La disciplina dell’«arbitrato nel diritto amministrativo» e l’impugnazione del lodo
SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Le competenza giurisdizionali collegate all’arbitrato – 3. La questione della impugnazione del lodo – 4. L’impugnazione del lodo sul provvedimento amministrativo – 5. Revo-cazione e opposizione di terzo avverso il lodo arbitrale – 6. L’exequatur e il ricorso per l’ottemperanza.
1.Premessa
Nel corso della trattazione sin qui svolta si è sempre presupposta una classificazione dell’arbitrato nei confronti della pubblica
amministra-zione analoga a quella offerta già a suo tempo dal Cassese (1), che
distin-gueva tra arbitrato «nel diritto amministrativo» e arbitrato «di diritto am-ministrativo».
Secondo l’Autore, l’amministrazione è un soggetto dell’ordinamento che – seppure diverso dal soggetto privato – resta co-munque sottoposto alle norme del diritto comune, salvo che la legge non ponga espresse deroghe. Principio questo che vale anche per l’istituto ar-bitrale: salvo che la legge non ponga espresse deroghe, all’arbitrato nei confronti dell’amministrazione – qualunque sia il rapporto oggetto del giudizio – l’arbitrato sarà sempre quello disciplinato dal codice di proce-dura civile. In questo caso si parla di «arbitrato nel diritto
vo», perché l’istituto arbitrale viene utilizzato in un contesto di diritto amministrativo.
Diversamente si avrebbe arbitrato «di diritto amministrativo» qua-lora la legge espressamente prevedesse un arbitrato quale istituto diverso da quello di diritto comune, al quale le norme del codice di rito sarebbe-ro applicabili solo in via analogica, in quanto se ne presenti la necessità. L’arbitrato «di diritto amministrativo» non esiste, almeno al momento, nel nostro ordinamento. Tutte le volte in cui la legge fa riferimento alla tipologia arbitrale non crea istituti nuovi e tipici del diritto amministrati-vo, ma compie sempre rinvii – alcune volte espliciti, altre no – ad istituti
noti, quali l’arbitrato stesso o l’arbitraggio (2).
Questa impostazione ci ha consentito di non vedere altri ostacoli alla arbitrabilità delle situazioni giuridiche soggettive diversi dalla loro di-sponibilità sostanziale, non solo con riferimento a quei diritti sottratti per volontà di legge alla giurisdizione del giudice ordinario, ma anche alle si-tuazioni giuridiche di diritto pubblico. Anche il limite alla arbitrabilità del potere amministrativo e dell’interesse legittimo risiede solamente nella loro disponibilità materiale; altri limiti non espressi non possono essere ricavati per via interpretativa dall’ordinamento, dal momento che le norme che precludono l’arbitrabilità delle situazioni giuridiche disponibili sono eccezionali.
Nel nostro ordinamento l’arbitrato ha una disciplina generale nel codice di procedura civile, e discipline particolari che il legislatore ha pensato appositamente per controversie afferenti a settori specifici, come i lavori pubblici, o determinati rapporti, come le controverse societarie. Discipline particolari dettate soprattutto da ragioni di opportunità, che
comunque integrano o derogano all’archetipo codicistico, che resta la normativa generale di riferimento.
Per quanto riguarda l’arbitrato «nel diritto amministrativo», inten-dendo per tale vuoi quello relativo alle controversie su diritti rientranti nella giurisdizione del giudice amministrativo, vuoi quelle controversie prettamente di diritto pubblico, mancando una disciplina specifica il mo-dello di riferimento sarà ancora una volta quello del codice di procedura
civile (3), anche se – probabilmente in questo caso come in nessun altro
– una disciplina specifica sarebbe stata quantomeno opportuna (4).
Come si è già detto, l’art. 6, l. 205/00 venne introdotto allo speci-fico fine di porre fine all’orientamento giurisprudenziale che negava l’arbitrabilità dei diritti soggettivi rimessi alla giurisdizione esclusiva. Ma una volta ammessa espressamente la possibilità dell’arbitrato, il legislato-re non ha pensato affatto che la disciplina contenuta nel codice di proce-dura civile non tiene nella minima considerazione la vicenda del riparto di giurisdizione, né l’esistenza del giudizio amministrativo. È vero che l’arbitrato, per sua natura, è strumento alternativo alla giurisdizione tout
court e non alla sola giurisdizione civile ordinaria, ma comunque il
legisla-tore del 1940 ha costruito l’istituto inserendolo nel contesto sistematico del codice di procedura civile. Ed allora le competenze giurisdizionali in qualunque modo collegate all’arbitrato – vuoi che si tratti della ricusazio-ne degli arbitri, vuoi che si tratti dell’impugnazioricusazio-ne del lodo – sono state disciplinate tenendo presente il solo giudice ordinario.
(3) Cass., sez. un., 3 luglio 2006, n. 1582, in Riv. dir. proc. 2006, 751; Antonioli M., Arbitrato e giurisdizione esclusiva, cit., 134; Amadei D., L’arbitrato nel diritto
amministra-tivo, in Aa.Vv., L’arbitrato, cit., 431.
(4) Cfr Verde G., Arbitrato e pubblica amministrazione, in Riv. Arb. 2001, 419 s.; Luiso F.P., Arbitrato e giurisdizione nelle controversie devolute al giudizio amministrativo, in Riv.
arb. 2001, 421 ss.; Romano Tassone A., L’arbitrato, in Aa.Vv., Il processo davanti al giudice amministrativo, a cura di Sassani B. e Villata R., Torino 2001, 397 ss.
Se l’arbitrato ha ad oggetto situazioni giuridiche soggettive rien-tranti nella giurisdizione del giudice amministrativo era opportuno che il legislatore facesse i conti con questo, e dicesse espressamente quale fosse il giudice cui rivolgersi per ottenere, ad esempio, la nomina suppletiva dell’arbitro, ma soprattutto quale fosse il giudice competente per l’exequatur o davanti al quale portare l’impugnazione del lodo.
Una disciplina ad hoc non era certo necessaria, e tutte le questioni che si pongono possono essere risolte in via interpretativa – alcune age-volmente, altre meno – prendendo come base le norme del codice di ri-to, ma una volta che il legislatore processuale amministrativo era interve-nuto sull’arbitrato, avrebbe potuto preoccuparsi di sciogliere almeno i
nodi più rilevanti (5).
2. Le competenze giurisdizionali collegate all’arbitrato
Tralasciando per il momento le questioni riguardanti l’impugnazione del lodo e l’exequatur, il codice di procedura civile preve-de l’intervento preve-del giudice nell’arbitrato – dietro istanza di parte – nei se-guenti casi: a) nel procedimento di nomina degli arbitri (artt. 809, 810 e 811 c.p.c.), b) per provvedere alla sostituzione dell’arbitro inadempiente (art. 813 bis c.p.c.); c) per la determinazione del compenso in caso man-cata accettazione della liquidazione delle spese e degli onorari fatta dagli arbitri (art. 814 c.p.c.), d) per la ricusazione degli arbitri (art. 815 c.p.c.),
(5) E invece il legislatore si è limitato a rinviare alla disciplina dell’arbitrato ri-tuale, quale regolato dal codice di procedura civile «salve le deroghe derivanti dal col-legamento con la giurisdizione amministrativa»; cfr. Mignone C., Arbitrato nelle
controver-sie devoluta al giudice amministrativo e riparto di giurisdizione, in Foro amm. T.A.R. 2003, 2517,
che paragona la vicenda dell’arbitrato a quella della opposizione di terzo, introdotta nel processo amministrativo da una pronuncia additiva della Consulta (Corte Cost. 17 maggio 1995, n. 177), la cui disciplina è mutuata in parte da quella del processo civile.