1. Il cavaliere Giampietro Proti e la fondazione dell’ospedale
L’ospedale dei Proti nacque grazie a un lascito testamentario del cavalie- re Giampietro Proti, morto nel 14121. Giampietro era nato a Vicenza intorno al
1345 da Tommaso e Franceschina Dal Verme, che avevano altre sette figlie. Si trattava, quindi, del solo erede maschio di una casata ricca e potente, che si era affermata in epoca post-ezzeliniana e che, nel XIV secolo, risultava ben inse- rita nell’establishment cittadino, grazie ai rapporti privilegiati con la signoria scaligera e ad accorte politiche matrimoniali, rivolte alle più importanti fami- glie vicentine e venete. Non solo: nel 1360 il padre Tommaso aveva ottenuto l’ambito privilegio della cittadinanza veneziana, con facoltà di trasmetterlo agli eredi: un chiaro segno di distinzione sociale, che rispondeva alla capacità di que- sto lignaggio di saper operare con successo anche a livello regionale2.
Giampietro diventò un abile politico e uomo d’armi, ma fu pure un buon amministratore del patrimonio familiare. Nel 1375 ottenne il titolo di miles da- gli Scaligeri, di cui era fido collaboratore. Visse a Verona per alcuni anni, ri- coprendo incarichi pubblici e diventando podestà della città tra il 1382 e il 1383; pare che nel 1381 fosse stato senatore a Siena, ma la notizia non ha ancora ri- scontri documentari, sebbene il testamento riveli l’esistenza di rapporti certi con il comune senese. Nel 1404, insieme al nipote Giacomo Thiene, si rivolse al doge Michele Steno per concordare la dedizione di Vicenza a Venezia, dopo aver partecipato alla difesa militare della città berica contro gli attacchi dell’esercito carrarese. Il successo dell’operazione gli valse l’ingresso nel patriziato veneziano,
1Lo stato giuridico di luogo pio fu riconosciuto a questa istituzione nel 1442, da papa Eugenio IV:
Ranzolin, Il cavaliere Gian Pietro de’ Proti, p. 17. Sei anni prima il pontefice aveva concesso lo stes- so riconoscimento all’ospedale di Sant’Antonio Abate (supra, p. 65).
2Il privilegio è schedato nella banca dati CIVES, all’url: ‹ http://www.civesveneciarum.net ›
[30.10.2014]. Sulla legislazione che regolava il conferimento della cittadinanza veneziana, artico- lata in diversi gradi di prerogative, si veda Mueller, Immigrazione e cittadinanza.
l’assegnazione di una pensione vitalizia di 1.000 ducati annui, il riconoscimento di vari comandi militari e civili. Fece testamento il 28 marzo 1412 e morì il 29 agosto di quello stesso anno, privo di eredi maschi3.
Il testamento di Giampietro Proti si contraddistingue, innanzitutto, per la lingua in cui fu rogato, un volgare veneto piuttosto insolito per questo genere di documenti, normalmente scritti in latino nella prassi notarile locale4. Tale
caratteristica rimanda alla fermezza di un uomo forte e sicuro di sé, abituato all’esercizio del potere, al punto da imporre una diversione dalla tradizionale pratica testamentaria, verosimilmente per conservare pieno controllo sulle pro- prie ultime volontà, anche sotto il profilo linguistico. In ogni caso, oltre ai vari lasciti per figlie, nipoti, parenti acquisiti e diversi enti religiosi, il testamento prevedeva la fondazione di un ospedale intitolato a Santa Maria Misericordiosa, che avrebbe dovuto occupare la dimora dove abitava il testatore e una casa con- tigua. Non era la prima volta che il nostro cavaliere si occupava di faccende ospe- daliere, dal momento che già nel 1372 aveva concesso una donazione all’am- ministratore dell’ospizio di San Francesco Piccolo5.
Il nuovo ente nasceva già parzialmente specializzato, perché il fondatore aveva espresso la volontà che si occupasse in particolare dell’assistenza ai po- veri vergognosi, cioè ai nobili decaduti, pur non escludendo la cura ad altri mi- serabili.
Item io lasso, voio et ordeno che de la mea casa grande, in la qual solea habitar i spet- tabili et egregii cavaleri meser Bugamante et meser Thomaso di Protthi, et in la qual io habito mi in persona quando io sun in la città de Vicenza, et così l’altra casa contigua a quella, la qual fo de meser Pero di Protthi, el ne debbia fir facto uno hospedal soto vo- cabulo de Madona Sancta Maria Misericordiosa et in quello hospedal debia star sei zin- tilhomeni et habitar, i quali sia vegnudi in povertà, intendendo che questi sei zintilho- meni non sia stadi traditori, homicidiarii, né habia perdù el so per cativa gola, né per ca- tiveria che illi habbia fatta, ma solamente homeni fortunadi e che sia cazè fora de casa soa et non per cativeria che illi habbia fatta. Et questi sei habia sei camare cum camini, le qual camare sia fornide de sei lecti cum uno altro lecto da cariola per zaschaduna ca- mara, et sia fornì le ditte camare de linzoli, coltre, pimazi, cusinelli, et de ogni altra cosa che ge bisogna per mudarli ogni mexe una volta, azò chi staga netti, et che quelli zentil- homeni sei fia vestidi doe volte a l’anno, zoè l’inverno che non habbia fredo et la està a modo de està. Et oltra de zò, zoè oltra ogni altra cosa, fia comprà de la mea heredità tren- ta lecti computando in questo numero i lecti i qual se trovasse in casa mea a quel tem-
3Magrini, Notizie del cav. Giampietro de Proti, pp. 7-24; Fainelli, Podestà e ufficiali di Verona,
pp. 198-199; Ranzolin, Il cavaliere Gian Pietro de’ Proti, pp. 7-11; Varanini, Vicenza nel Trecen-
to, pp. 190-191; Tisato, Giampietro Proti, pp. 13-20; Pellizzari, Una fonte inedita, pp. 30-37.
4Il testamento di Giampietro Proti, rogato direttamente in volgare dal notaio Girolamo di Andrea
da Pusterla il 28 marzo 1412, è stato edito per la prima volta nel 1891 da Domenico Bortolan, sul- la base di una copia autenticata del 16 dicembre 1478, conservata in IPABVi, Proti, b. 6, reg. G, cc. 1r-17r. In questa sede si fa riferimento alla trascrizione ripubblicata nel 1985: Il testamento del ca-
valiere. Per alcune considerazioni di tipo linguistico sulla corrispondenza e il testamento del Pro-
ti si veda Bandini, Latino e volgare, pp. 8-10. Sul valore documentario dei testamenti tardome- dievali come fonti storiche si rimanda a Nolens intestatus decedere.
po, et fia fornì de pimazi, coltre, cussinelli et linzoli per sexanta persone, zoè doe perso- ne per zascadun letto, e fia messi in lo logo o’ io tegno et solea tegnir la mea caneva gran- de, fazando impir la ditta caneva de terra alta cume la strada denanzo communa, et in la caneva grande et in la picola caneva fia redutte tutte doe a modo de hospedal, cum let- tere communavole, che per zascaduna lectera possa albergar doe persone a so aconzo et
a so asio6.
La scelta di Giampietro Proti non era una novità nel panorama assistenziale delle città venete. Più di mezzo secolo prima il marchese Spinetta Malaspi- na aveva disposto per via testamentaria che a San Giovanni in Sacco di Ve- rona fosse aperto un ospizio per il soccorso dei nobili decaduti7. Come l’o-
spedale dei Proti, anche quello del Malaspina doveva mantenere sei genti- luomini, ma poteva accogliere anche persone di più umili origini, purché me- ritevoli. I vincoli posti dal testamento di Spinetta circa il governo e le mo- dalità dell’assistenza presentano molte somiglianze con quelli stabiliti dal Proti, che sicuramente si ispirò all’iniziativa del marchese. Tra l’altro, en- trambi vietavano l’assistenza a nobili che si erano macchiati di fellonia e co- involgevano nella scelta degli amministratori dei loro ospedali i principali enti religiosi delle rispettive città8.
I due fondatori appartenevano a generazioni diverse e non si erano frequentati, ma Giampietro doveva conoscere molto bene la casa dei Malaspina a Verona, citata nel suo testamento, e anche gli eredi del marchese, dal momento che la
6Il testamento del cavaliere, p. 78. Sono stati corretti alcuni errori di trascrizione, riscontrati nel confronto con il testo del documento originale.
7Castellazzi, Il testamento di Spinetta Malaspina. Per un profilo biografico del marchese e dei
suoi eredi si veda Castellazzi, Spinetta Malaspina (1281c.-1352). Un’iniziativa simile va attri- buita anche al nobile Raimondino Lupi di Soragna, esponente di una casata molto vicina ai da Carrara e fondatore, nel 1372, di un ospedale a Mantova, rivolto non solo ai poveri miserabili, ma anche all’accoglienza dei discendenti della sua stessa famiglia eventualmente caduti in dis- grazia: Bortolami, «Locus magne misericordie», pp. 93-94; Angiolini, Lupi, Raimondino. A Fi- renze, nel 1442, fu fondata la compagnia dei Buonomini di San Martino, una confraternita de- dicata proprio al soccorso dei poveri vergognosi: Spicciani, The “poveri vergognosi”. Per un qua- dro generale sul problema della povertà da declassamento si veda Ricci, Povertà, vergogna, su-
perbia. Di quest’ultimo studio, tuttavia, non si condivide l’assunto che l’ospedale dei Proti co-
stituisse una forma di tutela per la nobiltà minore minacciata «dall’arrivo del grande capitale veneziano» (ibidem, p. 116), non solo per motivi cronologici (Vicenza si era data a Venezia solo nel 1404), ma soprattutto per la scarsa penetrazione fondiaria del patriziato veneziano nel Vi- centino, come ricordato supra, pp. 8-9.
8Il testamento del cavaliere, pp. 78-79; Castellazzi, Il testamento di Spinetta Malaspina, p. 442. La probità richiesta ai nobili decaduti per l’accoglienza in ospedale era una limitazione imposta anche da un analogo istituto di Pavia, fondato nel 1389 su disposizione di Gian Galeazzo Viscon- ti, per assecondare le volontà della madre Bianca Maria di Savoia: Crotti, Il sistema caritativo-as-
sistenziale, pp. 106-107. La definizione di criteri etici per selezionare i poveri bisognosi di assistenza
si applicava anche a persone di più umili origini, come accadeva a Treviso, dove la confraternita di Santa Maria dei Battuti, non potendo soddisfare tutte le richieste di aiuto, privilegiava «le per- sone meritevoli e note ai confratelli, piuttosto che gli stranieri e gli indegni. In questo modo si de- finivano non solo i limiti della carità, ma anche quelli dell’integrazione sociale»: D’Andrea, L’O-
corte scaligera costituiva per tutti un sicuro luogo d’incontro9. Inoltre, entrambi
erano stati uomini di governo e d’armi, consapevoli delle sventure che potevano colpire i loro simili, vittime delle disgrazie politiche e militari del periodo (lo stesso Malaspina si era rifugiato a Verona in seguito allo scontro con Castruc- cio Castracani). Non sembra, quindi, improbabile che avessero sviluppato una comune sensibilità rispetto al problema della nobiltà in disgrazia.
Nondimeno, si deve considerare un altro fattore alla base della decisione di erigere un ospedale, a prescindere dalle finalità assistenziali che doveva esple- tare. Sia Spinetta Malaspina sia Giampietro Proti morirono senza eredi maschi, una situazione che comportava l’impossibilità di trasmettere per via diretta il proprio nome e la propria memoria. L’apertura di un ospedale doveva evi- dentemente ovviare a questo problema, legando il buon ricordo del fondatore e della casata alle attività benemerite di un’istituzione che teoricamente non avreb- be mai cessato di esistere. In questo senso si spiegano pure le iniziative dei co- niugi Bonafari per l’ospedale padovano di San Francesco10, e soprattutto quel-
la di Alberto de Belanth, fondatore dell’ospedale vicentino di Sant’Antonio Aba- te: anche il condottiero di origini tedesche condivideva con i suoi colleghi la con- dizione di uomo d’armi legato agli Scaligeri e senza eredi maschi11.
L’ospedale Sant’Antonio Abate, però, non diventò mai nell’uso comune l’o- spedale “de Belanth”, mentre quello di Santa Maria della Misericordia assunse presto l’appellativo di ospedale “dei Proti” e, a differenza del primo, sopravvis- se alla fusione degli antichi ospizi cittadini (portata a compimento nel 1775), tan- t’è che continua ancora oggi a svolgere i propri compiti assistenziali. In defini- tiva, si può sostenere che Giampietro Proti sia riuscito nell’intento di preserva- re la memoria del proprio nome, grazie anche all’abilità di riciclarsi politicamente da sostenitore degli Scaligeri a collaboratore della Serenissima. Dopo il 1404, in- vece, era certamente più difficile conservare a Vicenza la fama di Alberto de Be-
lanth, un conestabile straniero, non imparentato con le grandi casate vicentine
e, oltretutto, legato unicamente al ricordo di una dominazione pre- e anti-veneziana. Tuttavia, per una curiosa nemesi storica, sono le spoglie dell’armigero tedesco
9Giampietro Proti aveva lasciato per via testamentaria £ 20 alla chiesa veronese di San Zilio, «la
qual è apresso della casa di magnifici zentilhomeni quondam de meser Spinetta et meser Lunar- do Malaspina»: Il testamento del cavaliere, p. 75. Sembra che il nobile vicentino fosse succeduto proprio al marchese Malaspina nella carica di senatore a Siena: Magrini, Notizie del cav. Giam-
pietro de Proti, p. 16. Il nostro cavaliere era legato agli ambienti scaligeri anche da vincoli di san-
gue, dal momento che la madre proveniva dall’influente famiglia veronese dei Dal Verme, sulla cui affermazione si veda la monografia di Savy, Seigneurs et condottières.
10Bianchi, Il governo della carità, pp. 17-20.
11Nel caso di Alberto de Belanth, dovevano intervenire anche motivazioni di carattere più socia-
le e politico, come il desiderio del fondatore di ottenere maggiore accettazione in seno a una co- munità cittadina dove si presentava come straniero e invasore, similmente ai fondatori laici e stra- nieri di alcuni ospedali fiorentini, fra cui il condottiero Bonifacio Lupi di Soragna: Henderson, The
Renaissance Hospital, pp. 50-51. Sul miles parmigiano, che condivideva con il cugino Raimondi-
no la fondazione di un ospedale e la fedeltà ai da Carrara (supra, nota 7 a p. 123), si veda la voce di Angiolini, Lupi, Bonifacio.
quelle che riposano ancora oggi nell’ospedale civile di Vicenza (il San Bortolo), mentre i resti del Proti, inumati nella cappella di famiglia presso il duomo, sono andati dispersi durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale12.
Le disposizioni testamentarie di Giampietro Proti prevedevano che nel dor- mitorio ricavato dalle cantine della sua casa, al piano inferiore, fosse eretto «uno altare ficà in lo ditto muro cum doe colone de prea rasonevole fina, a dexe pìe alte per zascaduna (...) e questo altare sia clamà Sancta Maria della Misericordia». L’altare avrebbe dovuto ospitare una raffigurazione della Madonna, dipinta con un «mantello grande de color azuro, averto, et ella staga averta cum i brazi per redur sotto el so mantello molti peccadori, segondo usanza cum la fi empen- ta»13. L’intitolazione dell’ospedale a Santa Maria della Misericordia aveva già
due precedenti a Vicenza e manifestava una religiosità fortemente condizionata dalle confraternite dei battuti, che a Vicenza – lo si è ribadito più volte – era- no diffuse e ben radicate nel tessuto sociale urbano14. Ne è riprova la fortuna
del tema iconografico della Madonna misericordiosa, legato alla devozione dei flagellanti, sia in città sia in area veneta15.
12Sulle circostanze del ritrovamento e le caratteristiche della spada e degli speroni di Giampietro Pro-
ti, rinvenuti nell’arca trecentesca della cappella di famiglia presso la cattedrale di Vicenza, dopo i bom- bardamenti della seconda guerra mondiale, si veda Rigoni, Scalini, La spada e gli sproni, p. 233. 13Il testamento del cavaliere, pp. 78-79. Questa pala d’altare, attribuita a Battista da Vicenza, è visibile ancora oggi nella cappella dell’ospizio dei Proti; per un commento tecnico si rinvia a Ri- goni, I dipinti, scheda n. 1. L’oratorio dell’ospedale conservava anche una scultura, dedicata sem- pre alla Madonna Misericordiosa e attribuita a Nicolò da Venezia: Padovani, Le sculture, scheda n. 3s. Una «pictura imaginis virginis Marie» fu fatta dipingere anche nella casa padronale che l’o- spedale possedeva a Bolzano Vicentino: IPABVi, Proti, b. 30, reg. 4, c. 82r (23 luglio 1468). Come si vedrà più avanti, lavorarono per i Proti anche l’architetto Lorenzo da Bologna e il celebre pit- tore Bartolomeo Montagna (infra, nota 44 a p. 134, pp. 146-147), quest’ultimo ingaggiato pure dal- la confraternita di San Pietro per la decorazione del proprio gonfalone, come attestato in BBVi, Ss.
Pietro e Paolo, reg. 1, c. 46v (1494). Il ruolo degli ospedali vicentini come committenti di opere d’ar-
te trova riscontro in altre strutture minori, ad esempio l’ospedale dei Santi Ambrogio e Bellino, che nel 1491-1492 pagò un artista per decorare la facciata esterna della propria chiesa e «depengere el cielo sopra el crocifisso sopra l’altare de San Belin», e nel 1499 sborsò altri soldi per far dipin- gere «el palio de lo altare»: BBVi, Ss. Ambrogio e Bellino, b. 8, reg. 1, cc. 43v (1491-1492), 73v (30 aprile 1499). Spese simili furono sostenuto anche dall’ospedale di Sant’Antonio Abate, come già ricordato supra, p. 67. Il rapporto tra arte e assistenza è indagato con finezza d’analisi in Henderson,
The Renaissance Hospital, pp. 70-185 passim. Non mancano pubblicazioni che evocano questo
rapporto sin dal titolo, ad esempio: La Ca’ Granda. Cinque secoli di storia e d’arte dell’Ospedale
Maggiore di Milano; Il regno dei poveri. Arte e storia dei grandi ospedali veneziani in età mo- derna; L’Ospedale e la città. Cinquecento anni d’arte a Verona; Arte e assistenza a Siena; La bel- lezza come terapia. Arte e assistenza nell’ospedale di Santa Maria Nuova a Firenze.
14La diffusione del culto della Mater Misericordiae nel Vicentino è discussa in Pacini, Laici, chie-
sa locale, città, pp. 1-6.
15Sui possibili modelli di riferimento delle varie opere raffiguranti la Madonna misericordiosa e
sull’individuazione dei caratteri tipici di questa iconografia ispirata dal movimento dei battuti, di cui santa Maria della Misericordia costituiva una ricorrente immagine di identificazione e, quin- di, un frequente oggetto di committenze, si vedano: Dani, Devozione e iconografia; Rossoni, Ca-
Evidentemente Giampietro Proti aveva recepito e assecondato una com- ponente importante della religiosità cittadina, nel tentativo di garantire al nome del proprio casato un’imperitura memoria, ma orientato anche dalla tradizio- ne familiare, poiché già nel 1347 il padre Tommaso aveva istituito nel feudo di Alonte (un villaggio situato nel versante sud-occidentale dei colli Berici) una cappella «sub vocabulo beate Marie Misericordiose», per l’appunto, dotando- la con un beneficio in grado di assicurare una rendita annua di £ 10016.
La pala ordinata dal Proti per l’altare dell’ospedale riporta nella base que- sta iscrizione: «MCCCCXII HOC OPUS FECIT FIERI FRATALEA BEATE MA- RIE SEMPER VIRGINIS ET SANCTORUM APOSTOLORUM». Il riferimento alla fratalea riguarda un gruppo di battuti dedicato alla Vergine e agli apostoli, insediatosi presso l’ospedale dopo la morte del fondatore (il testamento di Giam- pietro Proti non ne fa cenno), ma probabilmente in rapporti con il cavaliere vi- centino quando era ancora in vita, altrimenti non si spiegherebbe l’intervento della confraternita quale committente della raffigurazione mariana, quasi a tu- tela delle disposizioni testamentarie del Proti stesso.
I documenti testimoniano la presenza di questo sodalizio a partire dal 1417- 1418: nel 1417 fu registrata la spesa di £ 1 s. 4 per «uno cavon» da mettere a una finestra che dava sulla strada, allo scopo di sostenere il «gonfalon d’i batù»; nel 1418 si spesero s. 17 per una serratura con catenaccio da mettere all’uscio «de la scola d’i batù»17. Sempre nel 1418 furono pagati £ 17 s. 2 al muratore mastro
Antonio «per la fatura de una volta […] fata su la salla d’i batù, i quale hè ve- gnù a stare su la caxa del dito hospealle»; nello stesso anno furono sborsati £ 4 s. 8 in favore di
Vicenzo Dal Ferro spiciale per II doperi comprà da ello per li povri che more en l’ospealle, i qual pexò VIIII libre e VIIII onze de cera lavorà, metù apreso di gastaldi de la fraia d’i
batù de Madona Santa Maria da la Misericordia, che s’è la caxa de l’ospealle18.
In definitiva, sembra che questa fraglia avesse finito per assumere il nome dell’ospedale che la accoglieva in una delle sue stanze, anche se l’esatta collo- cazione del sodalizio nel panorama religioso cittadino non è chiara19. In nes-
16BBVi, Archivio Gualdo Cerchiari, vol. 1, doc. 44 (14 luglio 1347); Maccà, Storia del territorio vi-
centino, tomo III, pp. 10, 21-23; Il testamento del cavaliere, pp. 66-68.
17IPABVi, Proti, b. 20, fasc. 5.
18IPABVi, Proti, b. «Liber gastaldionum et priorum ac famulorum», reg. 1, cc. n.n. (18 gennaio e
9 settembre 1418).
19L’intitolazione stessa della fraglia risentiva di alcune incertezze. Un testamento del 1420 si ri-
ferisce ancora alla «fratalia Batutorum Sancte Marie Sanctorum Apostolorum in domo Zampetri de Prothis», ma un altro testamento del 1435 parla dei «confratres de scola Sancte Marie de Ser-