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M A R I A S E O A N E , H É C T O R R U I Z N U N E Z , La

not-te dei lapis, a cura di Alessandra Riccio,

Edito-ri Riuniti, Roma 1987, pp. 186, Lit 15.000.

"Notte dei lapis" fu denominato dalla polizia argentina uno degli episodi più crudeli e disuma-ni della dittatura dei generali: l'arresto, la tortura e la "scomparsa", nel settembre del 1976, a La Piata, di un gruppo di studenti delle scuole secondarie che manifestavano per ottenere, come ogni anno, la tessera per usufruire dei mezzi di trasporto a tariffa ridotta. Di quel gruppo di diciassettenni — ' 'scomparsi ' ' per il sospetto che si trattasse di pericolosi sovversivi, ma prima torturati perché rivelassero informazioni su altri sovversivi — uno solo è sopravvissuto: Pablo Alejandro Diaz. Aveva diciotto anni il 21 set-tembre 1976, quando fu sequestrato dalla "poli-zia parallela" ed è scampato alle torture ed alla lunga detenzione per ragioni che egli stesso igno-ra e sulle quali si interroga ancoigno-ra oggi, angoscio-samente. Due giornalisti argentini, partendo dal-le sue dettagliate testimonianze, hanno ricostrui-to tutta la vicenda, con passione e forte impegno etico-politico.

Il libro è diviso in due parti. La prima — prolissa, purtroppo, in più punti-ridondante o poco incisiva — è dedicata a una ricostruzione della vita e del carattere di ciascuno dei ragazzi coinvolti nell'episodio'. Nella seconda parte, con stile rapido e sintetico, sono invece racconta-ti i momenracconta-ti principali dell'arresto dei ragazzi, della loro detenzione, delle sevizie e dei tormenti cui vennero sottoposti e del modo in cui, un po ' alla volta, furono 'liquidati'. Questa parte (pp. 93-162), anche se non assurge ai vertici di Se

questo è un uomo, rimane tra i migliori

resocon-ti della disumanità contemporanea, e merita di essere annoverata accanto a testimonianze quali

La Question di H. Alleg (sulla tortura

nell'Al-geria francese) o La confessione di A. London (sugli interrogatori nelle prigioni politiche ceco-slovacche).

Oltre alla sobrietà e all'immediatezza con cui vengono narrati gli aspetti più drammatici della

"notte dei lapis", vorrei segnalare questa secon-da parte per due suoi aspetti che mi sembrano importanti. Risulta molto bene come negli anni della dittatura (1976-1983), l'apparato statale

— con la giustificazione ufficiale che era neces-sario ricorrere a rimedi estremi per combattere i

"terroristi" e la "sovversione intema" — istituì un sistema repressivo parallelo a quello ufficiale, che però si avvaleva di mezzi assai spicci e violenti (l'arresto senza alcuna giustificazione

"formale", tanto meno un mandato giudiziario; la detenzione incommunicado; la tortura; la soppressione fisica). Il sistema repressivo

ufficia-le convisse con quello 'nascosto', che ufficia-le autorità ufficiali (esercito, polizia, giudici) finsero di non conoscere affatto. Quando i genitori di uno dei ragazzi scomparsi si rivolgevano alla polizia per avere notizie dei figli, o facevano ricorso ai tribunali, questi organi statali si limitavano a comunicare che ad essi non risultava alcuna notizia circa l'eventuale arresto o la detenzione degli scomparsi. Come si vede, un sistema orribi-le, privo di qualunque rimedio all'arbitrio tota-le. Un sistema che è stato pazientemente e acuta-mente descritto nella sentenza del 9 dicembre 1985, con cui la Corte di appello di Buenos Aires ha condannato Videla e gli altri generali. La seconda cosa che emerge dal libro è che i membri della polizia segreta sapevano di agire illegalmente e perciò si nascondevano: quando arrestavano le vittime, essi erano sempre incap-pucciati; e le interrogavano solo dopo aver posto loro una benda. "Una delle guardie gli ordinò [a Pablo] di non guardare perché lì c'era il tenente colonnello. 'Se lo riconosci, sei fregato, giova-notto' — disse" (p. 132). E lo stesso Pablo parla di "una guardia che aveva avuto compassione di noi... ci alzava la benda e ci diceva: 'a me non importa che mi vediate perché io non torturo, perché io sono un essere umano" (p. 138). Piena consapevolezza, dunque, del carattere criminoso di quel che facevano. Come possono ora dire, davanti ai giudici che tentano di processarli, che agivano "su ordini superiori"? Cosa valgono gli ordini, se si è consapevoli che si sta commetten-do qualcosa di orribile?

In una lettera ad Oskar Pollak, Kafka scrisse una volta che "un libro deve essere come una scure piantata nel mare di ghiaccio che è dentro di noi". Quello scritto dai due giornalisti argen-tini è all'altezza di un così severo criterio, e merita di essere conosciuto e meditato.

Riuniti), che descrive le torture e l'uccisione di un gruppo di studenti adolescenti; è in corso di traduzione

Nunca mas, con la lunga relazione

della Commissione Nazionale sulla sparizione di persone, compresi bam-bini e adolescenti; sono circolate per anni sui giornali parecchie notizie sulle "Madres" e le "Abuela!" di Plaza de Mayo. Sono spezzoni di notizie su una tragedia recente. Ine-vitabile, per il lettore europeo, il ri-chiamo a una tragedia più remota nel tempo, di più vaste proporzioni e forse più conosciuta: quella dei bam-bini coinvolti in Europa nel genoci-dio compiuto dai nazisti. La dram-matica biblioteca a questo riguardo è

con la lunga postfazione di Bettel-heim.

Richiamo inevitabile, dunque, an-che se con alcune differenze. I rac-conti di Matilde Herrera, anche se "rigorosamente" veritieri, sono testi narrativiffe testimonianze dei bam-bini ebrej.raccolti da Claudine Vegh sono autobiografiche. Nei racconti argentini in massima parte la pro-spettiva è quella di adulti che narra-no storie di bambini; nel libro della Vegh si tratta di adulti che, 35 anni dopo, molto a fatica, rievocano il proprio passato infantile. I bambini argentini sono, loro malgrado, prota-gonisti; i bambini ebrei sentono il peso di essere sopravvissuti alla

mor-ii e il conforto della solidarietà altrui. Bettelheim si era soffermato a lungo su questo, in parole che si possono trasportare dalla tragedia dei bambi-ni ebrei dell'Europa a cui sono spari-ti i genitori a quella appunto dei

desaparecidos, gli scomparsi

argenti-ni. E comune è essenzialmente l'in-tenzione di questi scritti; dal piano psicologico su cui si muove Bettel-heim ("fatti che reclamano da noi di essere riconosciuti, compresi... se vogliamo vivere in pace con noi stes-si") a quello più politico su cui si muove Matilde Herrera ("dobbia-mo... costruire una memoria... affin-ché il nostro domani sia diverso").

MARCEL PROUST

I PIACERI

E I GIORNI

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NON MI /

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L'EGOISMO MATURO

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