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L’arrivo di Kim Ki-duk agli occhi del pubblico occidentale

IL RAPPORTO TRA KIM KI-DUK I MEDIA, LA CRITICA E I FESTIVAL CINEMATOGRAFICI

III.1 L’arrivo di Kim Ki-duk agli occhi del pubblico occidentale

Bisogna prima di poter utilizzare l’inflazionato termine di “autore” considerare quelli che sono i contesti che fanno da intermediario tra il cinema coreano e il mondo occidentale: i festival cinematografici e le rassegne d’essai sono infatti le principali possibilità per il pubblico occidentale di venire a contatto con le opere asiatiche. Sebbene oggi il nome del regista sia ormai consacrato nella cinematografia mondiale è il periodo tra il 2003 e 2004 a cavallo tra Primavera, estate, autunno, inverno… e

ancora primavera e Ferro 3 che vede ampiamente aumentare l’ammirazione da parte

del pubblico europeo e americano. Riferendosi in particolar modo al primo film: “Durante una proiezione al Lincoln Center vi fu una donna sulla ottantina, americana e piuttosto pallida che rimase a lungo dopo il termine della proiezione; chiese allo staff se poteva farle incontrare il regista per poterli stringere la mano, quando ci incontrammo mi ringraziò per averle permesso di vedere un così bel film prima morire”25.

Con un pubblico di quasi 400.000 spettatori negli Stati Uniti e 2.5 milioni di dollari di incasso per il proprio distributore (Sony Pictures Classic) Primavera, estate, autunno,

inverno… e ancora primavera vede solo trentamila spettatori nel paese natale e una

richiesta successiva talmente bassa da pregiudicarne la distribuzione sul mercato in formato DVD. Nella conferenza stampa per il suo tredicesimo film, Time, Kim Ki-duk esprime frustrazione per la continua negligenza e mancato interesse del pubblico coreano verso i suoi film:

“Spero che duecentomila persone vengano a vedere Time in Corea del Sud. Più di trecentomila persone per Primavera, estate, autunno, inverno… e

25 Canavese, Peter. “Kim Ki-duk 3-Iron.”Groucho Reviews, Aprile 25, 2005. http://www.grouchoreviews.com/interviews/118 (ultima visione 5 maggio 2019)

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ancora primavera in America e duecentomila persone per Ferro 3 sia in

Francia che in Germania26.

Nonostante la paura per la mancata eventuale commercializzazione dei propri film in terra natale (i detentori dei diritti erano infatti investitori stranieri) il suo film Time fallisce nell’impresa portando a solo tredicimila spettatori. Nella sua intervista del 13 giugno 2005 a Time Out risponde a quali potevano essere i motivi per l’insuccesso in patria:

“Realizzo film che io stesso vorrei vedere. Il motivo per il quale i coreani non guardano i miei film è perché non vogliono vedere i film che io vorrei vedere”27.

Il motivo per il quale le rassegne d’assai siano invece così interessate a dei film così commercialmente e scarsamente apprezzati in madre patria è da ritrovarsi nella storia dell’accoglienza ricevuta dai film est asiatici in America. Fu all’inizio degli anni ’50 e per tutto il corso degli anni ’60 che iniziano ad arrivare i film di Akira Kurosawa, Kenji Mizoguchi e Yasujiro Ozu nel canone cinematografico apprezzato anche dagli occidentali; le opere di questi registi cominciano a fare la loro comparsa all’interno di varie rubriche riguardanti cinema d’autore e arti filmiche. Tra gli anni ’80 e ’90 arrivò l’ingresso della quanta generazione di cineasti cinesi come Zhang Yimou e Chen Kaige e portano a livello internazionale l’apprezzamento per la loro estetica esotica aprendo nuovi temi come quello del nascente “orientalismo” capace di trainare interesse verso i paesi dell’asia28. Più recentemente l’influenza maggiore dell’est asiatico sembra aver portato alla ribalta la considerazione per un “cinema estremo”. Sebbene sia difficile dove l’appellativo di “cinema estremo” sia stato cognato per la prima volta è comunque possibile ricondurre l’utilizzo per scopo di marketing da parte di Hamish McAlpine, fondatore della britannica e ora defunta Tartan Films, nonché creatore della linea “Asia Extreme” nel 2002 con la quale distribuì numerosi film asiatici di genere

26 Chŏng, Sŏng-gi. "Ch'ungmuro's Success Code Is 'More Cruel': What Is Kim Ki-duk Doing Recently?".

Break News, Agosto 17, 2010.

27 "Film Q&A: Kim Ki-duk". Time Out, 13 giugno, 2005, pp. 84.

28 Chow, Rey. Primitive Passions: Visuality, Sexuality, Ethnography, and Contemorary Chinese Cinema. New York: Columbia University, 1995.

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horror, thriller ed erotico nel mercato inglese e americano29. Sotto una commercializzazione che faceva del proprio appeal la violenza e il sensuale esotismo asiatico vennero distribuiti alcuni dei maggiori autori: Kurosawa Kiyoshi, Takashi Miike, i fratelli Pang, Fruit Chan, Kim Ki-duk e Park Chan-wook; il connubio tra la disturbante ma avvincente e violenta narrativa spesso equamente mischiata a poetica e sensibilità visiva doana uno notevole slancio di interesse da parte del pubblico occidentale. Il volto di un cinema estreme costruito dalle case distributrici occidentali, critici e pubblico sembra tuttavia essere una sommaria descrizione incapace di soffermarsi sul differenza di ogni singolo paese asiatico. Possiamo considerare questa definizione una classificazione per puro scopo di marketing ma in qualche modo capace di adattarsi al nascente desiderio del consumatore occidentale di qualcosa di estremo:

“il nome della collana così come il nome della marca stessa è realmente capace di evocare negli occidentali l’affresco di un cinema strano ma bello, sublime e grottesco”30.

Riguardo le incessanti controversi che circondano Kim Ki-duk in patria e all’estero il Museum of Modern Art appoggià la sua intera opera produttiva nella primavera del 2008 dimostrando come la Corea potessi finalmente disporre di un proprio autore nel panorama cinematografico capace di superare i limiti di confini nazionali. Questa azione portò tuttavia Kim Ki-duk ad essere considerato il “Kurosawa coreano” derivativo di un modo di fare cinema giapponese o cinese al quale avrebbe avuto il solo merito della diversa provenienza nazionale. Un discorso ancora aperto che sembra voler ridurre e decentrare l’idea di un piccolo nucleo di grandi autori e registi classici americani capaci di settare standard irraggiungibili per paesi asiatici. Nonostante le accuse di essere una versione coreana del cinema cinese a giapponese Kim Ki-duk proviene da un contesto autodidatta ed esterno a quelle che poteva essere le grandi istituzioni cinematografiche quali Toho Studio e Beijing Film Accademy rispettivamente case di produzione di Kurosawa e Zhang. Kim Ki-duk a differenza dei su

29 Shin, Chi-Yun. “Art of Barnding: Tartan ‘Asian Extreme’ Films”. Jump Cut: A Review of Contemporary

Media 50. https://www.ejumpcut.org/archive/jc50.2008/TartanDist/ (ultima visione 5 maggio 2019) 30 Ibidem.

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citati registi operava in un espressivo campo “semi-astratto”31 staccandosi dai mondi realistici e diegetici di Zhang e le storie classiche di Kurosawa. Per quanto le differenze possano essere palesemente evidenti altrettanto è evidente il merito di quanto siano state introdotte al mondo il genere dei film sui samurai, i drammi storici e il cinema estremo da questi tre autori. Si tratta solo della punto dell’orientalismo cinematografico che inizia ad invadere i gusti degli occidentali a partire dagli anni ’50. Ai drammi di Kim Ki-duk possiamo avvicinare di film di diverso genere quali horror di Hideo Nakata Ringu (1998), The Eye (2002) di Oxide Pang Chun e Danny Pang, il thriller psicologico di Takashi Miike Audition (1999), la fantascienza di Natural City (2003) tutti accostabili al classificazione di cinema estremo ma che presentano la fusione tra brutalità e profondità narrativa. Possiamo considerare il thriller psicosessuale L’isola (2002) come un esempio di come sia possibile correre il rischio di vedere la violenza viscerale dei alcune scene distogliere l’attenzione dal profondo significato in esso rinchiuso.

Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera uno dei punto di maggiori

successi per l’autore con il quale vinse il premio per la miglior fotografia nel 2004 al Grand Belle Awards di Taeojongsang include una scena profondamente autobiografica nel penultimo capitolo ovvero inverno. La scena vede una ex monaco condannato per omicidio tornare nell’idilliaco tempio fluttuante sul lago setting principale del film; questi è interpretato dal regista stesso. Nella scena che vede l’ex carcerato allenarsi portando una grossa pietra in cima ad una montagna circostante il lago e possibile scorgere l’interno panorama sottostante, cima sormontata da una enorme statua di pietra raffigurante Buddha. Una scena particolarmente significativa perché ben rappresenta il percorso di vita fatto dal regista: la propria ascesa non solo come regista ma anche riguardante la sfera artistica e personale. Esattamente come il protagonista del film il regista prima di ascendere alla fama di autore di livello mondiale ha dovuto superare numerose e duri ostacoli raggiungendo una posizione impensabile per la proprio classe sociale. Da vittima di bullismo e violenza domestica, sfruttato operario

31 Kim Ki-duk definisce semi-astratto l’anello di congiunzione tra realtà e fantasia e pone Ferro 3 come il miglior esempio di questo concetto. Rivière, Danièl, Kim Ki-duk. Parigi: Dis Voir, 2006.

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di fabbrica, soldato condannato dalla corte marziale, vagabondo per le strade europee, sceneggiatore autodidatta senza famiglia, educazione o raccomandazioni necessarie per aver successo in corea, Kim sembra essere riuscito a superare tutte queste difficoltà che non gli hanno impedito ma anzi hanno reso degna di menzione la propria scalata alla vetta.