• Non ci sono risultati.

Quand il arrive qu’on s’en rende compte, ça vous tourne le cœur et tout se met à flotter […] Voilà la nausée.

[Tutto è gratuito, questo giardino, questa città, io stesso. E quando vi capita di rendervene conto, vi si rivolta lo stomaco e tutto si mette a fluttuare […]. Ecco la nausea]

Jean-Paul Sartre, La Nausée, 1938

86 La Città di Latta e la Città di Vetro Utopie e distopie della metropoli brasiliana contemporanea 87

Parte I. La metropoli brasiliana tra favelizzazione e sviluppo III Crisi. Ideologia e sradicamento urbano. Dittature ed esplosione demografica

Quella nausea sartriana(28) che si prova quando a forza di ripetere

continuamente una cosa, essa perde di significato, e l’esistenza si rivela per la sua gratuità e totale mancanza di senso. Essa è scaturita in questo caso dal medesimo meccanismo di riproduzione in serie innescato dalla

commodificazione (29) della cultura consumistica del XX Secolo, denunciata

con forza da intellettuali e artisti proprio in quegli anni (si pensi ad esempio alle opere di Andy Warhol). L’individuo appare sperduto e disgustato dal mondo e da tutti gli oggetti che lo circondano. Appare quanto mai evidente come l’economicità richiesta per un’operazione del genere si sia sposata appieno con l’obiettivo del regime di appiattire e di omologare il Popolo così da soffocarne psicologicamente qualsiasi pensiero fuori dall’ordine stabilito. L’omologazione esclude la possibilità di auto-espressione del sé. L’incupimento della città conduce all’incupimento della persona stessa. Una volta di più - dall’utopia catto-socialista della comunità di Conselheiro a Canudos(30) all’ideale visione “haussmanniana” di Pereira Passos(31) - la

metropoli è cresciuta sospinta da chimeriche aspirazioni che hanno cercato in maniera più o meno violenta di cambiare la forma della città e con essa la vita dei suoi abitanti. Le rimozioni del regime (centomila persone sradicate dalle proprie case tra il 1968 e il 1975 solo a Rio de Janeiro) hanno tentato di standardizzare il pensiero, nella speranza di creare una società ideale gerarchicamente organizzata come un esercito che giura fedeltà al proprio generale. Le urbanità proposte dalle autorità dittatoriali sono a tutti gli effetti dei “luoghi di coercizione”, caricaturale copia di quelle teorizzate dal già citato Le Corbusier appena pochi anni prima. In effetti perfino le utopie “originali” a lungo andare hanno mostrato di avere diversi punti deboli. A proposito della città proposta dall’urbanistica progressista del Jeanneret, il sociologo Lewis Mumford in The Marseille Folly (“La Follia di Marsiglia”, 1963), argomenta che l’utopica città modernista del progettista elvetico “con le sue dimensioni arbitrarie, il modo in cui priva gli abitanti di qualsiasi possibilità di isolamento, il suo fallimento nell’utilizzazione della luce naturale, offre una perfetta dimostrazione delle condizioni procustee che cominciano a regnare sull’architettura moderna. Come l’antico oste greco, l’architetto della città radiosa ricorre alla violenza per piegare gli esseri umani alle dimensioni inflessibili del suo edificio monumentale”(32). Non

28 Sartre J.P. (1948), La nausea, trad. Bruno Fonzi, Collana “I Coralli” n.13, Giulio Einaudi Editore, Torino

29 Cfr Introduzione. Né-Né. La città contemporanea da tre miliardi di abitanti

30 Cfr Capitolo 1.1 I Crisi. Urbanità ideali e degenerazioni. Attecchimento della Città di Latta 31 Cfr Capitolo 1.2 II Crisi. Imitazione e metamorfismo tropicale

32 Mumford L. (1963), ‘The Marseille Folly’ in: The Highway and the City, Greenwood Press, New York; pagine 53-56

poco critico nei confronti di Le Corbusier, in The Marseille Folly Mumford sembra ammiccare a un concetto di dicotomica contrapposizione tra utopia e ideologia affondante le proprie radici negli assunti del sociologo Karl Mannheim (1893-1947). Questi, ebreo ungherese che aveva egli stesso vissuto sulla propria pelle il dramma della dittatura, avendo dovuto riparare in Inghilterra per sfuggire al regime nazista, chiarisce la netta distinzione tra i due concetti di ideologia e di utopia. Entrambe sono delle “visioni del mondo” (Weltanschauungen), ma mentre la prima è espressione dei “gruppi dominanti”, che quindi hanno l’interesse al mantenimento dello status quo, l’utopia è invece ad appannaggio delle “classi dominate”, che spinge verso il cambiamento. “Il concetto di ideologia“, scrive Mannheim, “riflette una scoperta che è venuta emergendo dalla lotta politica; vogliamo alludere alle convinzioni e alle idee dei gruppi dominanti, le quali sembrano congiungersi così strettamente agli interessi di una data situazione da escludere qualunque comprensione dei fatti che potrebbe minacciare il loro potere. Con il termine ideologia noi intendiamo così affermare che, in talune condizioni, i fattori inconsci di certi gruppi nascondono lo stato reale della società a sé e agli altri e pertanto esercitano su di esso una funzione conservatrice”(33). L’utopia invece, per quanto sia caratteristica

fondamentale di individui poco concreti e rimandi ad un’irrazionale chimera, rimane comunque l’unica dimensione intellettuale capace, proprio in quanto atto creativo, di emancipare l’uomo dal “mito razionalista” che riconduce tutto alla prassi e al meccanicismo: “La completa sparizione dell’elemento utopico del pensiero e della prassi dell’individuo verrebbe a dare alla natura e allo sviluppo dell’uomo un carattere radicalmente nuovo. La scomparsa dell’utopia porta a una condizione statica in cui l’uomo non è più che una cosa. Ci troveremmo allora dinanzi al più grande paradosso immaginabile: al paradosso, cioè, che l’individuo proprio in quanto ha conseguito il massimo livello di razionalità nel controllo della realtà, resta senza ideali e diviene una pura creatura impulsiva”(34).

L’ideologizzata politica rimozionista dei gorillas ebbe ad ogni modo scarso successo, considerando l’incessante ritmo di crescita degli agglomerati a-gerarchici dagli anni della dittatura ad oggi (nel 1980 la popolazione in “aglomerados subnormais” era del 3,56%, con un aumento anno per anno fino al 6,01% del 2010; [Tabella 1]; Fonte: IBGE). Le ragioni sono state sia di natura economica sia sociale.

33 Mannheim K. (1957), Ideologia e Utopia, Il Mulino, Bologna, 1957; pagina 41 34 Mannheim K. (1957), op. cit.; pagina 42

Parte I. La metropoli brasiliana tra favelizzazione e sviluppo III Crisi. Ideologia e sradicamento urbano. Dittature ed esplosione demografica

Rio de Janeiro 1950

Brasile

1980 Brasile1991 Brasile2000 Brasile2010

Aglomerados subnormais - milioni2,3 5,1 milioni 7,9 milioni 15,8 milioni Numero di persone Totale abitanti brasiliani (migliaia) 1.948 62.391 80.885 169.799 190.756 Percentuale abitanti/favelados % 9,0 3,6 5,0 3,8 6,0

Dal primo punto di vista, la costruzione di nuove abitazioni si è dimostrata non al passo col costante incremento di popolazione, quindi incapace di fronteggiare i ritmi sostenuti dei flussi migratori dalle zone più povere del Brasile fino alle maggiori conurbazioni.

In secondo luogo, le condizioni dei lavoratori(35), già precarie durante

le presidenze democratiche di Kubitschek e Goulart, subirono dopo il golpe un ulteriore peggioramento, non essendo più supportate da una base sindacale in difesa degli operai, in quanto dure furono le misure di repressione dei militari nei confronti dei movimenti di tutela dei lavoratori, accusati di “sovversivismo” (Rodrigues, 1986). Ciò ha fatto sì che l’alto costo della vita in città fosse poco sostenibile per la popolazione meno abbiente. Per gli ex-favelados i canoni di locazione dei nuovi alloggi, così come le semplici utenze domestiche (in favela l’allaccio alla rete elettrica era - ed è tutt’ora - in larga parte abusivo, quindi nei fatti non oneroso) sono diventati delle spese difficili da sostenere e ciò ha indotto molte persone a cedere in subaffitto l’abitazione e a tornare nella favela, con una piccola rendita extra. È stato però quello socio-culturale l’aspetto che probabilmente più di ogni altro ha inciso sul fallimento delle politiche rimozioniste e ha portato la più recente azione politica a un approccio del tutto nuovo (36).

I governi, sia quelli democraticamente eletti sia non, hanno fallito nello sforzo di comprendere che la favela è sì sorta come conseguenza immediata di condizioni di povertà estrema, ma col passare del tempo si 35 Il golpe militare del 1964 ha avuto tra le prime vittime i sindacati e i loro maggiori rappresentanti. Dopo un decennio caratterizzato da un certo dinamismo nel movimento operaio, la repressione at- tuata dai gorillas fu capillare e portò a un costante peggioramento delle condizioni dei lavoratori, che sfociarono in esasperate proteste come quella della SAAB-Scania del 1978 o come lo sciopero negli zuccherifici del Pernambuco del 1979. Si legga a tal proposito l’articolo di Estevez A. & Teixteira M.A. (2015), Le conseguenze del golpe del 1964 sul movimento sindacale brasiliano, in Diacronie, Studi di storia contemporanea, numero 24, 4, Bologna

36 Cfr Capitolo 1.4 Replicabilità e alienazione della forma urbana. Politiche di crescita e crisi del luli- smo

[Tabella 1] Evoluzione demografica negli “agglomerati subnormali” in Brasile dal 1980 al 2010 (prima del 1980 gli unici dati disponibili sono quelli afferenti a Rio de Janeiro – 1950). Fonte: IBGE – Instituto Brasileiro de Geografia e Estatistica

è trasformata in una condizione di vita fortemente identitaria, generando nei propri abitanti un intimo senso di appartenenza alla comunità. Non si tratta più di un semplice agglomerato di baracche disposte con la logica del “si costruisce dove c’è spazio”, ma è cresciuto come un mondo a sé con i propri colori, suoni e tradizioni. Una cultura raccontata dai mass- media occidentali attraverso gli immancabili luoghi comuni come samba- capoeira-calcio-carnevale, ma che è strutturata anche sulla sostanza fatta di sincretismo religioso tra cattolicesimo e animismo africano e di peculiarità linguistiche che allontanano il dialetto del popolo dal portoghese puro. Quando una comunità riesce ad esprimere tutto questo e a radicarsi così tanto nella personalità dei propri abitanti, essa non è più un’entità urbana ma diventa, piuttosto, un’idea. Al di là delle vicende macroeconomiche e degli episodi storici, il fallimento della politica della “stigmatizzazione del popolo” del regime dittatoriale e delle sue braccia rimozioniste (il CHISAM o il COHAB SP, ad esempio) è dovuto proprio all’ingenuità con cui il governo ha affrontato la questione. Sradicare e imporre a una comunità dei quartieri- dormitorio con unità abitative ripetute all’infinito tutte uguali a se stesse ha rappresentato l’affronto dato dall’identico – si perdoni il calembour- all’identità. Un attacco peraltro condotto tramite la solita accoppiata ruspe/

tabula rasa che non brilla neanche particolarmente per fantasia.

Il rimozionismo ha dunque fallito perché ha plagiato il senso di appartenenza alla collettività, aspetto che è stato invece compreso e valorizzato in alcuni -rari- interventi decisamente più riusciti rispetto agli anonimi conjuntos tipo Vila Kennedy (RJ) o Cidade Tiradentes (SP). Ci si riferisce a due importanti complessi residenziali realizzati a Rio de Janeiro tra il 1947 e il 1958 ad opera di Affonso Eduardo Reidy: il Conjunto Residencial Prefeito Mendes de Moraes (meglio noto come Pedregulho) e il Minhocão da Gávea [Immagine 41]. Reidy è stato a tutti gli effetti un pioniere del moderno brasiliano, cui seppe dare un’impronta carioca in evoluzione rispetto alla cultura europea che d’altro canto conosceva assai bene (nacque a Parigi nel 1909 e lavorò per il francese Alfred Agache autore del piano urbanistico di Rio negli anni Trenta). Il contributo che ha portato alla formazione di un linguaggio brasiliano è di assoluta centralità, probabilmente anche superiore a quello della celebratissima triade Costa/Niemeyer/Burle-Marx rispetto alla quale spesso la letteratura pare metterlo -immeritatamente- un gradino al di sotto. Nei progetti residenziali sopraccitati, Reidy si ispira e perfeziona gli assunti di Le Corbusier realizzando una piccola parte dell’utopico immeuble-viaduc che lo svizzero aveva proposto proprio per Rio de Janeiro: c’è il tema del grande segno, il gesto forte che domina e allo stesso tempo si integra con la tormentata orografia fluminense; c’è la “macchina per abitare” fatta di residenze private e di spazi collettivi; ci sono pilotis, finestre a nastro e tetto- giardino (ma solo nel complesso di Gávea, 1958). Oltre ai pregi in termini di linguaggio architettonico, il Pedregulho e il Minhocão mostrano una forte

91

Utopie e distopie della metropoli brasiliana contemporanea

Replicabilità e alienazione della forma urbana. Politiche di crescita e crisi del lulismo

90 La Città di Latta e la Città di Vetro

Parte I. La metropoli brasiliana tra favelizzazione e sviluppo

1.4 Replicabilità e alienazione della forma urbana