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ARTE E PEDAGOGIA CRITICA

Par. 1. Contro l’industria culturale: l’arte ermetica come educazione alla coscienza critica.

Nel capitolo precedente si è avuto modo di constatare che ciò che induce Adorno a valorizzare le creazioni dell’arte moderna è il fatto che nella sostanza più intima di queste ultime, vale a dire nella loro stessa struttura formale, le norme estetiche tradizionali vengano completamente sgretolate. Ora, è evidente che una caratteristica del genere tenda a rendere più difficile la comprensione di tali creazioni da parte del pubblico, in particolare da parte delle masse dominate dall’industria culturale, per le quali le regole convenzionali della tradizione si presentano come leggi naturali. Ciò fa sì che gran parte della produzione artistica moderna assuma (volontariamente) un aspetto ermetico, il che le ha arrecato da più parti, fin dal suo apparire, l’accusa di elitarismo ed esoterismo. A parere di Adorno, tuttavia, l’ermetismo che contraddistingue le opere d’arte moderne solo in apparenza le renderebbe esoteriche: al contrario, per il filosofo di Francoforte sarebbe proprio il loro carattere ermetico, analizzato in profondità, a consentire alle creazioni artistiche d’avanguardia di svolgere una fondamentale funzione pedagogica nella società odierna: proprio questo carattere, infatti, renderebbe l’arte moderna capace di contribuire alla formazione di una coscienza autonoma, davvero razionale. Ma seguiamo il discorso fatto da Adorno su questo argomento.

Secondo lo studioso francofortese, nella società contemporanea domina in modo incontrastato la forma di comunicazione immediata imposta dai mass-media, i quali portano alle sue conseguenze più estreme e deleterie l’ideale della chiarezza – esso stesso posto in dubbio da Adorno – propugnato dalla filosofia borghese da Cartesio fino a Wittgenstein. Già in questo ideale di per sé Adorno vede esprimersi la pressione affermativa della società, il trionfo del positivo, di quella norma borghese che pretende di ricondurre a sé ogni pensiero, riducendo il linguaggio a mera raffigurazione dei fatti, a mera ripetizione di ciò che già è, alienando così la comunicazione. Dice Adorno in proposito: “Ancora Wittgenstein ripete il dogma del Discorso sul metodo cartesiano, che il più semplice […] è più ‘vero’ del composto, e che quindi è a priori opportuno ricondurre al semplice ciò che è più complicato. In effetti la semplicità è per gli scientisti un criterio del valore della conoscenza sociologica”1.

Si diceva, poi, che per Adorno l’industria culturale fa proprio ed estremizza siffatto modello di comunicazione, imponendolo alle masse e disabituandole così allo sforzo della riflessione“Chi è cresciuto interamente sotto le condizioni dell’industria culturale al punto che questa è diventata per lui una seconda natura, non ha, praticamente, né la capacità né la volontà di pervenire a conoscenze che concernano la sua struttura sociale e la sua funzione”2.

I difetti della dominante logica scientistica si riflettono quindi anche nel comportamento quotidiano degli uomini, fino agli aspetti apparentemente più insignificanti della maniera di comunicare fra di essi: “il modo di esprimersi e di gesticolare degli ascoltatori e degli spettatori è penetrato dagli schemi dell’industria culturale, fino a sfumature a cui nessun metodo sperimentale di indagine è finora in grado di giungere

1 T. W. Adorno, Scritti sociologici, cit., pag. 284. Alla critica dell’idea positivistico-borghese di chiarezza è dedicato praticamente tutto il saggio di Adorno “Skoteinos, ovvero come si debba leggere, l’ultimo dei Tre studi su Hegel (cfr. in part. pp. 142-157), dal quale non a caso nell’ambito del presente paragrafo sarà ripreso più di un brano.

[…]. Il modo in cui una ragazza accetta e assolve il suo date obbligatorio, il tono della voce al telefono e nella situazione più familiare, la scelta delle parole nella conversazione e l’intera vita privata […], attestano lo sforzo di fare di se stessi l’apparecchio adatto al successo, conforme, fin nei suoi moti più istintivi, al modello rappresentato dall’industria culturale”3, la quale, come Adorno dice in un’altra occasione, costituisce “l’istanza che fissa e consolida la coscienza nelle sue forme esistenti, nello status quo spirituale”4.

Nel corso di una lezione sul concetto di filosofia, inoltre, il teorico della Scuola di Francoforte asserisce che il linguaggio stesso viene pervertito dalla società delle merci, che lo impronta di sé fin nella sua struttura più intima, tanto che “il linguaggio che ‘si rivolge all’uomo’ si rivolge di fatto al cliente. Ciò che deve essere comunicato non gli viene in realtà partecipato; nel migliore dei casi gli si danno in mano parole d’ordine o testi pubblicitari”5. Un fatto, questo, che per Adorno assume un aspetto ancor più negativo poiché a suo parere “in verità la lunghezza o brevità della proposizione è identica alla lunghezza o brevità del pensiero”6. Egli giunge così alla conclusione che “tutto quanto oggi si chiama comunicazione, senza eccezione, è solo il rumore che soverchia il mutismo dei bloccati dal sortilegio. Le spontaneità dei singoli, ormai anche in molti casi quelle presuntamente opposizionali, sono condannate alla pseudoattività, potenzialmente alla stupidità”7.

L’opinione pubblica è totalmente eterodiretta8; la comunicazione, per dirla con Heidegger, si riduce a “chiacchiera”; sempre in maniera simile a Heidegger, che

3 M. Horkheimer e T. W. Adorno, op. cit., pag. 181. 4 ID, Scritti sociologici, cit., pag. 12.

5 Ivi, pag. 54.

6 T. W. Adorno, Il concetto di filosofia, cit., pag. 57. 7 ID., Dialettica negativa, cit., pag. 313.

8 In un’ottica teorica che si colloca ancora appieno nel solco dell’insegnamento adorniano, un’analisi critica precisa e dettagliata dell’opinione pubblica eterodiretta (o “non-pubblica”), prodotta nell’epoca contemporanea dalla situazione socio-economica e dalla manipolazione

constata il predominio del “Si” (Man) nell’esistenza inautentica9, Adorno osserva che in base al modello di comunicazione oggi dominante, “si deve parlare come tutti parlano e […] si deve rinunciare a dire ciò che sarebbe altrimenti e si dovrebbe dire solo altrimenti”10; l’individuo, la cui coscienza nel mondo amministrato “diviene sempre più […] un semplice momento di transizione nel circuito della totalità”11, per cui esso è ormai ridotto a “spazio scenico”12, ad “appendice dell’apparato”13, può essere considerato, come si esprimerebbero in questo caso il “secondo” Heidegger e i pensatori strutturalisti, più un essere “parlato” che un essere parlante: su questo punto la differenza fra le rispettive visioni di Heidegger o di un Lacan da una parte e quella di Adorno dall’altra consiste esclusivamente nel fatto – certamente non di poco conto – che il filosofo francofortese non considera lo status attuale del pensiero individuale e della comunicazione una caratteristica intrinseca alla natura umana, ma bensì il prodotto negativo di una specifica situazione storico-sociale, e come tale modificabile.

Ebbene, una reale opposizione alla vigente situazione sociale di dominio non può che partire dalla messa in luce – e dalla conseguente critica – delle distorsioni che contraddistinguono la forma di comunicazione da quella situazione generato (una forma di comunicazione che a sua volta concorre al persistere dello status quo). Pertanto il movimento dialettico della riflessione filosofica, a cominciare dalla sua stessa

mass-mediatica, è compiuta dal giovane Habermas (cfr. J. Habermas, Storia e critica dell’opinione pubblica, Laterza, Bari 1971, in part. pp. 246-263 e 292-293).

9 Cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, a cura di F. Volpi, Longanesi, Milano 1971, riedito in: “I grandi filosofi: Heidegger”, vol. 30 della serie, in part. la sezione 27, dedicata al tema del Si (pp. 407-412) e la sezione 35, dedicata alla “chiacchiera” (pp. 455-458).

10 T. W. Adorno, Tre studi su Hegel, cit., pag. 137. 11 ID., Prismi, cit., pp. 17-18.

12 T. W. Adorno in: M. Horkheimer e T. W. Adorno, i seminari della Scuola di Francoforte, trad. it. F. Mangione, FrancoAngeli, Milano 1999, pagg. 81 e 86.

terminologia, deve costituire “un movimento critico nei confronti della lingua parlata quotidiana”14.

Occorre perciò opporsi, per Adorno, anzitutto all’ideologia della semplicità, osservando che una società complessa può essere realmente conosciuta nella sua struttura più profonda solo attraverso una riflessione concettuale altrettanto complessa e profonda: “l’orientamento dominante condanna lo stesso pensiero alla semplicità. Eppure quella scienza sociale che esprime il carattere complesso del processo di produzione e di distribuzione è chiaramente più feconda della scomposizione nei singoli elementi della produzione che ha luogo nelle inchieste sulle fabbriche, su singole società, singoli lavoratori e simili […]. Per sapere cos’è un lavoratore bisogna sapere che cos’è la società capitalistica […]. Quando Wittgenstein fonda il suo metodo sulla tesi: ‘Gli oggetti formano la sostanza del mondo. Perciò non possono essere composti’, egli si uniforma, con l’ingenuità storica tipica del positivismo, al razionalismo dogmatico del XVII secolo”15, vale a dire, ancora una volta, ad un razionalismo di tipo cartesiano. Il fine dell’attività conoscitiva deve essere, secondo Adorno, la penetrazione concettuale della struttura dell’oggetto da conoscere e non l’immediatezza della comunicazione di quanto conosciuto. La complessità del percorso concettuale che si è compiuto per giungere a una conoscenza, poi, deve necessariamente riflettersi su una comunicazione che voglia esserne un’adeguata esposizione. Per non essere deformata e falsa, cioè, la stessa comunicazione deve adeguarsi alla disciplina della riflessione concettuale: “Criterio del vero non è la sua comunicazione immediata ad ognuno. Si deve opporre resistenza alla costrizione quasi universale a scambiare la comunicazione del conosciuto con quest’ultimo e magari valutarla più di esso, mentre oggi ogni passo in favore alla

14 T. W. Adorno, Terminologia filosofica, trad. it. A. Solmi, Einaudi, Torino 1975, vol. I, pag. 28.

comunicazione svende e falsifica la verità. Di tale paradosso soffre ormai tutto ciò che è linguaggio”16.

La semplificazione di un pensiero al fine di renderlo immediatamente comunicabile a tutti, operata seguendo i modelli linguistici imposti dall’industria culturale – si pensi a molti pamphlet scientifici divulgativi tanto in voga nell’editoria odierna –, annacqua immancabilmente il contenuto di quel pensiero, se non lo falsifica del tutto17. Ora, a tal proposito Adorno osserva come in una società dominata dalla comunicazione mass- mediatica, che educa le masse alla riflessione semplice e immediata, riducendo così al minimo lo sforzo intellettivo necessario per la comprensione di un oggetto -; in una società del genere, si diceva, qualsiasi discorso che, pur di restare fedele alla cosa conosciuta, non si adegui a quel modello di comunicazione, viene tacciato di elitarismo ed esoterismo.

Risulta significativa, al riguardo, la difesa che Adorno attua della filosofia di Hegel, nei confronti della quale, appunto, viene sovente avanzata l’accusa di esoterismo. Nel corso di una lezione sulla terminologia filosofica, il teorico della Scuola di Francoforte asserisce che “uno dei più diffusi fraintendimenti nei confronti di Hegel […] riguarda proprio l’idealismo speculativo, che viene interpretato come se la sfera dell’idea o della speculazione […] fosse una specie di pensiero privilegiato; come se ci fossero determinate persone che in certo modo per un dono speciale […] fossero in grado di far muovere dentro di sé l’idea, mentre altre, meno dotate, non ne sarebbero capaci”18. Contro questa lettura, Adorno sostiene invece che Hegel “non si propone affatto di sviluppare, nella filosofia, certe facoltà speciali e se possibile esoteriche che sarebbero precluse ad altri mortali […]. In tutta la filosofia di Hegel non c’è un solo passo che non potrebbe essere condiviso da chiunque non ne fosse preliminarmente impedito da certe

16 ID., Dialettica negativa, cit., pag. 37-38.

17 Come si è avuto modo di constatare in precedenza, questo è il principale rilievo che Adorno muove nei confronti del teatro impegnato di Brecht.

resistenze interne e da un determinato tipo di pregiudizio scientistico; appunto perché Hegel non postula affatto una facoltà speciale o una speciale dote filosofica”19.

In linea con questi pensieri, per di più, nei Tre studi su Hegel Adorno si dichiara d’accordo col seguente giudizio, favorevole, formulato da Hegel sulla presunta oscurità del pensiero di Eraclito: “l’oscurità di quella filosofia deriva principalmente dal fatto d’aver espresso un profondo pensiero speculativo; questo è sempre difficile e oscuro per l’intelletto, la matematica invece è molto facile. Il concetto, l’idea, ripugna all’intelletto”20.

A parere di Adorno la filosofia hegeliana a molti appare oscura perché il pensiero dialettico non si arresta alle determinazioni dell’intelletto astratto, cioè all’osservazione delle datità particolari, immediate e separate, ma mira bensì a conoscere il proprio oggetto nella sua reale concretezza, a coglierne, attraverso la “mediazione” concettuale, il rapporto di “mediazione”, di interrelazione dialettica, con l’intero in cui esso si dà21. Di conseguenza, per il pensatore francofortese, “quella mancanza di chiarezza che gli [a Hegel] viene reiteratamente rinfacciata, non è mero difetto di forza, ma è anche principio di correzione della non-verità del particolare, di quella non verità che si confessa come non-chiarezza del singolo”22.

Il fatto che il pensiero dialettico imponga una riflessione che non si accontenta di quanto si dà immediatamente a un’osservazione passiva, una riflessione che dunque si presenta come un’attività concettuale faticosa e complessa, non vuol dire in alcun modo che esso possa essere appannaggio esclusivamente di pochi individui, dotati di facoltà superiori al comune: nella Fenomenologia dello Spirito, anzi, Hegel tiene a distinguere recisamente la sua idea di filosofia, che egli intende quale lavoro del concetto, quale sviluppo razionale fondato sulla fatica dell’apprendimento, e dunque accessibile a tutti,

19 Ivi, vol. II, pag. 489.

20 G. W. F. Hegel, cit. in: T. W. Adorno, Tre studi su Hegel, cit., pag. 149. 21 Su questo cfr. per es. ID., Terminologia filosofica, vol. I, pp. 26-28. 22 ID., Tre studi su Hegel, cit., pp. 151-152.

da ogni filosofia del genio, cioè dall’idea di un preteso sapere inteso come “esoterico possesso di alcuni individui”23. Pertanto, è solo il fatto che nelle masse odierne sia inculcata (da parte dell’industria culturale) l’idea di un sapere semplice e immediato, a far passare per esoterico qualsiasi pensiero che imponga, quale condizione necessaria per giungere a una conoscenza che voglia dirsi realmente tale, “la serietà, il dolore, la pazienza e il travaglio del negativo”24, vale a dire, in altri termini, lo sforzo dello studio, la fatica dell’apprendimento.

Ebbene, se c’è un aspetto della filosofia hegeliana che Adorno fa interamente proprio, questo è appunto la visione secondo cui una conoscenza che voglia dirsi realmente tale debba richiedere, necessariamente, il “lavoro del concetto”25. Nei Minima moralia, precisamente nell’aforisma “Morale e stile”, dedicato per intero al tema che ora si sta discutendo, il teorico della Scuola di Francoforte, nel ribadire concetti espressi anche in altri passi già citati sopra, propone in modo esplicito l’ideale hegeliano dello sforzo del concetto (Anstrengung des Begriffs) contro il modello di comunicazione dominante nel mondo contemporaneo, che tiene in odio quell’ideale, come del resto ogni pensiero che fuoriesca dagli schemi, dalla norma dominante: “Tener d’occhio, nell’espressione, la cosa, anziché la comunicazione, è sospetto: lo specifico, ciò che non è tolto a prestito dallo schematismo, appare irriguardoso, quasi sintomo di astruseria e confusione […]. L’espressione rigorosa strappa un’accezione univoca, impone lo sforzo del concetto, a cui gli uomini vengono espressamente disabituati, e richiede da loro, prima di ogni contenuto, una sospensione dei giudizi correnti, e quindi il coraggio di isolarsi, a cui resistono accanitamente. Solo ciò che non ha bisogno di essere compreso passa per

23 G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, trad. it. E. De Negri, La Nuova Italia, Firenze 1993, vol. I, pag. 10.

24 Ivi, vol. I, pag. 14.

comprensibile; solo ciò che, in realtà, è estraniato, la parola segnata dal commercio, li colpisce come familiare”26.

In base a quest’analisi Adorno, nell’opporsi al “comando vago e brutale che impone la chiarezza”27, dice che “la comunicazione imposta dal mercato [...] grava sul linguaggio in modo tale che questo, per contrastare il conformismo di quello che il Positivismo chiama ‘linguaggio quotidiano’ liquida di forza la comunicazione. Esso preferisce diventare incomprensibile che non deformare le cose con una comunicazione la quale impedisce di metterle in comunione”28.

Nel concludere il discorso sulla critica adorniana all’idea positivistico-borghese di chiarezza, è opportuno precisare, a scanso di equivoci, che siffatta critica non vuole certo costituire un elogio della confusione. Ben cosciente del rischio di essere frainteso, Adorno precisa perciò che “non si può rozzamente trascurare l’esigenza di chiarezza, a evitare che la filosofia cada in uno stato di confusione e distrugga le proprie possibilità. Ciò che è da salvaguardare sarebbe l’obbligo che l’espressione colga esattamente la cosa espressa, anche quando questo contrasta per suo conto alla veduta corrente di un qualcosa da esporre chiaramente”29.

In sostanza, l’autore dei Tre studi su Hegel considera poco “chiari” proprio i pensieri che non vadano al di là della “chiarezza” dei dati immediati, colti passivamente dal soggetto, e quindi non realmente conosciuti da quest’ultimo.

Detto questo, osserviamo ora come le idee di Adorno fin qui esposte nel presente paragrafo si riflettano in modo coerente nell’estetica del filosofo francofortese: ad avviso di quest’ultimo, infatti, un’opera d’arte che voglia farsi portatrice di una reale critica dell’esistente deve essere incomunicabile, ermetica: “nel quadro del totale accecamento sociale ha il suo giusto luogo sociale solo ciò che bandisce la

26 ID., Minima moralia, cit., pag. 112-113. 27 ID., Tre studi su Hegel, cit., pag. 153. 28 Ivi, pp. 152-153.

comunicazione [...] Nella misura in cui oggi sia desiderabile la comunicazione, l’ingresso dell’opera d’arte nell’ambito extraartistico, essa dovrebbe entrare in collisione con la comunicazione stessa e non rispettarne le condizioni”30.

E’ poesia realmente critica quella che sottrae anche il linguaggio al livello cui è degradato dalla comunicazione pubblicitaria e mass-mediatica: “A volte il contenuto sociale di un’opera risiede, per esempio di fronte a forme di coscienza convenzionali, irrigidite, proprio nella protesta contro la ricezione sociale; anzi, a partire da un certo momento storico, da individuarsi verso la metà del secolo XIX, per le creazioni autonome è addirittura la regola”31.

Per Adorno, quindi, “le creazioni artistiche ermetiche criticano il vigente più di quelle che per amore di una critica sociale comprensibile si dedicano ad un’opera di conciliazione formale e riconoscono tacitamente come valido l’esercizio della comunicazione, fiorente in ogni dove”32.

Anche da questo punto di vista, nell’estetica critico-dialettica adorniana assume un valore di primo piano la dissonanza, quale espressione paradigmatica di rottura con le forme linguistiche reificate che caratterizzano il sistema di comunicazione dominante. Adorno sottolinea perciò favorevolmente, assieme a Horkheimer, che “oggi, la dissonanza è spinta all’estremo; e questo conferisce al preteso momento asociale dell’arte moderna un significato specifico. Essa è, intanto, ancor sempre pietra di scandalo nel bel mezzo della società attuale e della sua vita uniformata, e provoca l’ira della ‘normalità’, che proprio così tradisce qualcosa della sua falsità”33.

Sulla base di questa concezione, Adorno si oppone anche ai tentativi di spiegazione delle opere d’arte moderne, se la spiegazione, in modo analogo alla terapia filosofica

30 ID., Immagini dialettiche, cit., pag. 277. 31 ID., Parva aesthetica, cit., pag. 96.

32 ID., Teoria estetica, cit., pag. 245. Qui Adorno manifesta ancora una volta le ragioni del suo dissenso nei confronti della teoria dell’arte impegnata e dell’arte realistica.

33 M. Horkheimer e T. W. Adorno, Lezioni di sociologia, trad. it. A. Mazzone, Einaudi, Torino 1966, pag. 121.

proposta dal “secondo” Wittgenstein contro i concetti metafisici, ha lo scopo di riportare quanto espresso da quelle opere al livello della comunicazione quotidiana, cancellando così la sostanza critica ad esse intrinseco: “il concetto di comprendere non è applicabile con spensieratezza a un testo ermetico. Essenziale ad esso è lo choc con cui interrompe violentemente la comunicazione. L’abbagliante luce dell’incomprensibilità con cui tali creazioni colpiscono il lettore getta sulla consueta comprensibilità il sospetto dell’insipidezza, dello smussamento, della reificazione […]. Tradurre in concetti e nessi correnti ciò che si manifesta come straniero in opere qualitativamente moderne sa un po’ di tradimento”34.

Giacomo Manzoni, nell’introdurre in Italia un testo adorniano fondamentale per l’argomento che qui si sta discutendo, Il fido maestro sostituto, ha sostenuto che di tale tradimento sarebbe complice, suo malgrado, lo stesso Adorno: l’analisi della musica moderna da lui compiuta costituirebbe infatti in ogni caso un tentativo di spiegazione, la

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