A tal proposito due riflessioni: la grande cornice di senso entro cui si inserisce l’essere della Chiesa è quella chiamata antica, che sempre risuona nelle pagine della Scrittura e nel mondo: “siate santi”(Lev.19,2). E’ la vocazione delle vocazioni, il grande sogno di Dio per l’uomo. Spesso accade proprio a noi, di smarrire questo orizzonte alto, di abbassare il livello personale e quindi comunitario, dimenticandoci che la vita è l’opportunità per diventare Santi e per esprimere santità nel nostro operato. Alta la meta da raggiungere, alta la misura della strada da percorrere. Sono bandite le mezze misure, le mediocrità:
nell’Amore queste non possono esistere. E questa esigenza della misura alta è presente nel vangelo. Ricordiamo ad esempio, come nel vangelo di Giovanni, il miracolo a Cana si può compiere, certamente per opera di Gesù, ma anche grazie alla collaborazione dei servi che debbono riempire di acqua le giare fino all’orlo (Gv.2,7). Non basta fare, occorre fare al meglio e al massimo delle proprie possibilità. E questo impegno è propedeutico al miracolo, potremmo dire che è la condizione posta da Gesù perché operi il miracolo. Ebbene questi richiami, spingono a dare nome a tutto ciò che nella nostra vita, nelle nostre comunità è vissuto in modo sciatto, approssimativo, basso: le parole e i discorsi che intratteniamo, lo stile con il quale viviamo e ci relazioniamo, il modo in cui partecipiamo alle celebrazioni e viviamo gli impegni: spesso so porta avanti tutto in modo noioso e annoiato, senza passione, senza entusiasmo, senza novità e stupore. Occorre convincersi che non basta fare come si è sempre fatto, occorre ambire ad ascoltare quello che realmente è il bisogno delle persone, delle comunità; che non è buono sopravvivere, vivere cercando di “sbarcare il lunario”, in modo mediocre e basso. Oggi, gli uomini e le donne cercano qualità, serietà e si accorgono perfettamente quando una proposta è fatta in modo approssimativo e sciatto e fuggono, poiché cercano qualcosa che faccia veramente la differenza. E’
questa serietà di impegno e di vita che diventerà “altra” rispetto al mondo e diventerà attraente e persuasiva.
Torniamo al nostro brano. E’ dentro questa coscienza che si scaglia il giudizio di Cristo rivelando la condizione reale. Condizione reale caratterizzata dalla povertà, dalla cecità,
dalla nudità. . -La povertà. Non è la povertà della Chiesa di Smirne che in realtà è spiritualmente
ricca. Di quale povertà si tratta? Per capirlo dobbiamo tenere presente che per uscirne, è necessario comperare da Cristo oro purissimo purificato dal fuoco. È l’oro che consiste nel fare spazio alla presenza di Cristo. “Il fatto che la Chiesa dovrà acquistare oro purificato dal fuoco significa che attingerà la forza dalla presenza di Cristo, quella forza che le permetterà di non essere più tiepida, povera, ma ardente e veramente ricca
per la presenza del suo Signore” (M. Mazzeo, Lo Spirito parla alla Chiesa, pag. 211) -La cecità. Il simbolo della cecità/visione ha un significato costante nella Sacra
Scrittura. È cieco l’uomo che si chiude alla luce della Parola di Dio “lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino”(Sl.118,105); la Parola di Dio è Cristo: “io sono la luce del mondo. Chi segue me non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv.8,12). È lui la luce che fa vedere l’uomo; la celeste Gerusalemme non
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ha più bisogno della luce creata, perché è l’Agnello la sua luce. Ed allora è facile capire di quale “collirio” parla il Signore: è la capacità di vedere che viene da Lui in chi lo
incontra e lo ascolta nella fede . -La nudità. Essa connota l’assenza nella Chiesa di quelle opere che sono il frutto della
carità: dell’ardore della carità. In chi è tiepido, non si vedono i frutti dell’amore. È la
“veste bianca” di Cristo Risorto a coprire questa nudità: è da Lui ed in Lui che la Chiesa ritroverà il suo vigore, il suo fervore, e non sarà più nuda di buone opere.In sintesi, la via per uscire da quella condizione che fa “vomitare” Cristo tanto la
disapprova, è una sola: la presenza di Cristo accolta, vissuta, sentita come vera e reale.
Dentro una situazione tanto sconvolgente viene fatta la promessa più grande e più suggestiva: l’intimità più profonda col Signore. Ogni parola richiama esperienze dal
significato immenso. .
“Ecco sto alla porta e busso.Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me”.Cristo sta alla porta e bussa.
Sant’Ambrogio commenta: “sorgi, apri alla porta c’è Cristo; bussa al vestibolo della tua casa. Se aprirai, entrerà, ed entrerà con il Padre. Se ti sembra che tardi, alzati.
Sembra che tardi quando dormi a lungo, sembra che tardi quando non preghi, sembra che tardi quando non ridesti la voce coi salmi” (De Virginitate 11 60,12,69; NBA 14/II, pag. 53 e 59). Lo “stare alla porta” richiama in primo luogo il primato dell’iniziativa divina: la presenza di Cristo è dovuta alla Sua grazia. Ma questo stare alla porta sembra anche essere un tema che richiama l’entrata del Risorto in mezzo ai Suoi discepoli. Notiamo: il bussare, l’entrare e lo stare a cena non connota un’esperienza che dovrà accadere nella vita eterna. Nella vita attuale è donato al discepolo che ascolta ed apre, di vivere in questa intimità col Signore. Notiamo anche la sequela delle azioni del discepolo: ascoltare-aprire-cenare. È esattamente lo
“schema” della Celebrazione Eucaristica. Dunque “il “cenare” riguarda il presente della Chiesa, è l’intimità conviviale che essa vive nel celebrare l’Eucarestia; una volta che la Chiesa ha aperto la “porta” rendendosi così disponibile, recettiva a quanto Cristo le chiede e le dona, ha luogo la “cena”, alla quale prendono parte il Cristo e la Chiesa” (M. Mazzeo, Lo Spirito… op. cit. pag. 227).
PER NOI…
La lettera della Chiesa di Laodicea è una delle più potenti esortazioni profetiche contro la mediocrità nella Chiesa, contro l’insidia sempre presente di abbassare la misura della proposta cristiana. Quale è il rimedio? È la celebrazione degna dell’Eucarestia. Infatti “in forza di questo sacramento si compie una certa trasformazione dell’uomo in Cristo per mezzo dell’amore… ed è questo l’effetto proprio del sacramento” (S. Tommaso d’A. in IV Serm. D.XIII, q.2, a.2). Esso realizza una unione familiare di Cristo con noi. Non dimentichiamo mai che secondo l’apostolo Paolo la ragione per cui nella comunità di Corinto vi erano molti ammalati ed infermi, e un buon numero di morti, era perché celebravano indegnamente l’Eucarestia (1Cor.11,30). La meditazione delle sette lettere nel suo insieme, ci ha condotto a porci di fronte a Cristo vivente oggi nella Sua Chiesa. Cristo ci ha rimproverati; ci ha consolati; ci ha promesso grandi doni; ci ha infuso coraggio. Dove possiamo vivere questo incontro in tutta la sua intensità, se non nella quotidiana
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celebrazione degna dell’Eucarestia; se non nella fedeltà alla quotidiana adorazione eucaristica? È l’Eucarestia il fuoco ardente accostandoci al quale vinceremo sempre l’insidia della tiepidezza. Ma deve essere rinnovato l’entusiasmo e la passione con i quali si deve vivere l’Eucaristia: non come ripetizione meccanica di formule e riti ormai meccanici quanto spenti; non esecuzione di un copione deciso e subito passivamente, ma come esperienza di incontro con colui che “avendo amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine”. Ad un amore così totale, fedele, appassionato non si può che rispondere con altrettanto amore. La presenza di Gesù non è statica, fissa, ma dinamica, che scuote, agisce, opera un discernimento: in positivo e in negativo. Ci soffermiamo sulla qualità liturgica delle nostre celebrazioni, sul senso del “rito” che viviamo. Ricordiamo come la radice indoeuropea “rt” ha a che fare con la parola armonia. Il rito, lungi dall’essere ripetizione meccanica di formule e movenze, è piuttosto espressione ordinata e regolata in vista di un senso di armonica bellezza che rivela il Mistero. Siamo indotti a considerare a come viviamo le celebrazioni, a come spesso la fretta, l’improvvisazione, la sciatteria rischiano di prendere il sopravvento, svilendo il senso alto della preghiera e dei riti, che dovrebbero essere “incontro con il Mistero”.
Pensiamo solo per un momento a come in passato era naturale arrivare alla Celebrazione con una preparazione attenta e curata, che rappresentava la separazione dal momento precedente e introduceva nello spazio sacro della liturgia.
Era la prima tappa di un ingresso nel Mistero, con attenzione e cura. Potremmo pensare che era ritualismo, ormai desueto e lontano. E al termine della Celebrazione si raccomandava un tempo di silenzioso ringraziamento per riflettere sul mistero celebrato e ricevuto. Oggi si arriva all’ultimo momento, si vive preoccupati che termini quanto prima, si fugge subito al termine o si riprende subito a parlare.
L’Eucaristia non è sempre sentita come il momento alto e cruciale del vivere e del credere, ma come precetto da ottemperare fine a se stesso: vissuto in modo approssimativo e incapace di dare forma nuova all’esistenza.Una stupenda preghiera di S. Caterina dice: “O alta ed eterna Trinità, amore inestimabile! Se tu mi dici:
Figliuola!, io dico a te: Sommo ed eterno Padre! E come tu mi dai te medesimo comunicandomi del corpo e del sangue dell’unigenito tuo Figliuolo, dandomi tutto Dio e tutto uomo, così, amore inestimabile, ti chiedo che mi comunichi del corpo mistico della santa Chiesa e del corpo universale della religione cristiana; perché nel fuoco della tua carità ho conosciuto che di questo cibo vuoi che l’anima mia si diletti” (in Le preghiere di S. Caterina da Siena, pag. 103).
“Ascolta o figlio” – linee pastorali per la Chiesa Tiburtina per l’anno pastorale 2018-2019 sull’arte dell’ascolto del Vescovo Mauro Parmeggiani
“Per questo occorre recuperare l’entusiamo. Spesso, tra noi appartenenti alla comunità cristiana, c’è frustrazione, piccole frecciatine inviate l’uno all’altro, perché sentiamo di essere noi – e solo noi – i detentori del miglior modo di annunciare Gesù.
Ma chi ci vede, si accorge benissimo che manca in noi l’entusiasmo di annunciare Gesù! “Manca la gioia della fatica – sono parole di un laico della nostra Diocesi –
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l’ebbrezza del sacrificio, manca, nella nostra persona, l’entusiasmo di aver incontrato Gesù e rimane solo la frustrazione di sentirsi a volte soli contro il mondo, la tentazione di aver sbagliato addirittura vocazione. Dove è il nostro entusiasmo, dove il desiderio di consumarci perché la gioia che ho nel cuore non può essere contenuta? Invece corriamo spesso il rischio di secolarizzarci e rientrare in un normale che ci fa comodo”
(pagg.9-10).
IL CONFRONTO
-Com’è la qualità del mio parlare, del mio agire, del mio relazionarmi agli altri?
-In cosa anche io sento di dover migliorare, uscendo da una tiepidezza e
mediocrità?
-E se penso alla comunità: quali aspetti dobbiamo concretamente migliorare e
convertire?
-Gesù è davvero il centro della mia vita, oppure una delle tante presenze e
sicurezze della vita?
-L’Eucaristia è vissuta in modo consapevole, attento, partecipato? E’esperienza di incontro con l’Amore di Gesù e risposta a tale Amore? C’è cura ed attenzione oppure anche per me è il ripetersi di un appuntamento abitudinario, un precetto
fine a se stesso?
LA PREGHIERA Signore Gesù, con cuore gioioso ricco di stupore e gratitudine celebriamo il santo mistero del tuo amore.
Ci chiami ogni giorno alla mensa del Tuo Corpo e del Tuo Sangue, suggello della nuova ed eterna alleanza, per la nostra salvezza.
La Chiesa tutta e noi in essa
avvertiamo la straordinaria gratuità del dono ricevuto e l’esigua povertà della nostra risposta.
In questa consapevolezza matura l’impegno di un impegno nuovo, di una memoria grata, di una oblazione pura e santa
che trasformi l’esistenza del popolo sacerdotale in quotidiana, attenta e puntuale fedeltà
al mistero della fede che celebriamo per annunziare la tua morte,
proclamare la Tua risurrezione, Signore Gesù,
vigili a attenti a scorgere l’ora della tua venuta. Amen (San Pio da Pietralcina)
L’IMPEGNO
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Alla luce della Parola ascoltata e accolta, a livello personale e comunitario maturiamo e assumiamo un impegno
Signore nostro Gesù Cristo, Tu sei re dell’universo.
Sei centro del cosmo e della storia. A te l’Amen della nostra adorazione.
Tu sei il primogenito di tutta la creazione. Sei la perfetta rivelazione del Padre.
Sei Parola fatta carne. A te l’Amen della nostra fede
Sei fratello e amico degli uomini. Sei misericordia che perdona e guarisce Sei Salvatore, che morendo, ci ha salvato. A te l’Amen del nostro amore
Sei luce che illumina le tenebre. Sei vita che trionfa sulla morte.
Sei Redentore, che ci liberi e rinnovi. A te l’Amen della nostra invocazione
Sei Parola che interpella. Sei Parola che converte.
Sei Parola che chiede di essere annunciata A te l’Amen della nostra disponibilità