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Su «Vie nuove», dunque, il 23 novembre 1961 (conservato nel Fondo alla segnatura GD. 8.2.7) sarebbero apparse, sotto titolazione redazionale (Un li-

bro di Rafael Alberti / Spagna tragedia senza tempo di Giuseppe Dessí) – ma ac-

compagnate sul quadernetto di autografi da uno schizzo specifico a quelle lega- to – le uniche pagine di Dessí che parlano esplicitamente della Spagna, ove si eccettui l’eco lunga, perdurante, e il rimorso che intreccia fin dall’inizio con la tragedia spagnola (a partire dall’incidente adolescenziale dell’Introduzione alla

vita) la storia del personaggio più amato (Giacomo Scarbo), votato, per corag-

giosa elezione, a morire in Spagna combattendo con le brigate internaziona- li20. Valga dunque riprodurre qui per intero quel testo introvabile, accompa- gnato da disegni significativi tracciati velocemente a lato, che provano quan- to forte, e fortemente autobiografico, anche, dovesse essere stato il complessi- vo coinvolgimento:

Quando Rafael Alberti scriveva il lungo racconto Miliziani a Ibiza (che l’editore Parenti pubblica ora nella traduzione di Dario Puccini) aveva 34 anni ed era appena uscito dall’esperienza della guerra civile. Era al colmo della giovinezza e, al tempo stesso, nella piena maturità. Perché se è vero quello che alcuni sosten- gono, che in Spagna i giovani rimangono giovani più a lungo, che la giovinezza si prolunghi indefinitamente nella vita dell’uomo come un alibi felice, è anche vero il contrario, e cioè che nella giovinezza di quegli stessi uomini si dia il caso di ritrovare i segni di un’esperienza matura e profonda. Ma, a parte queste

19 Alla c. 10 v. troviamo uno schizzo di navi, alla c. 17 v. quello di barche e alberi. 20 Come il romanzo I passeri suggerisce.

considerazioni, è certo che le esperienze di quegli anni intensissimi maturarono Rafael Alberti senza togliere alla sua poesia la freschezza e la forza genuina che erano piaciute a Juan Ramón Jiménez. In lui, come in García Lorca, la straordi- naria evidenza dell’immagine, che sembra venir fuori di getto da una ispirazione immediata, è frutto sì di questa ispirazione ben riconoscibile, ma quando torna a bagnarsi nella sua corrente ha già fatto tre volte il giro del mondo. Nei suoi

Ritratti di contemporanei (Il Saggiatore, Milano 1961) Alberti scrive, a proposito

di Federico García Lorca: «… Federico era il cante (poesia del suo popolo) e il

canto (poesia colta): era cioè Andalusia, dello jondo (del profondo) popolare, e

insieme tradizione saggissima dei nostri vecchi canzonieri. Sebbene in quasi tut- ti i poeti contemporanei del Sud, con Antonio Machado e Juan Ramón Jiménez alla testa, si possa ritrovare questa medesima venatura, questo recuperato filo d’acqua trasparente, è García Lorca quello che con maggiore forza e continuità rappresenta siffatta linea».

È parlando degli altri che, a volte, i poeti rivelano i segreti della propria poesia, specie quando le affinità sono profonde, come nel caso di Rafael Alberti e di García Lorca.

Nelle prose e nel racconto drammatico che in questo volume sono raccolti sotto il titolo che Dario Puccini ha ricavato dalla prima di esse, gli spunti che, a prima vista, potrebbero sembrare autobiografici in senso stretto nascono invece dalla fusione di elementi che si riferiscono ora alla vita reale di Rafael, ora a quella di Federico. E il personaggio autobiografico che si chiama Javier in Miliziani a Ibi-

za, Braulio in Si sono gelate le palme, Gabriel in Da un momento all’altro, nasce

da questa sintesi poetica.

Quando si sparse la notizia che Federico García Lorca era stato assassinato, gli amici, quasi contro ogni evidenza, continuavano a sperare; e Rafael ricevette una telefonata. «Era – egli scrive – un’altra voce, più impressionante, perché più vicina a Federico, quasi la sua, che mi assicurava…»: «Non è vero. Non è vero. Non fate nulla. So benissimo che Federico è nascosto ed è in salvo». Si trattava della sorella di Lorca, la più piccola e la più cara al poeta, che non si rassegna- va, che non accettava la realtà: ostinata, ingenua, appassionata e cieca. Non si può fare a meno di pensare ai personaggi del dramma Da un momento all’altro, quando, alla fine del terzo atto, il giovane Gabriel sta per essere ucciso la voce di Araceli, la sorella minore, la più cara al poeta (ché anche Gabriel è un poeta), suona con lo stesso accento di terrore e di inspiegabile ostinazione: «madre: Che

pena questo ragazzo! Che debbo fare, mio Dio? – araceli: Mamma, non preoccu- parti se Gabriel questa notte non dovesse tornare…». E la morte stessa di Gabriel,

ucciso dai suoi ex-amici, che approfittano della guerra civile appena iniziata per dare sfogo al proprio odio, non somiglia forse alla morte di Lorca? D’altra parte, il personaggio di Gabriel, così come quello di Javier, come quello di Braulio, ricordano da vicino Rafael, la sua infanzia, la sua giovinezza.

Questa forma autobiografica composita e ricca permette allo scrittore di calarsi nell’intimo della società spagnola, come se parlasse di se stesso e della propria famiglia: una società così ferma, così sorda, così irrimediabilmente legata al passato, che anche nell’intimo della casa, di fronte alle persone più care, alla propria madre, ai fratelli, alle sorelle, chiunque sia volto all’avvenire, chiunque

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CASALS, ALBERTI E LA SPAGNA

senta urgere un bisogno di giustizia, non può fare altro che pensare alla frattura più violenta e definitiva, alla rivoluzione. Leggendo questi racconti scritti da un poeta che riesce a contenere nella prosa lucidissima la forza della sua lirica, si capisce almeno una delle ragioni per cui questo popolo, eroico e appassionato, sopporta da tanti anni la dittatura franchista: solo con la rivoluzione, col sangue, si potrebbe sradicare il fascismo, abbarbicato come un cancro e oramai confuso a tutto ciò che dovrà cadere con lui. E la rivoluzione dovrebbe cominciare in ogni casa, in ogni famiglia. Braulio sa che nell’odio contro i fascisti deve met- tere «una parte della sua famiglia». Il suo migliore amico è stato ucciso in casa sua, dai suoi stessi fratelli. «Sì, devo dedicarmi a odiarli. Tutti. Senza eccezione. Accada quel che accada» (Si sono gelate le palme). E i due popolani rivoluzionari, Pablo e il Pescatore, quando i familiari si stringono attorno al corpo esanime di Gabriel, che i compagni hanno riportato a casa, li considerano con distacco e tristezza. Non con pietà, ché anzi nel loro distacco vi è anche una punta di sprezzo, ma con una tristezza consapevole: «pablo: Ecco qui una famiglia spagno-

la. – pescatore: Una tragedia di Spagna» (Da un momento all’altro).

La stessa famiglia, certamente, che, per consiglio del confessore, defrauda il vec- chio Tomas (o Tommaso, all’italiana) Alberti, prozio dello scrittore, colto al volo in punto di morte, come un piccione, dal solerte gesuita. «Il vecchio zio garibaldino, grazie al cielo militante della Compagnia di Gesù, riposava ora per sempre, privo della sola medaglia con la quale sarebbe disceso pieno d’orgoglio nella terra» (Lo zio garibaldino).

Questa è la tragedia della Spagna. Tragedia viva e attuale ancora oggi, anche se il vecchio violoncellista Pablo Casals, che aveva solennemente promesso di non suonare mai più nei Paesi che avessero riconosciuto il governo franchista, ha accondisceso a suonare alla Casa Bianca per Jacqueline. Nulla è cambiato. È di pochi giorni la notizia che il ministro della Giustizia di Franco ha rifiutato di ricevere la delegazione internazionale per l’amnistia ai detenuti politici spagnoli. Ma io credo che il vecchio Pablo Casals abbia suonato con la speranza o l’illusio- ne di arrivare indirettamente, con la voce del suo strumento, dove la delegazione internazionale non è arrivata.

4. La paura di dimenticare

Non c’è bisogno di fare ricorso alle lettere o alla testimonianze di amici co- muni (Varese in primis) per sapere che Giorgio Bassani, dopo avere favorito tra- mite i suoi incarichi editoriali la pubblicazione o riedizione di alcune opere di Dessí (Il disertore, San Silvano…)21, sostenne allo «Strega» con convinzione pro- fonda Paese d’ombre, l’ultimo libro compiuto di un amico che, là dove lui ave- va trovato la ragione di una vocazione (si pensi all’importanza della testimo- nianza sulla diaspora ebraica e sulla persecuzione, allo «scrivo perché ci se ne

21 Ma per un tracciato delle tangenze tra i due e per la storia di una complessa amicizia si

ricordi…»22), aveva fatto, proprio dell’impegno ridotto negli anni 30-40, la fon- te di un duraturo rimorso23. Da sanare gradualmente, con il passare del tempo, almeno con la scrittura. Con quella dei libri a venire (dove avrebbe dovuto esse- re centrale la figura di Giacomo Scarbo24 e il suo sacrificio) o con quelli in cor- so, soprattutto con I passeri, che lo aveva/avrebbe25 portato a parlare del perio- do della seconda guerra mondiale, mettendo in scena oltre tutto, nel delirio del vecchio Conte Scarbo e nel mesto brusio del paese, la notizia della scomparsa di un figlio caduto combattendo per la repubblica spagnola26.

Se non è un caso che la dedica apposta alla copia dell’edizione Nistri Lischi dei Passeri inviata a Bassani27 riportasse la citazione di un adagio di Una notte del

’4328 che parlava di una voce ‘invisibile’ che si rivolge alle coscienze per ricordare l’orrore di quello che tutti vogliono dimenticare («Eppur talvolta, sebbene mol- to di rado qualcosa accade»), era fatale che il tema del ricordo subito intrecciato all’oblio (ne troviamo la genesi in un prezioso appunto inedito dei diari, che si cita in clausola) toccasse la lettura di un libro (Miliziani a Ibiza) che, sullo sfon- do della musica, sulla e con la quale era nato alla conoscenza, portava a riflettere sull’impegno e sul tradimento, sulle promesse fatte ai morti e a se stessi, su quel- lo che l’inconscio serba e di nascosto restituisce (magari a costituire un ideale al-

ter ego), a dispetto di ogni momentaneo accomodamento, di ogni dimenticanza:

22 Cfr. per questo, oltre alle testimonianze d’autore raccolte in Di là dal cuore (Milano, Mon-

dadori), Giorgio Bassani. Una scrittura della malinconia, e, in quel libro, la bellissima intervista bassaniana, Meritare il tempo.

23 Cfr., tra le altre, una lettera ad Anna Dolfi del 19 novembre 1973: «Giacomo […] avrebbe

dovuto abbandonare il dolce rifugio di Olaspri, il padre e la matrigna per andare ad arruolarsi nelle brigate internazionali e morire in Spagna […]. Giacomo è quello che io avrei voluto essere e non sono stato, una specie di mio ideale alter ego» (la lettera è riprodotta nell’introduzione/ nota al testo della Scelta, il romanzo incompiuto, pubblicato postumo – a cura di Anna Dolfi, nel 1978, anno successivo alla morte dell’autore –, per spiegare la storia di un desiderio, mai narrato compiutamente, che avrebbe dovuto essere affidato proprio a quelle ultime pagine narrative).

24 Si vedano per questo la ricostruzione e le note che accompagnano l’edizione della Scelta. 25 Vale la pena ricordare al proposito le due edizioni in volume del libro (per altro anticipato

a puntate in rivista), che si collocano ai due estremi di un arco decennale al cui centro (o quasi) si trova il pezzo su Miliziani a Ibiza di Alberti (cfr. G. Dessí, I passeri, Pisa, Nistri-Lischi, 1955; Milano, Mondadori, 1965).

26 Della presenza della guerra di Spagna nella narrativa di Dessí si è ricordato Luciano Curre-

ri, in un libro che ne cerca la presenza soprattutto in Sciascia e nella narrativa dell’ultimo quindi- cennio (Le farfalle di Madrid. L’«Antimonio», i narratori italiani e la guerra civile spagnola, Roma, Bulzoni, 2007; Mariposas de Madrid. Los narradores italianos y la guerra civil española. Traducción de Malena Manrique y José Joaquín Blasco, Zaragoza, Prensas Universitarias de Zaragoza, 2009).

27 Conservata alla Fondazione Bassani di Codigoro (ma in quanto tale già schedata da Mi-

caela Rinaldi, Le biblioteche di Giorgio Bassani, Milano, Guerrini e Associati, 2004) ed esposta in una mostra ferrarese (Giorgio Bassani. Il giardino dei libri) dedicata dall’ottobre al dicembre del 2010 ai libri di Giorgio Bassani.

28 Il racconto stampato da Bassani nel marzo 1955 su «Botteghe oscure» e poi raccolto nel

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CASALS, ALBERTI E LA SPAGNA

Roma, 16 nov[embre] 1961

Ieri sera sul video è apparsa per pochi istanti l’immagine del grande violoncel- lista Pablo Casals, che, dopo tanti anni, ha acconsentito a suonare alla Casa Bianca. Aveva fatto promessa solenne di non suonare più in quei paesi che aves- sero riconosciuto il regime franchista. / Sto leggendo Miliziani a Ibiza di Rafael Alberti nella traduzione di Dario Puccini (ed. Einaudi29), e stamattina mettevo mentalmente in relazione alcuni episodi narrati dallo spagnolo con l’immagine e l’episodio visti ieri sera, senza però riuscire a ricordarmi il nome del musicista. / A un tratto, il nome è riaffiorato, ma indipendentemente, almeno in apparen- za, dai miei pensieri, come per conto suo, tanto che mi sono chiesto a chi mai appartenesse il nome di Pablo Casals. Solo dopo un poco ho rimesso assieme le parti frammentarie di questa operazione mentale. / Spesso ciò che impedisce la memoria è la paura di non ricordare – paura che mi ha ossessionato per tutta la vita. Credo che la mia memoria lavori nelle regioni sotterranee dell’inconscio, mentre sul piano della coscienza è debole e discontinua30.

29 L’editore, come si è visto, era invece Parenti.

30 I testi del diario del 1961 sono stati pubblicati dalla Firenze University Press (G. Dessí,

Diari 1952-1962. Trascrizione di Franca Linari. Introduzione e note di Francesca Nencioni,

SCRIVERE DI LÀ DAL CUORE

For Stranger - Strangers do not mourn - There be Immortal friends

Whom Death see first […]

Emily Dickinson, Poesie 6451 1. Ai margini delle soglie

Genette, e con lui Weinrich, ci hanno insegnato che le soglie dicono mol- to dei libri, e, che, a prestarvi attenzione, perfino le più denotative si caricano spesso di significati aggiunti. Se così è, non può sfuggire il fatto che i titoli delle opere di Bassani si collocano, da questo punto di vista, in una serie di gruppi di- stinti. A una netta propensione per i titoli rematici (che definiscono un genere), usati normalmente per i contenitori più ampi (Le cinque storie ferraresi; Le storie

ferraresi; Il romanzo di Ferrara) – ma con il bisogno sempre di accostare alla ti-

pologia narrativa (storie, romanzo; inclusive di oggetti diversi, e con un proprio nome-tema) una declinazione ‘aggettivale’ che introduce un luogo e con quello inevitabilmente il cronotopo, e all’inizio e alla fine del proprio percorso narra- tivo (ferraresi, Ferrara) – ne abbiamo altri che utilizzano tematicamente, in ma- niera allusiva, la sineddoche per parlarci del libro. È il caso degli Occhiali d’oro, che non solo individuano tramite un oggetto d’uso uno dei due protagonisti, ma rimandano anche alla sua cultura e collocazione sociale; o quello dell’Airo-

ne, che sposta su un uccello, per forza di equivalenze e correlativi, un ruolo as-

sai più complesso di quello, prevedibile, di una preda ripetutamente presente in una battuta di caccia. Giacché il gioco di corrispondenze tra Edgardo Limentani e la buffa e fragile bestia a cui stranamente assomiglia, destinata come lui a mo- rire per un colpo di fucile in una fredda giornata invernale che pone fine a un’i-

1 «Per uno sconosciuto – gli sconosciuti non piangono – / Vi sono amici immortali / Che

la morte vede prima» (secondo la traduzione di Massimo Bacigalupo: Emily Dickinson, Poesie, a cura di Massimo Bacigalupo, Milano, Mondadori, «Oscar Grandi classici», 1995, p. 241).

nutile sofferenza, ad un vano cercare, consente al lettore consapevole di allargare il «titre nominal strict»2, leggendovi molto di più di quello che l’apparenza dice. Diverso il caso del Giardino dei Finzi-Contini, che mentre circoscrive con l’aggiunta di un nome di famiglia il tema del romanzo (individuandone i perso- naggi principali) affida agli elementi determinatori del «titre nominal élargi», che rinviano a una singolare famiglia (i Finzi-Contini, appunto), il compito clamo- rosamente antifrastico di parlare dell’immaginario nutrendo una duratura illu- sione: quella che – nel gioco paradossale che l’arte propone e che fa fronteggia- re illusione e realtà – ha fatto e fa ancora sognare a tanti lettori la possibile col- locazione di un luogo che «non è mai esistito»3 se non nella fantasia e nella tra- sfigurazione mitica, un luogo creato ad arte con l’obiettivo di rendere credibile quella che non è altro, e da ogni punto di vista, che un’«isola del passato»4. Uno spazio da cercare nel tempo piuttosto che nelle planimetrie; in ogni caso (an- che accettando per un attimo la sfida del disbelive) uno spazio circoscritto, deli- mitato da mura, modello in minore dell’altra cinta, sia pure diversamente ibri- data, di cui costituisce una sorta di elettiva mise en abîme. Romanzo del giar-

dino, insomma, come più tardi romanzo di Ferrara, se è vero che nell’un caso

come nell’altro la funzione informativa, onomastica, specifica, ma solo per au- mentare la credibilità.

Un’eccezione a questo modo di titolare sarà rappresentato da Dietro la porta e da L’odore del fieno, visto che con il primo si allude a uno status psicologico- morale, ma lo si fa individuando nello spazio una collocazione eticamente di- scutibile; mentre l’altro – e singolarmente, stante il rapporto dello scrittore con gli odori – stende a partire dal mondo olfattivo la patina della morte su figu- re du temps jadis, suggerendo, come già Joyce a proposito della neve, un fieno/ erba che con forza cimiteriale copre tutto, di nuovo ai margini delle mura cit- tadine. La porta, il fieno…, sostantivi senza funzione di soggetto, che suggeri- scono perfino una qualche ‘febbre’, assieme alla fatalità dell’epilogo, mentre de- terminano le modalità di disposizione dei personaggi in un ambiente: dentro5, ai margini, dietro. Ma per rovesciare poi la loro collocazione, se dopo la disce-

2 Come lo chiama Weinrich, nel suo Les titres, les textes et la mémoire littéraire, in L’œuvre et

son ombre. Que peut la littérature secondaire? Yves Bonnefoy – Pierre Bourdieu – Pascale Casanova – Antoine Compagnon – Michael Edwards – Marc Fumaroli – Michel Jarrety – Hubert Monteilhet – Carlo Ossola – Harald Weinrich – Michel Zink, Recueil d’études publié sous la direction de Michel

Zink, Paris, Editions de Fallois, 2002, pp. 65-76.

3 Così ancora Giorgio Bassani in un’intervista su Ecologia e letteratura, in G. Bassani, Italia

da salvare. Scritti civili e battaglie ambientali. Prefazione di Giorgio Ruffolo, a cura di Cristiano

Spila, con una nota di Paola Bassani, Torino, Einaudi, 2005, p. 105.

4 Così ancora Bassani, nel legarne l’ideazione alla frequentazione del Parco di Ninfa (ivi, p.

107).

5 Ma per un’analisi delle strutture inclusive che regolano l’intero romanzo di Ferrara si veda

Giorgio Bassani. Una scrittura della malinconia (in particolare, nella sezione dedicata alle Forme del sentimento, il capitolo sul Diaframma speculare della distanza).

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SCRIVERE DI LÀ DAL CUORE

sa agli inferi in un’adolescenza di infelicità, separatezza ed ignavia, alla maniera dantesca (sappiamo quanto Bassani amasse il grande poeta), «Or quel che t’e- ra dietro t’è davanti»6, e alla marginalizzazione implicita nella posizione latera- le si sostituisce – tramite lo sguardo dello scrittore, frontale rispetto alla città – la contrapposta pienezza di un altro avverbio di luogo. Dentro infatti (penso ovviamente a Dentro le mura, che sostituisce nei primi anni Settanta la funzio- ne metalinguistica del titolo originario) indica la parte interna, e in tutta la sua visibilità, mettendo in luce proprio quella sezione nascosta dalla fatidica porta di cui si diceva. Quasi che l’emarginazione che era stata al centro della contro

bildung del quarto volet narrativo dovesse servire, rileggendosi (come farà Bassani

dopo il ’68) – una volta abreagita – a rendere al narratore il dominio della ma- teria narrata, spingendolo ad abbandonare la centralità ‘narcisistica’ dell’io, re- stituendolo a, e restituendogli di nuovo, il racconto oggettivo. Consentendo an- che, dopo quell’esperienza dirimente, di procedere per contrari, portando oltre, perfino oltre il mondo conosciuto (che è collocato inevitabilmente «di qua»), verso un altrove posto dall’altra parte, nella morte, dove c’è buio, ma dove (per dirla con il XXX e il I del Paradiso), per forza di poesia, «di là da noi», può far- si «di là mane», mentre «di qua» è la «sera» a regnare soltanto.

2. Andando verso l’oltranza

Quando appare, nella scrittura bassaniana, l’espressione – con funzione in- sieme poetica e ben presto metalinguistica – di «di là dal cuore»? La troviamo

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