori-gini del romanzo picaresco - qual è II verbale - sono legate alla cacciata degli ebrei dalla Spagna: la figura del picara, l'escluso che vede lucidamente il mondo dal basso, nasce difatti dalla "lacerazio-ne di una comunità sociale". In quanto

ro-manzo sulla "condizione ebraica nella modernità", divisa tra la fedeltà alle origi-ni e un'assimilazione che sigorigi-nifica "perdi-ta dell'autenticità", Il verbale è una testi-monianza preziosa e una significativa ac-quisizione culturale.

A N N A MARIA CARPI

to, attraverso la circoncisione, il segno di un'appartenenza e di un'identità - di ebreo e di vittima - solo apparentemente tangibili, innegabili e confortanti.

CECILIA MORELLI

Piotr Rawicz, IL SANGUE DEL CIELO, ed. orig. 1961, a cura di Guia Risari, pp. 256, € 15, La Giuntina, Firenze 2006

Pubblicato in Francia nel 1961, Le sang du eieI di Piotr Rawicz, autore ucraino di origine ebraica scampato alla prigionia di Auschwitz, diviene un caso letterario e suscita reazioni controverse. Riconosciuto come primo romanzo della Shoah, sfida il silenzio che l'enormità del-lo sterminio sembra ingiungere e afferma il legittimo intervento della letteratura e dell'arte in un campo non esaurito dalle testimonianze e dalle cronache. La vi-cenda di Boris, giovane ebreo ucraino nobile e ricco, biondo e dagli occhi chia-ri, che si finge ariano per sottrarsi all'an-nientamento, si condensa in tre fasi: la distruzione del ghetto; la lunga, dispera-ta fuga con l'amadispera-ta Noemi; la cattura e l'incredibile epilogo della sopravvivenza, che salva il corpo ma non l'anima. La narrazione è tessuta da un intreccio di voci (quella di Boris,

quella dell'interlocuto-re che raccoglie il suo racconto e si propone di farvi ordine, quella dei personaggi che parlano attraverso i ri-cordi del protagonista) e si presenta in una va-rietà di stili e generi che sottraggono al let-tore l'illusione di un senso e frustrano la ri-cerca di una chiave di lettura chiara e

definiti-va; la frammentarietà è la cifra ostentata del ricordo di Boris e della narrazione che ne scaturisce. La fiducia nella capa-cità della letteratura di raccontare l'indi-cibile non nasconde i limiti e le difficoltà di un linguaggio spesso orfano delle pa-role giuste, che si serve della forza evo-cativa della metafora e delie compara-zioni per suggerire ciò che non può es-sere descritto, componendo una serie di immagini ricorrenti, come quella del san-gue che tinge il cielo e il mondo e quella del corpo del protagonista in cui è

iscrit-Raul Calzoni, W A L T E R KEMPOWSKI, W . G . SEBALD E I TABÙ DELLA MEMORIA COLLETTIVA TEDESCA, prefaz. di Walter Busch, pp. 222, € 20, Campanotto, Pasian di Prato (Ud) 2005

Quale posizione deve assumere lo scrittore per avvicinarsi alle tragedie del passato e parallelamente veicolare la realtà della storia? Da questo quesito muove l'interessantissimo studio di Raul Calzoni, che pone al centro della sua analisi il rapporto tra narrare e ricordare quale fondamentale processo di cono-scenza del passato nelle opere di Walter Kempowski e W.G. Sebaid. La realtà del-la distruzione causata daldel-la guerra aerea e dal secondo conflitto mondiale riemer-ge qui violentemente come "storia ricor-data", in una riformulazione che, per es-sere accolta ed elaborata, deve eses-sere necessariamente mediata da una rime-morazione soggettiva il cui accesso er-meneutico è fornito, appunto, dalla siner-gia tra storia (Geschichte) e memoria (Gedàchtnis). Recuperando un "linguag-gio sporco di storia", come è il tedesco, e

attraverso un lavoro di campionatura docu-mentaristica, Sebaid e Kempowski assumono una prospettiva ar-cheologica, protocol-lante degli episodi più traumatici della secon-da guerra mondiale, in cui la "ricerca dì una lingua abitabile in un Paese abitabile", di memoria bòlliana, di-venta l'impegno morale di una scrittura volta a scongiurare la progressiva tabuizzazione di un dolore collettivo. La rivendicazione di una necessaria rivitalizzazione delle capacità mnestiche della popolazione te-desca si realizza in un processo narrativo che pone storia e memoria in un rapporto di immediata successione, in cui elemen-to documentario e fittizio si sintetizzano in una moderna estetica del ricordo in gra-do di conciliare la tradizione letteraria (Gruppo 47) e filosofica (Adorno) tede-sca del dopoguerra.

MANUELA POGGI

Christoph Hein, TERRA DI CONQUISTA, ed. orig. 2004, trad. dal tedesco di Maria Anna Massimello, pp. 320, € 16, e/o, Roma 2006

La distanza, scrive Christoph Hein nel 1996, è l'uni-co atteggiamento possibile dell'intellettuale verso il po-tere. Tale distanza sembrava ultimamente compromes-sa dal chiassoso abbraccio con cui la Germania riunifi-cata ha accolto l'ultimo romanzo di questo scrittore del-la ex Ddr, piuttosto critico rispetto al cambio di sistema avvenuto nel 1989. Ma leggendo Terra di conquista (Landnahme) la preoccupazione svanisce. Hein non ha scritto il tanto atteso romanzo sulla riunificazione tede-sca. Ha invece ripreso uno dei temi che più gli stanno a cuore: l'adattamento forzato dell'umanità ai cambia-menti storici. Contro le virate e le pretese della politica, i personaggi di Hein tentano di stare a galla, se non di barare a tutto spiano, avendo ormai sperimentato che la grande antagonista - la storia - è da sempre priva di scrupoli.

Il protagonista Bernhard Haber è, come l'autore,

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