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L’ARTE DELLA LANA E DELLA SETA A VERONA

DA COMMERCIANTI DI STOFFE A PROPRIETARI TERRIER

12. L’ARTE DELLA LANA E DELLA SETA A VERONA

“… Si potevano vedere belle stoffe che facevano parte del vestito funebre. Nel loro complesso i broccati si presentano ancora immuni dal tempo ed alcuni tratti di essi sembrano appena svolti dalle pezze di un mercante di drapperie, presente Cangrande, e riguardo allo stile, i fregi di taluni broccati si riferiscono in parte al mondo islamico, quali le iscrizioni e le palmette rifiorite; altri alla Cina, quali i draghi, le coppie di anitre e il motivo a reticolo che sembra derivato dal simbolo buddaico ts’ien …”. Questa descrizione delle vesti di Cangrande della Scala, così come apparivano alla riesumazione del 1921, è tratta dalla Storia di Verona di Giovanni Solinas; l’autore del volume ha voluto quindi sottolineare nelle fogge e nei disegni dei tessuti l’influenza dell’Oriente, ovviamente giunta a Verona attraverso i commerci di Venezia con quelle terre lontane.

Dalla produzione e dal commercio delle stoffe diverse famiglie veronesi – tra le quali figura, non ultima, la casata dei Balladoro – trassero fortune economiche di tutto rispetto; ma l’Arte della tessitura (soprattutto della lana) aveva già al tempo della Signoria scaligera una tradizione plurisecolare ed un notevole sviluppo in città, favorita dalla presenza del fiume Adige che garantiva la forza motrice necessaria a tale attività. Già nel 923 infatti il vescovo Raterio riferiva della produzione di lana fine a Verona e la Domus Mercatorum, sorta nel 1210, era destinata all’inizio solo a quest’Arte. Il periodo d’oro di questa attività coincide effettivamente con l’epoca della dominazione scaligera: lungo le rive del fiume, dei suoi piccoli affluenti e dei canali, fervono le lavorazioni che coinvolgono nella produzione di panni pregiati circa un terzo della popolazione attiva. Tant’è il lustro e il beneficio economico per Verona che

Mastino II nel 1351 concede a tutti coloro che esercitano il mestiere di tessitore la facoltà di poter operare senza l’obbligo di essere iscritti ad una corporazione.

Dopo aver subito i primi trattamenti nei laboratori lungo il fiume tutti i panni passano obbligatoriamente da Porta Vescovo per il controllo fiscale e vengono bollati col marchio della Domus Mercatorum; ora la stoffa è pronta per le ultime lavorazioni e per la garzatura. Fatta costruire da Cangrande nel 1363, la Sgarzeria comprendeva tredici laboratori distinti da un proprio simbolo, ben attrezzati ed efficienti.

Infine nelle cosiddette “stationes” (le botteghe in piazza Erbe) i panni finiti e contrassegnati con l’effige di San Zeno e con il motto dei garzatori vengono esibiti in attesa dell’esportazione (soprattutto verso il nord Europa). Tutto il ciclo produttivo della lana di Verona, che fornisce drappi e panni pregiati di prima e seconda scelta, è quasi autonomo, grazie al territorio tenuto a pascolo e alla manodopera specializzata.

La peste del 1362, che si diffonde nel momento di massima fioritura, uccide un terzo della popolazione e rallenta l’attività; ma questa si riprende e si riafferma durante il primo secolo di dominazione veneziana. Nel 1493 sono 11.235 i panni prodotti - limite massimo noto - mentre al termine del XVI secolo essi risultano appena 823 e la lana utilizzata solo per confezionare cappelli, mentre numerosissimi artigiani si trasferiscono nel mantovano e nel cremonese. La decadenza prosegue inesorabile: 300 pezze soltanto vengono registrate nel 1630, mentre nei primi anni del XVIII secolo tutte le antiche botteghe – compresa la gloriosa loggia delle Sgarzerie – sono in liquidazione, affittate o adibite ad altri usi.

Diversa invece l’evoluzione dell’attività serica: pur essendo presente in Italia sin dal XII secolo, l’allevamento del baco da seta giungerà a Verona solo verso la metà del XIV secolo ad opera di una società costituita proprio allo scopo di promuovere l’Arte della seta. Vi è notizia certa di un filatoio

in città all’inizio del 1400, mentre le piantagioni di gelso su larga scala sono dovute all’impulso proveniente dalla Serenissima, che favoriva in tutte le terre di suo dominio l’allevamento del baco.

Ben presto quindi il territorio di Verona diventa un buon produttore di seta cruda, ma non sviluppa parallelamente un’industria manifatturiera di livello adeguato (a differenza di quanto era accaduto con la lana), soprattutto a causa dei vincoli protezionistici che pongono dei limiti al prodotto finito, ma anche per l’opposizione della nobiltà terriera, che diffida di una potenziale classe mercantile alla quale sarebbe costretta a ricorrere. In ogni caso Venezia esige per sé la produzione di seta e accentra tutta l’esportazione tramite il monopolio, che si riserva a partire dal 1457. Due anni più tardi un bolognese introduce in Verona un filatoio ad acqua di nuova concezione, con il quale si potrebbero realizzare tessuti serici di pregio. Questo tentativo di ammodernamento viene però osteggiato dai veronesi, che ottengono la demolizione dell’impianto.

E’ invece proprio l’adozione di questi nuovi mezzi che permette a Rovereto di costituire una delle migliori industrie seriche d’Europa, pur non essendo grande produttrice di materia prima. I filatoi veronesi lavorano perciò solo una piccola parte della seta prodotta perché la rimanenza viene esportata in Trentino e nei Paesi di lingua tedesca; inoltre il prodotto confezionato nella città scaligera consiste di manufatti di seta grezza che necessitano di ulteriori rifiniture, alle quali provvedono le manifatture di Ala e Rovereto. La metà del XVI secolo vede un grande aumento della produzione e nel 1556 nasce la corporazione dell’Arte; dieci anni dopo operano a Verona ben 88 maestri di tessitura e funzionano 230 filatoi, mentre circa 20.000 sono gli addetti complessivamente impiegati nella provincia. Per una serie di circostanze, sia economiche che politiche, e anche a causa di malattie che colpiscono il baco, verso la fine del 1800 si concretizza il progressivo e definitivo declino di questa attività, avviato purtroppo già da tempo; comunque l’allevamento del baco e la produzione di seta grezza continuano

nel Veronese fino al secondo dopoguerra, coinvolgendo un discreto numero di addetti anche nel paese di Povegliano.

I proprietari di terreni piantati a gelso – tra cui i Balladoro – traevano guadagni notevoli grazie alle foglie che servivano all’alimentazione dei bachi: la redditività di tali piantagioni era infatti decisamente superiore a quella degli appezzamenti coltivati estensivamente con cereali e foraggi, stando alle valutazioni dei periti ottocenteschi.1 85 A conferma di ciò giova

ricordare che nella prima metà dell’Ottocento, quando i Balladoro vendettero alcune strisce di terreno attorno alle teste e ai canali delle risorgive, si riservarono molto spesso la proprietà dei gelsi presenti su quei terreni; nel 1840 concessero l’autorizzazione a sradicare quattro piante di gelso onde allargare la strada che portava al ponte delle Roverine, ma si fecero rifondere il valore di tali alberi in ragione del loro reddito, non in base al legno derivante dai tronchi.18 6 I bachi da seta venivano allevati

anche in alcuni ambienti di Villa Balladoro, come attestano i registri ottocenteschi conservati nell’archivio familiare, sui quali venivano annotate le spese annuali relative all’allestimento delle bigattiere.1 87

185 Si veda per esempio in E. FILIPPI, cit, p. 172.

186 E. FILIPPI, cit., p. 169.