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l'unica grande sintesi del pensiero del filosofo roveretano per la prima volta

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Città Nuova • Edizioni Rosminiane

1 Città Nuova

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Maddalena Carli, NAZIONE E RIVOLUZIONE.

IL "SOCIALISMO NAZIONALE" IN ITALIA: MITO-LOGIA DI UN DISCORSO RIVOLUZIONARIO,

pp. 222, Lit 30.000, Unicopli, Milano 2001

Vi è un argomento che, nella storiografia dell'Italia di inizio Novecento, sembra es-sere stato esplorato a sufficienza: è il rap-porto contronatura tra sindacalisti rivoluzio-nari e nazionalisti corradiniani. Il "sembra" è tuttavia più che mai d'obbligo, visto che i pur inaggirabili studi di Zeev Sternhell han-no più confuso che chiarito le ragioni di questo curioso momento della storia politi-ca e intellettuale del nostro paese. Nume-rosi studi empirici ancora sono da condur-re. Soprattutto, si sente il bisogno di ap-procci metodologicamente più freschi. A questa seconda categoria va ascritto il vo-lume di Maddalena Carli. Con un'attenzio-ne rivolta all'esame delle forme del discor-so politico, l'autrice è convinta che l'incon-tro tra sindacalismo rivoluzionario e nazio-nalismo nasca da una comune vocazione alla costruzione di mitologie, nel senso ela-borato da Roland Barthes. Il volume pren-de così in esame non solo i testi politici, ma anche quelli che si votavano a una dimen-sione letteraria, come La patria lontana di

Enrico Corradini, o di impianto saggistico-storiografico, come la Storia di dieci annidi

Arturo Labriola. L'ermeneutica parallela a cui l'autrice sottopone i due testi apre piste nuove che riguardano tanto le culture

so-cialiste sovversive e sindacaliste rivoluzio-narie, tanto quelle di matrice nazionalista corradiniana. Il volume si chiude analizzando la convergenza sinda-calista e nazionalista durante la guerra di Li-bia come l'atto di na-scita di una nuova cul-tura politica, il "sociali-smo nazionale". Che, a differenza dell'autrice, ma grazie anche alla sua ricerca, noi ritenia-mo meno tipico del movimento operaio ita-liano e più attinente al-la famiglia politica na-zionalista del nostro paese, costretta, per emergere, all'imitazio-ne di certe tecniche socialiste di comunica-zione politica.

MARCO GERVASONI

Luigi Bonanate, DEMOCRAZIA FRA LE NAZIO-NI, pp. 211, Lit 22.000, Bruno Mondadori,

Milano 2001

Il discorso politologico di Bonanate muove da due considerazioni empiriche: la democrazia è un bene sia sostanziale sia procedurale, e questa sua seconda dimensione può aiutare a diffondere la prima; gli Stati democratici sono infatti per natura non bellicosi e non aggressivi. Il duplice livello analitico comprende, dun-que, da un lato, il nesso pace-democra-zia, dall'altro la problemati-ca del processo di demo-cratizzazione internaziona-le. Conseguentemente, se risulta contraddittorio che gli Stati democratici scate-nino guerre per la democra-zia, nulla impedisce che es-si utilizzino gli strumenti pa-cifici a loro disposizione per favorire l'instaurazione de-mocratica in quelle parti del mondo in cui vengono viola-ti i più elementari diritviola-ti uma-ni. Attraverso la riscoperta della "scuola idealistica delle relazioni in-ternazionali", e sulla scia degli studi di Whitehead, l'autore individua uno schema di transizione internazionale della demo-crazia, che si fonda sulle tecniche di "condizionalità democratica", sulla politi-ca dei diritti umani e sulla proposta di una Corte penale permanente, come momen-to di attuazione del kelseniano principio della responsabilità collettiva. L'esperien-za del Kosovo incornicia il saggio con i to-ni della delusione e della scommessa per il futuro: infatti, in contrasto con le tesi di Bobbio, Bonanate, spostando l'attenzione sul diritto prima della guerra, considera il

conflitto fra la Nato e la Serbia di Milose-vic ingiusto da entrambe le parti. Per

ra-gioni diverse, ma comunque dipendenti dal confronto con il metodo democratico, nei suoi aspetti procedurali e normativi.

FRANCESCO CASSATA

coinvolgimento emotivo trova, infatti, il proprio posto legittimo nella scelta degli alleati e nella contrapposizione con gli av-versari.

( G . B . )

Michael Walzer, RAGIONE E PASSIONE. PER

UNA CRITICA DEL LIBERALISMO, ed. orig. 1999,

trad. dall'inglese di Giovanna Bettini, pp. 91, Lit 23.000, Feltrinelli, Milano 2001

Non è certamente la prima volta che al liberalismo viene attribuita un'eccessiva pretesa razionalistica: il fatto che la vita comune sia opera di costruzioni razionali è stato ad esempio contestato, nel Nove-cento, dal conservatorismo tradizionali-sta. In quel caso erano presi di mira le po-litiche pubbliche e il welfare, percepito

come una versione "debole" di collettivi-smo. Le argomentazioni contro la "ragio-ne liberale" vengono ora invece adopera-te per proporre un liberalismo corretto con istanze comunitaristiche, che renda-no più agevole la lotta contro le disugua-glianze. In primo luogo, all'insistenza di alcuni libertari sulle forme associative "vo-lontarie", Michael Walzer contrappone l'i-nevitabilità delle "associazioni involonta-rie": non si potrebbe mai adempiere alla promessa di spezzare ogni vincolo socia-le, culturasocia-le, politico, ecc. ("noi non siamo nati liberi"), mentre un'effettiva opposizio-ne alla gerarchia sociale può essere otte-nuta attraverso il riconoscimento delle as-sociazioni involontarie e l'azione al loro in-terno. In secondo luogo, la teoria della "democrazia deliberativa" è giudicata da Walzer insufficiente. La vita politica demo-cratica non consiste infatti semplicemente nelle decisioni risultate da processi razio-nali di discussione tra uguali; alcuni fatto-ri fondamentali per un "ugualitafatto-rismo pra-tico", come il conflitto politico e la lotta di classe, non possono essere sostituiti dal-la pura deliberazione. La versione liberale "ragionevole" della politica, in terzo luogo, non deve portare, secondo l'autore, a un annullamento del ruolo della "passione": il

Adolfo Battaglia, FRA CRISI E

TRASFORMA-ZIONE. IL PARTITO POLITICO NELL'ETÀ

GLO-BALE, prefaz. di Anthony Giddens, pp. 176,

Lit 24.000, Editori Riuniti, Roma 2000

Nel l'accostarsi al problema di una "nuova politica di sinistra", Anthony Gid-dens, direttore della London School of Economics e prestigioso esponente labu-rista, ricalca le ormai consuete formula-zioni di un impianto dogmatico, non-ideologico e attento alle nuove realtà scientifiche e tecnologiche. L'ottimistica conclusione dello studioso britannico è che le coalizioni di centro-sinistra posso-no ancora essere molto forti, perché "la gente non vuole essere priva di protezio-ne di fronte alle incognite dei mercati glo-bali". Il volume di Adolfo Battaglia è in-centrato, poi, sulla questione dei ruoli che debbono essere affidati ai partiti nell'era della "globalizzazione": l'autore ritiene ne-cessario un allargamento sovranazionale delle loro prospettive e un arricchimento di progettualità e di istanze etiche, alla lu-ce delle importanti questioni sollevate dal-lo sviluppo scientifico. Esemplare, a suo avviso, è stato, in tal senso, l'avvio da par-te dei governi statunipar-tense e britannico di un comune "progetto genoma": l'opera politica viene connessa, in questo modo, alle questioni fondamentali del nostro tempo. Secondo Battaglia i partiti sareb-bero, così, nuovamente in grado di mobi-litare "forze sociali e passioni morali", in-troducendo "un'epoca diversa nell'ap-proccio alla politica".

( G . B . )

Raimondo Cubeddu, POLITICA E CERTEZZA,

pp. 224, Lit 23.000, Guida, Napoli 2000

In vari articoli e interventi degli ultimi an-ni, raccolti in questo volume, Raimondo Cubeddu, da sempre particolarmente at-tento alla tradizione liberale, si è confron-tato con il problema delle "scelte pubbli-che", soffermandosi sulle riflessioni che esso ha suscitato dai versanti conservato-re, liberale e libertario. Vengono illustrate e discusse, dunque, la polemica di Leo Strauss contro il nichilismo del classica! Liberalism (il bersaglio precipuo

dovreb-be essere, però, secondo Cudovreb-beddu, l'ibri-do liberaldemocratico), la riconfigurazio-ne di uno Stato con discrezionalità minima proposta dalla scuola austriaca (Menger, Mises e Hayek) e l'approdo al dissolvi-mento delle "decisioni collettive" elabora-to da Murray N. Rothbard. Intendendo ri-lanciare le tesi del Libertarianism,

Cubed-du indiviCubed-dua con chiarezza nei processi di globalizzazione un contesto in cui poter formulare in modo agevole le argomenta-zioni antistatuali. Giunge così a osservare come stia declinando la cornice istituzio-nale e concettuale che era stata elabora-ta per l'espansione e la difesa della li-bertà: l'idea liberale di Stato è ormai, a suo avviso, insostenibile, "non essendo riuscita a contenere quell'espansione del-le competenze statali, sovente motivata da argomentazioni etiche, che ha portato al restringimento delle libertà individuali". Nel futuro globalizzato, di fronte a una pluralità di ordinamenti in concorrenza tra loro, l'autore crede che sarà ancora ne-cessario un diritto penale, ma senza alcu-na magistratura statale, sostituita da "ar-bitri", la cui affidabilità, a suo avviso, do-vrebbe essere garantita dal loro interesse a offrire un servizio valido, in quanto sog-getti alle stesse regole degli altri "attori economici".

D E I LIBRI D E L M E S E !

Gianfranco Pasquino, CRITICA DELLA SINI-STRA ITALIANA, pp. 132, Lit 18.000, Laterza,

Roma-Bari 2001

Maggiore forza progressista italiana, i Ds costituiscono la più debole sinistra dell'Occidente. La trasformazione di cui essi sono il risultato è stata sostanzial-mente un'operazione "verticistica", sfo-ciata "senza nessun entusiasmo nella cooptazione dei vecchi dirigenti di alcuni vecchi partiti, dai liberali ai socialdemo-cratici, dai repubblicani ai socialisti, negli organismi locali e nazionali nei quali co-munque gli esponenti del Pds (e ancor prima del Pei) continuavano a disporre, anche sulla solida base dei numeri, di ampie maggioranze, e a controllare le ca-riche di vertice". L'Ulivo, poi, non è

riusci-to a produrre una chiara identificazione di premiership e leadeship nel centro-sini-stra (anche quando Prodi era al governo, D'Alema rivendicava il suo ruolo di "azio-nista di maggioranza" della coalizione), ed è vittima della propria "debolezza strutturale". Una coalizione forte dovreb-be avere un perimetro dovreb-ben definito, do-vrebbe scegliere il candidato premier e quelli al Parlamento attraverso elezioni primarie e dovrebbe richiedere, infine, la cessione della "sovranità" dai partiti alla coalizione stessa. Sulla base di questi e di altri argomenti, Pasquino giudica con severità la sinistra italiana, concedendosi però anche polemiche personali. Con una certa insistenza, infatti, l'autore con-trappone alla propria "autonoma riflessio-ne" l'impermeabilità della sinistra nei

con-fronti delle critiche. Se la sinistra è movi-mento - egli dice - allora le critiche devo-no essere suo alimento. "Se devo-non accetta le critiche, se non le discute, se non le controbatte e se non si fa migliore, anche cambiando i suoi dirigenti, allora che sini-stra è?"

(G.B.)

Manuela Alessio, TRA GUERRA E PACE.

ERNST JUNGER MAESTRO DEL NOVECENTO,

pp. 150, Lit 20.000, Pellicani, Roma 2001

In Italia, Ernst Junger è stato spesso studiato in modo parziale e circoscritto. Manuela Alessio ne analizza invece sia la mistica della guerra (// combattimento

come esperienza interiore, Il boschetto 125, Nelle tempeste d'acciaio),

l'antibor-ghesismo (L'operaio) e la "resistenza

al-legorica" (Sulle scogliere di marmo), sia

l'elaborazione dei tipi antropologici - guerriero, operaio, anarca - e i mo-menti di maggior incisività e lungimiran-za: fra questi, l'idea del necessario pas-saggio dalla mobilitazione totale della guerra alla "democrazia della morte" e alla morte della democrazia; l'inevitabi-lità della globalizzazione, indotta dalla tecnica; il progressivo costituirsi di un non-Stato mondiale. Oltre alla ricezione europea, dello scrittore vengono poi considerati un testo come La pace, mal

noto in Italia, gli ultimi diari, e gli interes-si geografici ed entomologici. DANIELE ROCCA

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Mario Cimosa, L'AMBIENTE

STORICO-CULTU-RALE DELLE SCRITTURE EBRAICHE, pp. 644,

Lit 78.000, Edb, Bologna 2000

Da più di due secoli la critica biblica si è affannata a ricercare precedenti e pa-ralleli ai vari testi delle Scritture ebraiche presenti nelle letterature del Vicino Orien-te antico, con lo scopo vuoi apologetico di trovare conferma all'eccezionalità della ri-velazione israelitica, vuoi critico di diluire questa presunta particolarità nel più ge-nerale quadro della civiltà del Vicino Oriente antico. Oggi non v'è ormai tema biblico per il quale non sia stato attestato qualche precedente o parallelo. Una più approfondita conoscenza dell'ambiente religioso e culturale nel quale si è venuto formando, con un lavorio secolare, quel complesso di testi a noi noto come la Bib-bia, d'altro canto, non ha fatto che rende-re più viva e acuta la questione di fondo: fino a che punto e in che cosa questi testi innovano rispetto all'ambiente circostan-te? Il manuale curato da Cimosa costitui-sce una buona introduzione a questo complesso problema, cui l'autore, non senza qualche caduta apologetica, cerca di apportare una risposta fondata-su di una conoscenza solida della documenta-zione e della relativa bibliografia. Per le questioni e i temi più significativi scanditi cronologicamente - dai racconti delle ori-gini, attraverso le storie patriarcali e tradi-zioni dell'esodo, fino al profetismo e all'e-silio - , accanto ai testi biblici più significa-tivi, Cimosa presenta un'ampia serie di te-sti paralleli opportunamente commentati, con messe a punto conclusive in cui egli condensa la propria interpretazione. Una serie di appendici finali conclude il lavoro.

GIOVANNI FILORAMO

Gianna Gardena! L'ANTIGIUDAISMO

NEL-LA LETTERATURA CRISTIANA E MEDIEVALE,

pp. 340, Lit 30.000, Morcelliana, Brescia 2001

Si sono moltiplicati, in questi ultimi anni, i lavori dedicati a raccogliere fonti e testi-monianze dell'antigiudaismo cristiano in epoca antica e medievale: un fiume im-pressionante, alimentato da mille rivoli. Merito del lavoro di Gianna Gardenal è l'aver messo in luce l'importanza della predicazione degli ordini mendicanti tra XIII e XIV secolo. Dopo aver ricordato, nella prima parte, le radici neotestamen-tarie e patristiche dell'antigiudaismo cri-stiano in quanto fattore teologico, l'autrice esamina la situazione medievale, a partire dalla leggenda di Teofilo e dal ventaglio di posizioni che si ha tra XI e XII secolo, quando possono ancora coesistere la po-sizione tollerante di un Abelardo e i duris-simi attacchi contro gli ebrei dell'abate di Cluny Pietro il Venerabile, mite e potente personaggio che aveva accolto nel suo monastero Abelardo perseguitato negli ul-timi anni della sua vita. I temi e i metodi della controversistica antigiudaica riman-gono in sostanza quelli della letteratura antigiudaica patristica: spesso l'attacco si

rivolge contro un'immagine stereotipata, le accuse permangono sovente identiche, a cominciare da quella di deicidio; e non poche volte si ha l'impressione che il vero obiettivo di questa polemica sia interno al-la stessa comunità cristiana, mirando a colpire cristiani simpatizzanti di un giudai-smo che rappresentava una realtà dina-mica e viva. La scena muta col XIII seco-lo e l'affermarsi di un nuovo contesto ur-bano ed economico. Lo studio delle pre-diche dei vari Giordano da Pisa, Bernardi-no da Siena, BernardiBernardi-no da Feltre, che in-sistono, nei loro attacchi contro gli ebrei, sul fenomeno dell'usura, mette in luce un peggiorare inarrestabile della situazione, destinata a culminare nel virulento anti-giudaismo di un Savonarola. Quello che ora è colpito è un ebreo in carne e ossa, accusato di depauperare il cristiano di ogni suo bene e di agire nella società pro-vocando dovunque danni irrimediabili: un nemico sempre più pericoloso, di cui oc-corre distruggere i libri sacri (il Talmud), che occorre perseguitare giuridicamente attraverso il tribunale dell'Inquisizione. Da nemici del Cristianesimo, i "perfidi giudei" si stanno trasformando in nemici della so-cietà stessa.

(G.F.)

l'interesse di Spaventa per Bruno, dagli anni della composizione della Lettera

(1853-1854) agli scritti più tardi, è l'affer-mazione secondo la quale, nonostante il riconoscimento di un "indubbio

affina-Bertrando Spaventa, LETTERA SULLA

DOTTRI-NA DI BRUNO, SCRITTI INEDITI 1853-1854, a

cura di Maria Rascaglia e Alessandro Savorelli, pp. 227, Lit 60.000, Bibliopolis, Napoli 2000

L'anno appena trascorso ha visto nu-merosissime pubblicazioni su Giordano Bruno: edizioni di opere, monografie, bio-grafie e così via (cfr. "L'Indice", 2000, n. 12). Inutile dire che se alcune di esse resteranno utili strumenti per gli studiosi e più in generale per la conoscenza del filo-sofo, altre non possono che essere consi-derate scritti d'occasione destinati a es-sere presto dimenticati. Un caso a parte è sicuramente la pubblicazione dell'inedita

Lettera sulla dottrina di Bruno di

Bertran-do Spaventa, che permette finalmente la lettura di quella che sarebbe stata, se da-ta alle sda-tampe, la prima monografia ida-talia- italia-na su Bruno e uitalia-na delle prime in Europa. Come illustrano bene nella lunga introdu-zione Rascaglia e Savorelli, la Lettera

per-mette, nel suo essere testo inedito e in parte "sconfessato dall'autore" - "non mi serve più", "non mi piace più", scriveva Spaventa nel 1857 - , di ricostruire il per-corso dell'interpretazione spaventiana di Bruno e il suo rapporto con la storiografia europea. Per dirla con le parole dei cura-tori, infatti, non solo "il Bruno del libro ine-dito possiede un'autonomia rilevante ri-spetto a quello delle lezioni napoletane e dei futuri saggi (...), ma il grado di solleci-tazione dei testi nella Lettera, pur guidato

dal demone teorico dell'interprete - è be-ne ricordarlo - è di rado banale e teso so-lo alla delineazione, come in gran parte della letteratura di quegli anni, di un ge-nerico 'profilo'". Quello che colpisce nella ricostruzione di Rascaglia e Savorelli

del-mento critico", con il mutare delle sue po-sizioni su Bruno (ad esempio la caduta dello stretto parallelo Bruno-Spinoza) si ravvisa anche "il sintomo di un impoveri-mento sul piano storiografico, giacché la rinuncia al progetto di un saggio compiu-to su Bruno è una perdita di bilancio sec-ca in Spaventa e nel complesso della sto-riografia idealistica postunitaria, che a lungo dovrà affrontare la controffensiva erudita di segno moderato e impiegherà decenni (fino al libro di Tocco e all'edizio-ne nazionale delle opere latiall'edizio-ne) per riattin-gere un livello critico soddisfacente". In definitiva il lettore è portato a cogliere tra le righe quanto, sia rispetto alle posizioni di Spaventa sia alle coeve e successive pubblicazioni su Bruno - si pensi in parti-colare alla monografia di Domenico Berti (1868) efficacemente criticata dallo stes-so Spaventa - , la Lettera possa essere

vi-sta come un'occasione mancata. Ma, al di là delle interessanti e stimolanti doman-de che la Lettera pone rispetto al

pensie-ro di Spaventa, si vuole qui sottolineare che la lettura di questo scritto ha il merito di indurre a riflettere sui tanti aspetti estre-mamente complessi del pensiero di Bru-no messi in risalto da Spaventa e ancora - nonostante le mutate impostazioni sto-riografiche e i tanti studi pubblicati in un secolo e mezzo - discussi dalla critica.

AMALIA PERFETTI

STORIA DEL CRISTIANESIMO. VOL. 2: LA

NA-SCITA DI UNA CRISTIANITÀ (250-430), a cura di Charles e Luce Piétri, ed. italiana a cura di

Angelo Di Berardino, introd. di Paolo Siniscal-co, pp. 975, Lit 140.000, Boria - Città Nuova, Roma 2000

STORIA DEL CRISTIANESIMO. VOL. 7: DALLA RIFORMA DELLA CHIESA ALLA RIFORMA

PRO-TESTANTE (1450-1530), a cura di Marc Ve-nard, ed. italiana a cura di Massimo Marcocchi,

pp. 864, Lit 140.000, Boria - Città Nuova, Ro-ma 2000

Prosegue la traduzione italiana dell'im-portante Histoire du christianisme des ori-gines à nos jours. I due ultimi tomi

pubbli-cati affrontano due periodi cruciali di que-sta storia, apportando, nella

presentazio-ne sempre ben documentata e in lipresentazio-nea con la prospettiva di storia "totale" che la caratterizza, anche novità interpretative. Nel primo, già la periodizzazione è indica-tiva: si inizia alla metà del III secolo, quan-do, dopo la persecuzione di Decio, si in-staura la cosiddetta "piccola pace", un periodo decisivo, che doveva permettere la diffusione del Cristianesimo e il suo consolidamento nell'Impero; si termina col 430, anno della morte di Agostino, ma an-che anno an-che rimanda alle invasioni bar-bariche e al formarsi di una nuova civiltà romano-barbarica. È, dunque, in questi due secoli che il Cristianesimo si affermò. Mentre la prima parte è dedicata all'espo-sizione degli eventi e delle dispute teolo-giche, nella seconda parte sono presen-tate la conquista cristiana dello spazio e del tempo, il modo in cui si venne

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