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È chiaro che lo studio di materiali frammentari come quelli rinvenuti nelle Grandi terme di Aquileia debba essere collegato a una riflessione sistematica sugli aspetti

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LAZZARINI 2004, p. 112, fig. 16.

320 LAZZARINI 2004, p. 92, fig. 35; pp. 111-112, fig. 16. 321 LAZZARINI 2004, p. 115, fig. 23.

metrologici e proporzionali che accompagnano la produzione scultorea e architettonica antica. Soltanto un’analisi di questo tipo restituisce infatti ai pezzi la dimensione che gli era propria, anche sulla base di piccolissimi frammenti.

La proporzionalità delle parti riprodotte in una scultura si rifà, infatti, alle proporzioni naturali delle figure rappresentate, la cui corrispondenza numerica ideale è stata codificata nel canone policleteo, il quale, non conservato, è almeno in parte deducibile dalle celebri opere dello scultore (che però ci sono note soltanto per mezzo di copie) e dai commenti di Varrone e di Vitruvio (III,1,65). L’altezza della testa coinciderebbe ad esempio con un ottavo della statura dell’intera figura, mentre a sua volte corrisponderebbe a tre volte l’altezza del naso; il palmo, invece, è pari a quattro dita, eccetera323. È chiaro comunque che la ricostruzione delle dimensioni originali delle figure riprodotte in scultura è per lo più molto più intuitiva e in realtà anche meno indicativa dell’analisi metrica nel più astratto campo della decorazione architettonica. Per la scultura, infatti, una sommaria distinzione tra rappresentazioni di dimensioni colossali, a grandezza naturale, di misure minori rispetto al vero, nonché di proporzioni riferibili a prodotti della scultura minore (“Kleinplastik”) risulta sostanzialmente sufficiente.

A Vitruvio si deve la codificazione dei rapporti dimensionali nell’ambito dell’architettura in generale (ad esempio per i volumi degli edifici), ma anche per gli elementi costitutivi degli ordini architettonici324. In particolare per l’ordine corinzio Vitruvio prevede la seguente symmetria ovvero proportio:

Vitr. III,5,1: la base deve essere pari a metà del diametro della colonna; l'altezza del plinto corrisponde alla terza parte della base totale e i suoi lati devono misurare un diametro e mezzo; il toro inferiore rispecchia un rapporto di 3/8 rispetto allo sviluppo complessivo delle modanature in cui si articola la base, lo stesso vale per la scotia (compresi i listelli di delimitazione), mentre al toro superiore sono destinati 2/8.

Vitr. IV,1,34: l’altezza del capitello coincide con il diametro al letto di posa oppure all'imoscapo del fusto325.

Vitr. IV,1,38: sussiste una sorta di tripartizione orizzontale del corpo del kalathos che si rispecchia sulle corone di foglie di acanto e l’abaco ha un rapporto di 1:7 rispetto all'intero capitello.

Vitr. IV,1,40 : l’altezza del fregio corrisponde a 3/4 o, piuttosto, a 6/7 di quella dell'architrave326.

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Sull’argomento cfr. soprattutto ARIAS 1964, 73 ss.; POLLITT 1995; REALE 2003, pp. 283 ss.

324 A partire dall’epoca rinascimentale l’esegesi dei testi vitruviani ha una diffusione molto ampia nella trattatistica architettonica (cfr. ad esempio MOE 1945; WILSON JONES 2000).

325 In relazione all'espressione crassitudo imae columnae, con la quale Vitruvio indica la larghezza inferiore del fusto, non è chiaro se si riferisca al diametro al letto di posa del fusto o a quello all'imoscapo del fusto. Cfr. FERCHIOU 1975; WESENBERG 1983; WILSON JONES 1989, p. 39.

Corrispondenze con i precetti vitruviani sono in effetti stati osservati per alcuni materiali archeologici, tuttavia con notevoli differenze riscontrabili sia sul piano geografico sia nello sviluppo cronologico327.

La valutazione delle dimensioni note per le colonne di edifici pubblici africani di fine del II sec. d.C. e dei primi decenni del secolo successivo, analizzati negli anni Settanta da

Naïdé Ferchiou328, ha dimostrato che in questo periodo il rapporto tra il diametro inferiore e l’altezza del fusto ammonti a un valore di 1:8,5 (considerando il diametro al letto di posa, non quello dell’imoscapo)329, mentre l’altezza del fregio assume un rapporto di 7/7 e 9/7 rispetto a quella dell'architrave330. Analoghi studi sono stati realizzati da John Ward-Perkins, Mark Wilson Jones, da Patrizio Pensabene e da Paolo Barresi331, e si dispone dunque di un campionario alquanto vasto di misure di confronto che delineano un quadro di riferimento abbastanza affidabile. In particolare le ricerche di M. Wilson Jones sembrano dimostrare che il rapporto che sta alla base dell’ordine corinzio sia costituito dalla proporzione tra l’altezza della colonna e quella del fusto nell’ambito di un valore approssimativo di 6:5. La proporzione tra il diametro inferiore del fusto e l’altezza delle colonna si aggira attorno a un rapporto di 1:10, mentre rispetto all’altezza del fusto il valore è di 1:8. La relazione tra base e diametro del fusto è invece per lo più di 1:2, come in effetti indicato da Vitruvio. L’altezza del capitello è sembra invece corrispondere al diametro al letto di posa del fusto332, con cui coincide anche la larghezza in sezione dell’abaco e il diametro superiore del kalathos, la cui altezza è invece pari al diametro del fusto all’imoscapo. L’altezza dell’abaco ha in media un rapporto di 1:7 con l’altezza del capitello, tuttavia con notevoli deviazioni, che nell’ambito dei monumenti analizzati da M. Wilson Jones sono comprese tra i valori di 1:5 e 1:8,5333.

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È possibile che la proporzione di 3/4 costituisca un errore da parte del copista del testo vitruviano, in quanto la proporzione di 6/7 risulta maggiormente attinente, soprattutto per il fatto che il trattatista e architetto romano raccomanda la suddivisione delle modanature che articolano l'architrave in sette e non in quattro parti. Cfr. FERCHIOU 1975, p. 62.

327 Cfr. soprattutto il commento sintetico di GROS 2001, pp. 496 ss. 328 Cfr. FERCHIOU 1975, pp. 88-90.

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Cfr. la palestra dei Petronii a Thuburbo Maius e alcuni edifici di Dougga come i templi di Minerva, di Saturno e di Caelestis (FERCHIOU 1975, pp. 94-95). Proporzioni analoghe contraddistinguono inoltre le colonne delle absidi della Basilica Ulpia nel Foro di Traiano (AMICI 1982, pp. 24-25) ma anche quelle di San Lorenzo a Milano (ROSSIGNANI 1989); soltanto lievemente più slanciate (1:8,6) sono le proporzioni delle colonne nell'Arco di Settimio Severo (BRILLIANT 1967, pp. 51-52, p. 77; FERCHIOU 1975, p. 89).

330 FERCHIOU 1975, p. 62, pp. 65-66. Simili rapporti si trovano anche in edifici dell’Urbe, come nel Tempio di Venere e Roma, in cui architrave (h 1,48 m) e fregio (h 1,5 m) sostanzialmente si corrispondono (STRONG 1953, p. 127; LILJESTOLPE 1996, p. 50).

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WARD-PERKINS 1980, pp. 327-328; WILSON JONES 1989; WILSON JONES 1991; WARD-PERKINS 1992, p. 25; PENSABENE 1994 b, pp. 311-315; PENSABENE 1996-1997, pp. 12-13; PENSABENE 1997, pp. 278-279; PENSABENE 1998, pp. 345-346, pp. 351-352; WILSON JONES 1991; WILSON JONES 1999a; WILSON JONES 2000; PENSABENE 2001, pp. 115-116; BARRESI 2002, pp. 69-72.

332 WILSON JONES 1989, pp. 35-41. 333

Specialmente dall'età severiana sembra aumentare la produzione in serie di elementi architettonici caratterizzati non soltanto da proporzioni ma anche da misure standardizzate, come documentano numerosi capitelli e basi in marmo bianco soprattutto del Proconnesio contraddistinti da dimensioni omogenee, abbinati a fusti spesso realizzati in marmi colorati, come il granito della Troade, il bigio venato di Lesbo, il cipollino proveniente dall'Eubea e il giallo antico dalle cave dell'Africa Proconsolare334; in particolare per i fusti può essere rilevata la presenza di esemplari caratterizzati da misure ricorrenti di 16, 20 e 24 piedi romani in altezza, ad esempio presso Leptis Magna335, ma anche in diverse cave del Mediterraneo336. Il quadro delineato sulla base di queste constatazioni sembra dunque rimandare a dinamiche di produzione e distribuzione di elementi architettonici sofisticatamente organizzate e coordinate, esperimentate dapprima nell’ambito di progetti architettonici specifici a committenza337 o a destinazione urbanistica unitaria338, per essere ampliate, poi, anche a produzioni in serie sempre più standardizzate, giungendo in alcuni casi fino all'ultimazione degli elementi, esportati in qualità di prodotti compiuti339 e utilizzati talvolta al fianco di prodotti rifiniti sul posto340.

334 WARD-PERKINS 1980, pp. 327-328; WARD-PERKINS 1992, p. 25; PENSABENE 1994 b, pp. 311-315; PENSABENE 1996-1997, pp. 12-13; PENSABENE 1997, pp. 278-279; PENSABENE 1998, pp. 345-346, pp. 351-352; PENSABENE 2001, pp. 115-116. 335 WARD-PERKINS 1980, pp. 327-328. 336 PENSABENE 1998, p. 351, nt. 91; BARRESI 2002, pp. 69-72. 337

Testimonianza evidente e precoce di queste dinamiche di rifornimento molto articolate è rappresentata ad esempio dal rinvenimento di un capitello corinzio di tipo occidentale in calcare di Aurisina, databile all’età giulio-claudia, in una cava di marmo proconnesio presso Saraylar, nell'isola di Marmara (LAZZARINI 1990, p. 259, fig. 4; PENSABENE 1998, p. 346; PENSABENE 2001, pp. 114-115, nt. 55; SPERTI 2005, p. 319). Il capitello fungeva verosimilmente da modello per una produzione in serie, destinata a un grande intervento edilizio destinato all’area altoadiatica o nello specifico aquileiese, come sembra attestare un esemplare affine in marmo proconnesio, conservato presso il Museo Nazionale Archeologico di Aquileia (CAVALIERI MANASSE 1978, pp. 64-65, n. 32). Un caso analogo è costituito da un capitello corinzio in marmo di Carrara di età domizianea e di fabbrica urbana, in quanto confrontabile con un capitello del Peristilio della Domus Augustana sul Palatino (FREYBERGER 1990, p. 18, tav. 3.b) e con un esemplare della Villa di Domiziano a Castel Gandolfo (MAGI 1973-1974, pp. 63-77, fig. 2; VON HESBERG 1978-1979, 1979-1980, pp. 305-306, fig. 6-10; FREYBERGER 1990, pp. 23-24, tav. 6.b-c), il quale doveva probabilmente essere utilizzato come modello dalle officine efesine (PLATTNER 2002, pp. 237-245; SPERTI 2005, p. 319).

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Ampi progetti urbanistici, come quelli realizzati in età severiana a Berytus, Biblos, Tyro, Caesarea e Ascalona, collegati alla monumentalizzazione degli assi stradali e alla costruzione di edifici pubblici, come teatri, basiliche, santuari dedicati al culto di divinità e al culto imperiale, attestano l’utilizzo di grossi lotti di elementi architettonici prodotti in serie (PENSABENE 1997, pp. 275-415).

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Per quanto riguarda i capitelli, gli esemplari in proconnesio di dimensioni particolarmente elevate risultano solitamente eseguiti nel luogo di impiego, per lo più caratterizzati da un’accuratezza maggiore nella resa dei dettagli, ma anche nell'introduzione di varianti; gli esemplari importati risultano invece contraddistinti da forme più corsive, con caulicoli a spigolo privi di orlo, volute ed elici aderenti al kalathos, lobi laterali delle foglie della seconda corona ridotti e semplificati (PENSABENE 2001, pp. 87-89, fig. 85).

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Si vedano a questo riguardo i capitelli dell'Arco di Marco Aurelio (PENSABENE 2001, pp. 87-89, fig. 65; PENSABENE 2003, pp. 353-362, figg. 24, 26, 28), della Basilica del Foro di Leptis Magna, contraddistinti da sottili volute e caulicoli a spigolo con orlo a rilievo (PENSABENE 2001, p. 99, fig. 79), dell'Arco di Settimio Severo (PENSABENE 2001, p. 100, figg. 82-83) e del pronao del Tempio severiano (PENSABENE 2001, pp. 99-100, fig. 78.).

In base alle proporzioni delle parti costitutive delle colonne, riportate in precedenza, è possibile formulare alcune ipotesi riguardo allo sviluppo dimensionale di alcuni pezzi molto frammentari delle Grandi Terme aquileiesi. Così, ad esempio, e pur nella consapevolezza che nessuno dei frammenti conservi parti dell’imoscapo, è possibile attribuire in maniera approssimativa i frammenti di fusti di colonna in breccia corallina e africano (AQUD03/SF90.7 e AQUD03/SF90.35: cfr. Allegato 1 e 2, nn. 4.7. e 4.15.), con un diametro che si aggira attorno ai 95 cm, a colonne di 9,5 m di altezza; quelli in breccia corallina, granito violetto della Troade e breccia di Sciro (AQUD03/SF90.12, AQUD03/SF90.114, AQUD03/SF90.13, AQUD03/SF90.81: cfr. Allegato 1 e 2, nn. 4.8-4.10, 4.14.), con un diametro di circa 70 cm, a colonne di 7 m di altezza; i due frammenti in granito rosso di Assuan (AQUD03/SF90.11, AQUD03/SF90.10: cfr. Allegato 1 e 2, nn. 4.12-4.13.), con un diamentro di circa 40 cm, a colonne di 4 m di altezza; quelli in porfido rosso, verde antico e bigio antico (AQUD02/SF0.11, AQUD03/SF10.102, AQUD02/SF10.32, AQUD03/SF22.1, AQUD03/SF90.14, AQUD02/LAa105, AQUD02/LAa92, AQUD02/LAs169: cfr. Allegato 1 e 2, nn. 4.3.-4.7., 4.11.;

Allegato 1, nn. 4.19.-4.20, 4.23.), con un diametro effettivo o ricostruito di 32 cm, a colonne

di circa 3,20 m di altezza. Con queste ultime colonne, di minori dimensioni, potrebbe essere inoltre collegata sotto il profilo metrologico una base di semicolonna in marmo bianco a grana media di 15 cm di altezza (AQUD03/SF178.4: cfr. Allegato 1 e 2, n. 3.3.), elemento che potrebbe anche suggerire la funzione di tali sostegni, forse in rapporto con edicole ovvero nicchie addossate alle pareti del frigidarium A2, sostenute forse sia da semicolonne sia da colonne341.

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