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Aristofane, Pluto: un coro in evoluzione

4. 1 Gli altri interventi corali dopo la parodo

La serie di invettive letterarie che Carione ed il coro si rivolgono viene bloccata ex abrupto da parte del servo che si congeda dai contadini con la battuta dei versi 316-321 e al tempo stesso li invita a cambiare atteggiamento. Proprio i due versi 316 e 317 con l'esortativo ἀλλ᾿ εἶά νυν τῶν σκωμμάτων ἀπαλλαγέντες ἤδη | ὑμεῖς ἐπ᾿ ἄλλ᾿ εἶδος τρέπεσθ᾿ (“Ma su, ora abbandonati ormai gli insulti, voltatevi a un'altra forma”) sono fondamentali per l'interpretazione della sigla ΧΟΡΟΥ inserita nelle principali edizioni dopo il verso 321. Carione incita infatti ad abbandonare gli σκώμματα e lasciare quindi il canto di beffa per eseguire qualcos'altro.

Aristofane fa spesso uso della parola dei personaggi per fornire indicazioni sceniche e di regia e anche i versi sopra citati sembrano rientrare in questa pratica: fungono cioè da anticipazione del canto che seguirà e segnalano il cambio di scena e la presenza di un nuovo canto. Infatti la sigla ΧΟΡΟΥ che segue la battuta dello schiavo sembra indicare proprio la presenza di un intrattenimento musicale di cui non ci è pervenuta nessuna indicazione relativa a testo e performance.

Ciò che segue, nei versi 322-334, è molto importante dal punto di vista dei rapporti scenici: Carione si è congedato alla fine del verso 321 lasciando il coro solo nell'orchestra, intento in una danza di cui ci è oscuro ogni dettaglio. Dopo il verso 321 entra di nuovo in scena Cremilo, che si era allontanato insieme a Pluto dopo la battuta del verso 252. La motivazione dell'uscita di scena è data

dal desiderio di presentare il dio ai propri familiari (vv. 249-251 “ἀλλ᾿ εἰσίωμεν, ὡς ἰδεῖν σε βούλομαι | καὶ τὴν γυναῖκα καὶ τὸν υἱὸν τὸν μόνον,| ὃν ἐγὼ φιλῶ μάλιστα μετὰ σέ “Ma entriamo: voglio che tu incontri mia moglie e il mio unico figlio, che io amo più di ogni altra cosa... dopo di te”) e dopo la parodo Cremilo rientrerà in scena solo, senza Pluto con cui si era allontanato pochi versi prima: dobbiamo immaginare che il dio sia rimasto nella casa del contadino e da lì venga poi accompagnato al tempio di Asclepio, dal quale arriverà al suo prossimo ingresso in scena, ormai guarito, dopo il verso 771.

Il contadino entra in scena salutando i coreuti con “χαίρειν” μὲν ὑμᾶς ἐστιν, ὦνδρες δημόται, ἀρχαῖον ἤδη προσαγορεύειν καὶ σαπρόν· ἀσπάζομαι δ᾿ ὁτιὴ προθύμως ἥκετε καὶ συντεταμένως κοὐ κατεβλακευμένως. ὅπως δέ μοι καὶ τἄλλα συμπαραστάται ἔσεσθε καὶ σωτῆρες ὄντως τοῦ θεοῦ. “Salutarvi con «Salve», compaesani, è cosa ormai antica e rancida:

piuttosto «Vi accolgo con affetto» poiché siete giunti con ardore e solerzia e non lentamente.

Anche per il resto siatemi vicini e siate davvero la salvezza del dio”.

Anche la battuta di Cremilo è funzionale alla definizione del ruolo del coro ai fini dell'utopia comica: all'interno di essa è infatti ribadita la collaborazione e

l'adesione al progetto da parte dei coreuti. Il contadino riprende alcune tematiche delineate dal coro stesso all'ingresso nella parodo, ovvero la sollecitudine e la solerzia d'intervento, che rappresentano i motivi centrali nella prima battuta del coro ai versi 257-260. Il paradigma della βοηδρομία tragica parodiato nella prima parte della parodo viene qui ripreso da Cremilo, che recupera la tematica ai fini della circuizione del coro e dell'esaltazione degli aspetti tragicamente positivi dei coreuti. In un certo senso il padrone prende le distanze dal suo schiavo elogiando la presunta solerzia dei vecchi compaesani ai fini del proprio interesse, ovvero la solidarietà al suo progetto. Tuttavia in questo modo Cremilo sortisce anche un altro effetto ovvero quello della eco comica e della ulteriore messa in ridicolo della figura dei vecchi contadini di fronte al pubblico perchè richiama il paradigma dello scarto fra la presunta e la reale solerzia dei coreuti al centro della scena precedente.

La clausola ὦνδρες δημόται con cui il contadino si rivolge ai vecchi recupera una delle connotazioni del coro presentate da Carione poco prima dell'ingresso in scena (vv. 253-256) ed in particolare richiama l'aspetto dell'appartenenza al medesimo δῆμος anticipata al verso 254, mentre tralascia del tutto il riferimento alla povertà e alla miseria (ἄνδρες φίλοι καὶ δημόται καὶ τοῦ πονεῖν ἐρασταί “amici, compaesani, amanti della fatica”).

Le parole di Cremilo sono qui tutte impegnate a comunicare l'accoglienza calorosa riservata ai contadini, e ad evidenziare la solerzia e la sollecitudine di questi ultimi nel soccorso, ovvero le stesse caratteristiche che i vecchi hanno invano cercato di sottolineare al loro ingresso in scena ai versi 257-260.

Tre sono gli avverbi utilizzati dal contadino per descrivere la prontezza del soccorso dei vecchi: fra essi προθύμως (che nella sequenza προθύμως ἥκετε ricalca la successione ὁρμωμένους προθύμως usata dai coreuti stessi al verso 257) e συντεταμένως rappresentano connotazioni positive impiegate per indicarne ardore e sollecitudine, mentre la litote κοὐ κατεβλακευμένως dà

rilievo alla loro presunta velocità d'intervento; quindi lo spazio dedicato alla descrizione dell'atteggiamento del coro occupa la fine del verso 324 e l'intero verso 325 e il procedimento dell'accumulazione verbale (προθύμως ἥκετε | καὶ συντεταμένως κοὐ κατεβλακευμένως) concorre a dare enfasi all'impegno dei contadini.

“L'entusiasmo di Cremilo si esprime in un crescendo affettivo, per cui la formula usuale del saluto greco (χαίρειν, «siate lieti», che appare bellissima ogni volta che venga risemantizzata) non basta più. Non è certo il caso di valutare sfavorevolmente questa sua esuberanza, come fa Maurach, che vi vede una ricercatezza lambiccata e un abbandono dei valori tradizionali” osserva Paduano272 ed in effetti il saluto cordiale e pieno di affetto è

conseguente alla βοηδρομία corale e si pone in netta opposizione rispetto all'accoglienza riservata ai vecchi contadini da parte dello schiavo Carione. Le intenzioni rivelate dalle parole di Cremilo sono nobili: l'interesse è infatti quello di mostrare cordialità e riconoscenza nei confronti dell'aiuto portato dai coreuti, ma in realtà sortiscono l'effetto della derisione dei contadini che nei fatti, come ha ben mostrato Carione nella scena precedente, si sono contraddistinti invece fin dall'inizio, per lentezza di movimenti e di comprensione.

Gli ultimi due versi sono poi impiegati dal contadino per l'esplicita richiesta di aiuto ai coreuti e segnano dal punto di vista dei rapporti scenici un'ulteriore precisazione del ruolo di supporto del coro ai fini della realizzazione del piano comico e riprendono quindi quanto anticipato ai versi 218-219 (πολλοὶ δ᾿ ἔσονται χἄτεροι νῷν ξυμμάχοι, | ὅσοις δικαίοις οὖσιν οὐκ ἦν ἄλφιτα “E avremo molti altri alleati, quanti tra gli uomini onesti che non avevano da mangiare”). Il sostegno nell'utopia è indicato dall'espressione συμπαραστάται ἔσεσθε, mentre l'ultimo verso (σωτῆρες ὄντως τοῦ θεοῦ)

rivela finalmente ai contadini il progetto per il quale viene richiesta la loro collaborazione, sebbene non chiaramente esplicitato negli aspetti pratici e concreti: mancano infatti effettivi riferimenti all'intento di guarigione dalla cecità e alle modalità con cui il protagonista intende procedere.

La sequenza σωτῆρες ὄντως τοῦ θεοῦ suona come una comica e dissacrante

distorsione dei rapporti fra la sfera umana e quella del divino273. Il tradizionale

topos religioso dell'intercessione e dell'intervento delle divinità nelle

vicissitudini umane è qui stravolto e ribaltato a fini comici: il dio Pluto, “un vecchio sporco, curvo, miserabile, rugoso, calvo, sdentato e per giunta anche circonciso” (πρεσβύτην τινα... ῥυπῶντα, κυφόν, ἄθλιον, ῥυσόν, μαδῶντα, νωδόν... νὴ τὸν οὐρανὸν καὶ ψωλὸν) ha bisogno dell'intervento di un gruppo di vecchi contadini spossati da una vita di miseria e privazioni, guidati da Cremilo, per essere guarito dalla cecità. In realtà il fine ultimo dell'azione comica non è la mera guarigione di Pluto, quanto piuttosto gli effetti del suo risanamento sulle vicende umane, ovvero una nuova e più giusta distribuzione della ricchezza che necessariamente apporterà anche un miglioramento delle

condizioni di vita degli artefici stessi della guarigione274.

Il recupero della vista avverrà comunque per intercessione di un altro dio (Apollo) e l'azione del contadino si limiterà dunque nei fatti alla persuasione del dio al tentativo di guarigione (vv. 95-215) e all'accompagnamento al tempio di Asclepio. Il tono paratragico assunto dalla missione del contadino già ai versi 215-217 (μὴ φρόντιζε μηδέν, ὦγαθέ. | ἐγὼ γάρ, εὖ τοῦτ᾿ ἴσθι, κἄν δῇ μ᾿ ἀποθανεῖν,/ αὐτὸς διαπράξω ταῦτα “Non ti preoccupare affatto, caro. Io stesso infatti, questo sappilo bene, anche se fosse necessario morire, porterò a compimento l'impresa”) è qui ribadito: le parole di Cremilo sono gonfie di

273 Lo stravolgimento del rapporto fra uomo e divinità si trova già ai versi 124-221 ed il gioco

comico basato sul ribaltamento di questi rapporti è al centro dell'intera scena di esaltazione e persuasione del potere di Pluto: per questo si veda Medda (2005).

274 Sono le parole di Carione ai versi 262-263: ὁ δεσπότης γάρ φησιν ὑμᾶς ἡδέως ἅπαντας |

ψυχροῦ βίου καὶ δυσκόλου ζήσειν ἀπαλλαγέντας “Il padrone dice infatti che voi tutti vivrete bene, una volta liberati da una vita fredda e difficile.”

retorica e impegnate a dare motivazioni e carica al gruppo di coreuti, sottolineando l'importanza della loro partecipazione, seppure in effetti essa non abbia alcun rilievo dal punto di vista del reale conseguimento del progetto. Per questo motivo il contadino chiude la frase con l'enfatico σωτῆρες ὄντως τοῦ θεοῦ nel quale la presenza dell'avverbio ὄντως risulta davvero efficace dal punto di vista comico: infatti dal mero punto di vista pratico la guarigione di Pluto sarà merito del sacerdote e del dio Apollo, non certo dei coreuti275.

La risposta dei contadini segna la piena adesione al progetto comico e la comunicazione di partecipazione è data con tono tragico e solenne, in linea con l'esposizione di Cremilo; infatti i contadini ai versi 328-331 dichiarano

θάρρει· βλέπειν γὰρ ἄντικρυς δόξει μ᾿ Ἄρη. δεινὸν γὰρ εἰ τριωβόλου μὲν εἵνεκα

ὠστιζόμεσθ᾿ ἑκάστοτ᾿ ἐν τἠκκλησίᾳ, αὐτὸν δὲ τὸν Πλοῦτον παρείην τῳ λαβεῖν.

“Coraggio: ti sembrerà di guardare in faccia Ares in persona.

Infatti sarebbe terribile accalcarsi ogni volta nell'assemblea per tre oboli, e poi abbandonare Pluto in persona in mani altrui.”

La prima frase rientra ancora nell'ambito tematico della βοηδρομία del coro e l'approccio dei vecchi contadini con Cremilo è il medesimo di quello con Carione: infatti in entrambi i casi essi intendono mettere in luce la solerzia e l'impeto della loro risposta alla richiesta d'aiuto. La battuta prende le mosse dagli ultimi due versi del discorso del contadino in cui viene esplicitato il progetto di guarigione del dio (ὅπως δέ μοι καὶ τἄλλα συμπαραστάται |

275 Al riguardo già Dillon (1984, p. 113) ha in passato osservato “...The chorus' help is not

ἔσεσθε καὶ σωτῆρες ὄντως τοῦ θεοῦ “Anche per il resto siatemi vicini e siate davvero la salvezza del dio”). L'esortativo θάρρει assieme all'espressione βλέπειν γὰρ ἄντικρυς δόξει μ᾿ Ἄρη ha la pretesa di mettere in luce la prontezza e il carattere impavido e pronto all'azione del coro e funge da incitamento per i coreuti stessi. La frase βλέπειν γὰρ ἄντικρυς δόξει μ᾿ Ἄρη,

dal sapore tragico276, ricorda in un certo qual modo la sequenza βλεπόντων

κάρδαμα (οὐκέτ᾿ εἰς μακράν, ἵν᾿ εἰδῆθ᾿ οἷός ἐστ᾿ ἀνδρῶν τρόπος / ὀξυθύμων καὶ δικαίων καὶ βλεπόντων κάρδαμα “non passerà molto tempo e conoscerete l'indole di uomini duri e giusti, dal feroce aspetto”) utilizzata dai coreuti in Vespe 455, ma espressioni simili si riscontrano anche altri passi

aristofanei277. L'intento anche in questo caso è quello di far risultare la propria

forza, facendo uso di un'espressione paradigmatica come quella dell'identificazione con il dio della guerra, con la risultante di un effetto comico paradossale. I contadini sono infatti tronfi ed eccessivi nella loro esposizione, mentre difettano nella capacità d'azione, dal momento che dal punto di vista pratico si distinguono per affaticamento e lentezza. Inoltre, non vi è qui alcuna necessità di un intervento armato e la situazione non ha alcuna coloritura tragica, se non quella che viene data dai contadini stessi a cui si richiede in buona sostanza una semplice adesione al progetto. In quanto segue ai versi 329-331 “il poeta comico prende... di mira la disaffezione alla politica e l'individualismo dei suoi concittadini, che partecipano all'assemblea non per dare il proprio apporto alle decisioni di interesse collettivo, ma per ottenere il

gettone di presenza”278, ma anche in questo caso è sottile il confine fra il reale

intento polemico del poeta e la beffarda derisione della solennità dei coreuti e di chi come loro si fa portavoce della tradizione dell'impegno civile.

276 Già Dindorf (1837, p. 35) segnalava il verso 368 fra quelli di “tragicum spiritum et numeris

et orationis colore”.

277 Per Vespe 455 vd. p. 25, n. 39; mentre per altre espressioni simili utilizzate da Aristofane si

veda Sommerstein (2001, p. 162) e Taillardat (1962, pp. 216-8).

278 Sono le parole della Torchio (2001, p. 151). Il tema ricorre già in vari passi delle Ecclesiazuse,

La battuta rimane isolata: non dà adito ad alcun dibattito e ciò ne amplifica l'eco di grandiosità e di eccessivo trasporto nel tono.

Cremilo non mostra più alcun interesse nei confronti di quanto affermato dai vecchi e la sua risposta (καὶ μὴν ὁρῶ καὶ Βλεψίδημον τουτονὶ | προσιόντα· δῆλος δ᾿ ἐστὶν ὅτι τοῦ πράγματος | ἀκήκοέν τι τῇ βαδίσει καὶ τῷ τάχει “Ma ecco che vedo Blepsidemo che si avvicina qui: è chiaro dal passo veloce che ha sentito qualcosa”) è rivolta ad un'altra contingenza, ovvero all' annuncio

dell'ingresso in scena di Blepsidemo279.

Tuttavia la mancanza di qualsiasi attenzione nei confronti delle parole del coro, dopo un'accoglienza calorosa e solenne, ed il repentino cambio di interesse, ora rivolto al nuovo arrivo, concorrono a isolare la battuta del coro e quindi a porre di nuovo sul piano del ridicolo e dell'eccessivo la figura dei contadini, ancora una volta divenuti con il loro atteggiamento di trionfia e tragica partecipazione ricca di pathos, macchiette comiche riuscitissime.

Dopo questo intervento il coro prende ancora la parola solo molti versi dopo, con una battuta arbitrale che apre come di tradizione, l'agone fra Penia e Cremilo. Si tratta dei due tetrametri anapestici dei versi 487- 488

ἀλλ᾿ἤδη χρῆν τι λέγειν ὑμᾶς σοφόν ᾧ νικήσετε τηνδὶ ἐν τοῖσι λόγοις ἀντιλέγοντες, μαλακόν τ᾿ἐνδώσετε μηδέν

“Ma ormai bisogna che diciate qualcosa di saggio con cui vincerete controbattendo a parole questa qui vincerete, e non sarete arrendevoli su niente”.

Penia, entrata in scena al verso 415, intende mostrare a Cremilo e Blepsidemo l'utilità della povertà e l'assurdità del progetto di guarigione di Pluto e quindi

279 Per l'arrivo in scena e l'attacco della battuta di Blepsidemo secondo il paradigma del

dell'arricchimento degli uomini, ma il contadino s'innervosisce e sembra non voler ascoltare le motivazioni di Penia. Per questo si rende necessario l'intervento dei coreuti, che da sostenitori e alleati, invitano comunque Cremilo al confronto e danno consigli per la buona riuscita dell'agone. L'atteggiamento proposto dai vecchi contadini è quello della saggezza (λέγειν ὑμᾶς σοφόν ) e dell'intransigenza (μαλακόν τ᾿ἐνδώσετε μηδέν) ed ancora una volta emerge dalle loro parole la fierezza e la pomposità dell'eloquio che stona con la mesta e dimessa figura emersa dalla descrizione e dalle osservazioni che di loro fa Carione nel contesto della parodo.

Dopo questo intervento, al coro è affidata la battuta dei versi 631-632 che segue l'ingresso in scena di Carione, di ritorno dal tempio di Asclepio, dove è avvenuta la guarigione del dio. Carione rientra con l'apostrofe ὦ πλεῖστα θησείοις μεμυστιλημένοι |γέροντες ἄνδρες ἐπ᾿ ὀλιγίστοις ἀλφίτοις, | ὡς εὐτυχεῖθ᾿, ὡς μακαρίως πεπράγατε, | ἅλλοι θ᾿ ὅσοις μέτεστι τοῦ χρηστοῦ τρόπου (“Voi, vecchi che alle feste di Teseo vi siete sempre accontentati di poca farina, come vi va bene, come siete fortunati! Voi e quelli che si comportano in modo onesto”), un saluto di gioia e giubilo proprio diretto al coro, di cui lo schiavo richiama le connotazioni distintive: povertà e onestà, che essi

condividono con il padrone Cremilo280. Ad esso i coreuti rispondono con due

versi che sono impiegati per dare l'attacco al racconto dei fatti accaduti al tempio (vv. 631-632):

τί δ᾿ ἐστίν, ὦ βέλτιστε τῶν σαυτοῦ φίλων; φαίνει γὰρ ἥκειν ἄγγελος χρηστοῦ τινος. “ Che ne è, carissimo, dei tuoi amici?

Infatti sembra che tu giunga messaggero di qualche buona nuova”.

La battuta non funge solo da anticipazione del racconto della guarigione del Dio, scena comica peraltro riuscitissima, ma anche da segnale per la parodia tragica: l'esplicita menzione del termine ἄγγελος nel secondo metron giambico dell'ultimo verso introduce infatti il modulo delle ῥήσεις ἀγγελικαί, che sta

alla base dell'intero racconto dei versi 653-770281.

Il servo rompe gli indugi e risponde alla domanda dei coreuti con ὁ δεσπότης πέπραγεν εὐτυχέστατα,

μᾶλλον δ᾿ ὁ Πλοῦτος αὐτός· ἀντὶ γὰρ τυφλοῦ ἐξωμμάτωται καὶ λελάμπρυνται κόρας, Ἀσκληπιοῦ παιῶνος εὐμενοῦς τυχών “Il padrone ha ottenuto la miglior fortuna,

ma ancora di più Pluto stesso: infatti da cieco che era gli è stata ridata la vista e gli brillano le pupille, poiché ha incontrato Asclepio guaritore benevolo”

Gli ultimi due versi, come afferma lo scholion vetus 635d282 sono una ripresa

letterale del Fineo di Sofocle (Fr. 710 R. ), rievocato per la contiguità tematica283:

281 Al riguardo Paduano (2002, p. 124, n. 103) osserva: “L'inizio del racconto di Carione sembra

ispirarsi ai moduli illustri del Botenbericht, il racconto del messaggero tragico a cui viene spesso delegato il compito di illustrare l'evento tragico determinate e/o conclusivo; ma non gli viene concesso il respiro ampio indisturbato che caratterizza appunto le ῥήσεις ἀγγελικαί: la moglie di Cremilo interviene frantumando il racconto con interventi da personaggio protatico, ma anche di humour- non sempre vivacissimo”. Cfr. anche Torchio (2001, pp. 186-188). Sul racconto dei fatti al tempio di Asclepio come parodia del rituale medico-religioso vd. Roos (1960), mentre riguardo alla guarigione di Pluto intesa come “rite de passage” cfr. Paradiso (1987).

282 Lo scolio riporta precisamente ταῦτα ἐκ τοῦ “Φινέως” Σοφοκλέους ἔλαβεν. Sul verso 636

più genericamente Dindorf (1837, p. 73) annota: “His quoque verbis sermonem tragicum imitatur”.

283 Sulla questione vedi anche van der Sande Bakhuyzen (1887, pp. 185-189), che parla per

questi versi non tanto di una ripresa letterale, quanto piuttosto esclusivamente tematica della tragedia sofoclea.

infatti nella tragedia il motivo della guarigione dalla cecità riguardava uno dei due figli del re tracio, accecati dal padre per vendetta contro la presunta violenza nei confronti della matrigna. In un contesto giocato sul pathos tragico come quello delle ῥήσεις ἀγγελικαί, modello della scena qui introdotta, è del tutto compatibile con la tecnica aristofanea che la notizia della guarigione del dio venga data dallo schiavo-ἄγγελος con un linguaggio solenne che richiama direttamente la tragedia.

Sullo stesso tono si pone la battuta dei coreuti, impiegata per l'esultazione gioiosa e la sympatheia nei confronti di quanto accaduto: la liricità del passo è affidata ai docmi λέγεις μοι χαράν λέγεις μοι βόαν (v. 637) e ἀναβοάσομαι τὸν εὔπαιδα καὶ |μέγα βροτοῖσι φέγγος Ἀσκληπιόν (vv. 639-640) che si

distinguono per la portata tragica284 e preparano lo stravolgimento e le punte

di forte comicità del racconto della notte al tempio.

Il coro interviene ancora ai versi 962-963, in risposta alla Vecchia abbandonata dal giovane amante. Questa, all'ingresso in scena, chiede informazioni ai coreuti con le parole:

ἆρ᾿ ὦ φίλοι γέροντες, ἐπὶ τὴν οἰκίαν ἀφίγμεθ᾿ ὄντως τοῦ νέου τούτου θεοῦ, ἢ τῆς ὁδοῦ τὸ παράπαν ἡμαρτήκαμεν; “Forse, o cari vecchi, siamo davvero giunti alla casa di questo nuovo dio,

oppure abbiamo sbagliato completamente strada?”

e si rivolge a loro con il vocativo ὦ φίλοι γέροντες. La sequenza recupera il

tratto distintivo fondamentale del gruppo ovvero quello della vecchiaia e dà adito alla replica dei vecchi, colpiti nel fondo della loro debolezza, che a loro volta utilizzano l'antifrastico ὦ μειρακίσκη per sottolineare e mettere in ridicolo l'avanzata età dell'interlocutrice.

Anche in questo caso l'attacco della scena, come segnala la Torchio, è paratragico: si ripropone infatti in chiave comica il modello degli ingressi in scena della tragedia in cui il messaggero o uno straniero chiedono

informazioni al coro su qualche personaggio285. Inoltre, la risposta dei

contadini funge da introduzione alla scena di derisione dell'amore della vecchia per il giovane approfittatore e anticipa la tematica su cui è giocata tutta la comicità del passo, ovvero l'irrisione dell'età avanzata della donna e la ridicolaggine dell'ostentazione del suo trasporto amoroso nei confronti del giovane. Nei due versi necessari per dare l'informazione topica il coro si serve ancora una volta di uno stile solenne, in cui inserisce gli spunti per la derisione dei versi successivi ovvero il carattere ὡρικῶς, ingenuo ed infantile dei modi della vecchia, dicendo

ἀλλ᾿ ἴσθ᾿ ἐπ᾿ αὐτὰς τὰς θύρας ἀφιγμένη, ὦ μειρακίσκη· πυνθάνει γὰρ ὡρικῶς

“ Suvvia, sappi che sei giunta proprio davanti alla sua porta, ragazzina: infatti fai domande in modo garbato”.

L'ultimo intervento corale compare alla fine dell'opera nel canto di esodo, con i tetrametri anapestici dei versi 1208-1209 che segnano l'uscita di scena:

οὐκ ἔτι τοίνυν εἰκὸς μέλλειν οὐδ᾿ ἡμᾶς, ἀλλ᾿ ἀναχωρεῖν εἰς τοὔπισθεν· δεῖ γὰρ κατόπιν τούτοις ᾄδοντας ἕπεσθαι

“E quindi anche per noi non è più il caso di indugiare, ma di ritirarci all'indietro: infatti bisogna tener dietro a loro cantando”.

Una volta entrato in teatro nella parodo, il coro anche se effettivamente non parlante, sarà comunque rimasto nell'orchestra per tutta la durata della rappresentazione, ben visibile per gli spettatori, come sembrano mostrare gli sporadici interventi ben distributi nel corso della commedia, con una partecipazione in tutte le scene salienti e cioè prima del confronto fra Cremilo e il sospettoso Blepsidemo (scena fondamentale per l'esplicitazione e l'approfondimento dell'utopia comica), poi all'interno dell'agone con Penia, quindi poco prima del racconto della guarigione di Pluto e infine in apertura della scena fra la vecchia e il giovane, secondo esempio degli effetti devastanti della nuova distribuzione della ricchezza.

Il coro, secondo quanto delineato nel corso della nostra indagine, mostra fin dal primo ingresso in teatro le connotazioni distintive dell'alleato, il cui contributo all'utopia comica si risolve però nella sostanza in un'adesione essenzialmente teorica e verbale, senza alcuna corrispondenza dal punto di vista pratico. Lo scarso spazio ad esso affidato dopo la parodo e nel corso

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