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7. L’area di studio

7.1.5. Aspetti storici e gestionali

Agli inizi del secolo scorso i boschi costituivano la principale risorsa finanziaria del Comune di Vetralla. Tuttavia le potenzialità produttive di questi, a causa del disordine amministrativo e del carattere irrazionale della gestione, non consentivano rendite stabili e costanti. Lo stato generale della foresta era inoltre in degrado a causa di danni provocati da usi civici non regolamentati. La popolazione di Vetralla infatti, rivendicando l’esistenza di un diritto di proprietà sulle selve, esercitava a propria discrezione la facoltà di tagliarvi legna e di pascolarvi il bestiame. L’amministrazione comunale di allora, per reprimere tali abusi e disciplinare le utilizzazioni in maniera più razionale, provvide all’incarico della stesura, ai sensi del R.D. n. 3267 del 1923, di un piano economico che avrebbe dovuto assicurare entrate continue, annue e costanti.

Nel 1939 GIOVE ritenne che fosse necessario un periodo di venti anni, maggiore

dunque della consueta durata dei piani di assestamento, al fine di conseguire la cosiddetta normalità produttiva. Poiché allora i cedui castanili rappresentavano un capitale ad alto reddito, secondo l’Autore da questi dipendevano le principali entrate di bilancio e le possibilità di risanamento finanziario del Comune. Ma l’Autore, nel proporre l’ampliamento dell’area colturale dei castagneti, non sembrò valutare l’impatto ambientale che sarebbe derivato dalla espansione dei cedui di castagno a scapito delle fustaie di cerro e di faggio.

Le ragioni di ordine economico e sociale, e la limitata conoscenza scientifica del tempo, che giustificano le intenzioni di GIOVE, si scontrarono con i complessi

meccanismi biologici che impedirono, nonostante l’impegno e lo sforzo umano impiegati, l’affermarsi del castagno nelle zone sgomberate dall’alto fusto. Per quanto riguarda poi l’assestamento delle fustaie, mediante il conseguimento della normalità di tipo disetaneo, l’Autore tendeva ad irrigidire in uno schema teorico la complessa fitocenosi forestale: il bosco veniva ridotto ad una tabella di numeri a cui bisognava ricondurre i popolamenti al fine di conseguire una produzione massima e illimitata nel tempo. Questo tipo di gestione, invece, rischiò di compromettere gravemente la stabilità stessa del bosco, incontrando notevoli difficoltà nell’assicurare la rinnovazione naturale e provocando inoltre un sensibile intaccamento della provvigione (PATRONE, 1958), dovuto oltre tutto

all’applicazione nel calcolo della ripresa di un saggio di utilizzazione reale troppo elevato rispetto al tasso di accrescimento naturale.

GIOVE, con il suo approccio teorico che aspirava alla regolarizzazione del bosco ai

fini della massima efficienza produttiva, non assicurò il mantenimento della funzionalità biologica dell’ecosistema forestale. Egli,infatti ignorava l’importanza delle dinamiche evolutive e dell’eventuale impatto dell’assestamento da lui proposto che si rivelò inadeguato. Considerato il contesto storico caratterizzato dalle pressanti richieste di materie prime, le scelte assestamentali risultavano giustificate. Non bisogna, poi, trascurare un importante fattore rappresentato dagli effettivi limiti della conoscenza tecnica. Allo scadere del piano di GIOVE, nel 1957, lo stesso PATRONE constatò infatti che la gestione compiuta nel ventennio

prefissato aveva conseguito risultati modesti in quanto non si era realizzato l’obiettivo della cosiddetta normalità produttiva. L’Autore, pur adottando un metodo più prudenziale per il calcolo della ripresa si pose anch’egli l’obiettivo del raggiungimento della normalità produttiva proponendo pertanto un’impostazione altrettanto rigida, anche se di tipo differente.

Per la graduale regolarizzazione della provvigione e della produzione dei boschi propose: “il modello teorico del bosco normale coetaneo per le fustaie di cerro, la

creazione di un bosco misto di abete bianco, faggio e cerro per la fustaia estetica, la conversione per l’ampliamento dei castagneti” motivandola con il “profilarsi di una crisi di mercato dei prodotti legnosi di questo tipo di coltura”. Non escluse

tuttavia una futura attuazione del vecchio progetto di GIOVE qualora si fossero

presentate a renderla conveniente nuove eventuali condizioni di mercato più favorevoli. In merito alle fustaie coetanee, oggetto della presente ricerca, occorre dire che l’obiettivo di normalizzazione strutturale che avrebbe dovuto generare produzioni massime, annue e costanti non venne raggiunto neppure nel trentennio che seguì come hanno constatato i recenti rilievi effettuati nei boschi che rivelano

un’attuale struttura di tipo composito (ZANI, 1992; MASSELLA, 1993). Inoltre

l’Autore sembra non valutare affatto l’impatto provocato dalla coetaneizzazione, che avrebbe distrutto un certo grado di complessità strutturale consolidatosi nel lungo arco di tempo in cui era stato applicato il trattamento a dirado.

Nel 1970 PATRONE ebbe la grande opportunità di potersi adeguare alle esperienze maturate proseguendo il lavoro da lui stesso intrapreso. Riscontrando invece che non era stato raggiunto l’obiettivo della normalità colturale e, ricercando ad ogni costo la massima efficienza economica, spinto dalle circostanze, propose di rivoluzionare l’intero assetto forestale attraverso la trasformazione di gran parte delle fustaie in soprassuoli artificiali ad alto reddito, non tralasciando l’eventualità di includere in un secondo tempo persino i castagneti nell’opera di cambiamento. Analogamente al suo predecessore PATRONE propose di plasmare la foresta ai fini

della percezione del massimo profitto, e di vincolarla, dunque, attraverso schemi troppo rigidi che tendevano a semplificare la complessità della biocenosi forestale. Tale approccio, che non appare adeguato alla luce delle moderne conoscenze scientifiche e delle attuali richieste di sistemi naturali complessi, è tuttavia giustificato dal contesto storico in cui venne formulato.

Tutte le informazioni sopra riportate mettono in evidenza il voler favorire la coltivazione delle specie arboree che sembravano più renumerative nel contesto in cui venivano proposte mettendo in secondo piano l’importantissimo aspetto della funzionalità biologica che, invece, dovrebbe essere uno dei principali, se non il primo obiettivo della selvicoltura e dell’assestamento.

7.2. Il bosco misto di cerro e farnetto di Macchia Grande di Manziana

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