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APPENDICE Parte 1 – Giovanni Comisso, Giorni di guerra

PARTE III L’Agnese va a morire di Renata Viganò

APPENDICE Parte 1 – Giovanni Comisso, Giorni di guerra

V. Brancati, Singolare avventura di Francesco Maria, in Il vecchio con gli

stivali, Milano, Mondadori, 1971, pp. 166-170.

Una sera, nella sala da pranzo dell’albergo gli toccò di sedere vicino ad una giovane che leggeva un libro. Questa giovane era una maestra elementare di Pachino, e si chiamava Maria Sapuppo […]. Maria Sapuppo aveva scostato il piatto ancora pieno, e leggeva riparandosi gli occhi con le mani intrecciate. Le viscere di Francesco Maria gemettero dolcemente quand’egli s’accorse che il libro, nel quale la ragazza puntava gli occhi, era il Fuoco di Gabriele D’Annunzio. Quando, poi, la lettrice, senza distogliere lo sguardo dalla lettura estrasse una matita rossa dalla salvietta, in cui la teneva avvolta come un pugnale, e vibrò un colpo sull’orlo della pagina, egli si sentì ferire voluttuosamente, e riuscì a stento a cambiare il grido di gioia, che gli esplodeva nella gola, in un «Bene!» di tono normale. La ragazza levò gli occhi, ponendo il mento sul dorso delle mani intrecciate, e fissò per un minuto Francesco Maria.

«Vi conosco», domandò.

«Credo di sì», fece Francesco Maria. «Ci siamo veduti a Pachino!». E si avvicinò al tavolo della ragazza, tirandosi sotto la sedia. Subito, s’impossessò del volume insanguinato dai volpi di matita:

«Grande!». «Grandissimo!».

«Se non ci fosse lui mi sentirei mezzo uomo!».

S’accorsero che, per la fretta di esprimersi, non parlavano bene come avrebbero dovuto. Ci fu allora una pausa, durante la quale Maria Sapuppo si mise fra i denti, con la forchetta, un piccolo boccone e Francesco Maria dispose in ordine di battaglia la più belle parole che aveva imparate dal suo Poeta. Dopo quella pausa, la Rarità, la Lentezza, la Buona Pronuncia erano pronte sia dall’una parte che dall’altra.

«Che cosa prediligete di questo libro?» disse lentamente Francesco Maria.

«Lo scenario opulento in cui si svolge il dramma», disse anche più lentamente, Maria Sapuppo.

«Io invece … Permette che mangi al vostro tavolo? Cameriere, portate qui … Io invece prediligo i giornali intimi, le confessioni delle donne!».

«Siete ghiotto di segreti femminei», fece la ragazza.

«Oh, voi avete l’espressione ghiotta, una bocca avida! … non siete certo un digiunatore!». «Amo l’Amore, l’Amore predizione ed esaltazione, spasimo e miele. Non so come dire: avete mai veduto qualcosa di velluto che ferisce?».

«No!», confessò candidamente la ragazza; ma poi si riprese: «Qualcosa di velluto che ferisce?... Dite bene: ci sono veramente dolcezze che tagliano!».

«Dolcezze che tagliano? Dite benissimo… Permettete che io ricostruisca con la mia plastica verbale il giudizio che ho formulato su di voi?».

«Fate pure!».

«Siete una creatura eletta, un Vas d’elezione!». «Oh, vi prego!».

«Lo vedo dai vostri occhi di arcangelo e di demone». «Vi prego!».

«C’è nei vostri cuori una forza che mi potrebbe sollevare in alto, nelle sfere del sogno e della trasfigurazione; e c’è una forza che digrada in direzione inversa, che potrebbe farmi profondare nell’abisso più oscuro. Due forze opposte scintillano nei vostri occhi, come due fiumi di cui uno vada nel mare e l’altro venga dal mare!».

La ragazza squittì di gioia. «Non vi conosco che da una mezz’ora», disse scuotendo i capelli dalle orecchie, «e tuttavia vedo la vostra Anima. però non vorrei che v’ingannaste sul mio conto». Chiamò il cameriere, fece sparecchiare la tavola, mise i gomiti sulla tovaglia, il mento sulle palme delle mani accostate, distese le dita in avanti e disse lentamente: «La mia vita è limpida come quella di un anacoreta. Però nelle mie vene fermenta un fuoco nero». Abbassò la voce: «Non ho peccato, ma sono un peccante!». Se Maria Sapuppo avesse detto: sono una peccatrice, forse Francesco Maria, terminata la cena, l’avrebbe salutata magari baciandole la mano, e lasciata al suo destino di graziosa maestra elementare e onesta ragazza di paese. Ma ella aveva detto: peccante. Eh, peccante no! Peccante era una parola che gli entrava come nelle dita, e lo teneva legato col suo calore umano e umido, proprio di belle dita che leggermente sudino. «Eh, peccante, peccante!».

Insomma non vogliamo tenere il nostro lettore sulla corda, né dilungarci troppo su questa prima avventura di Francesco Maria. Sappia, dunque, il lettore che, a causa di quel «peccante», un’ora dopo la cena, in un angolo semibuio della sala da pranzo, Francesco Maria, imperlandosi le tempie di sudore, baciava malamente la ragazza. […].

Ciò che, nel momento in cui ricevette il bacio, le impedì di muoversi, fu il rumore delle carrozze nella strada accanto, quel rumore commisto ad altri rumori, di portoni e imposte, e così diverso dal cigolio di un carro solitario che rompe il silenzio della sera nelle stradette di Pachino. Diceva quel rumore: «Ohè, giovinetta, sei in una grande città! Qui le persone vanno nei cocchi, i finimenti dei cavalli tintinnano, la luce per le strade si spreca, e le donne si fanno baciare!». E poi, diamine, si danno schiaffi nei romanzi di D’Annunzio? Che avrebbe detto di lei il poeta delle

Parte 3 – Renata Viganò, L’Agnese va a morire

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