• Non ci sono risultati.

1.6 Validità del modello impositivo europeo: crisi della

4.2.2 Attività istituzionale

Secondo la disciplina nazionale italiana contenuta all’articolo 4, quinto comma, secondo periodo, del DPR n. 633 del 1972, non costituisce esercizio d’impresa e, pertanto, non sono considerate attività commerciali: le operazioni effettuate dallo Stato, dalle Regioni, dalle Province, dai Comuni e dagli

139

altri Enti di diritto pubblico nell’ambito di attività di pubblica autorità126.

Tale previsione si ispira al contenuto dell’articolo 13 paragrafo 1 della Direttiva 2006/112/CE e deve essere interpretata secondo i principi elaborati nel tempo dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea. La formulazione letterale della disposizione nazionale coincide, nella sostanza, con quella contenuta nella Direttiva IVA che non fornisce una nozione di pubblica autorità ma si limita a considerare tali gli Stati, le Regioni, le Province, i Comuni e gli altri enti di diritto pubblico.

La sopra citata disciplina nazionale si limita ad affermare solo parzialmente i principi di diritto dell’Unione europea e della giurisprudenza della Corte di Giustizia. Ciò, nella parte in cui si limita ad affermare che le attività svolte dagli enti pubblici nella veste di pubblica autorità devono essere qualificate in ogni caso quali attività non commerciali e, conseguentemente, sono sempre escluse dall’ambito di applicazione dell’IVA.

126 La disciplina del presupposto soggettivo Iva, con riguardo all’esercizio d’impresa

da parte di enti pubblici, contenuta nell’art. 4, comma 5, secondo periodo, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, è stata modificata dall’art. 38, comma 2, lett. a), D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221.

140

La norma nazionale è carente, quindi, riguardo alle eccezioni - previste dalla disciplina eurounitaria - alla regola secondo cui gli enti pubblici non sono soggetti passivi per le attività di pubblica autorità.

Come già in precedenza evidenziato, l’esclusione della soggettività passiva per gli enti pubblici subisce, infatti, delle limitazioni sancite dalla Direttiva IVA. La prima è quella della salvaguardia della concorrenza. Secondo l’art. 13 della Direttiva IVA gli enti pubblici devono essere considerati soggetti passivi per le attività od operazioni poste in essere quando il loro non assoggettamento è in grado di determinare distorsioni della concorrenza di una certa importanza. Di converso, la soggettività passiva IVA degli enti pubblici va esclusa quando il non assoggettamento ad IVA degli stessi provocherebbe distorsioni di concorrenza trascurabili.

La Direttiva IVA prevede che gli enti pubblici sono, in ogni caso, considerati soggetti passivi per le attività elencate nell’allegato I della medesima Direttiva, a condizione che tali attività non siano effettuate su una scala così piccola da essere di trascurabile importanza. Si intende, in tal modo, garantire che talune categorie di attività economiche la cui importanza deriva

141

dal loro oggetto non siano sottratte all’IVA perché esercitate da enti di diritto pubblico. La previsione della Direttiva IVA consente agli Stati membri di esentare dall’assoggettamento obbligatorio le attività elencate all’allegato I, purché queste ultime siano trascurabili, ma non sono tenuti a fare uso di questa facoltà.

La predetta clausola di non trascurabilità, contenuta nell’art. 13 paragrafo 3 della Direttiva IVA persegue lo stesso obiettivo della clausola di salvaguardia della concorrenza di cui al paragrafo 2 del citato art. 13 della Direttiva IVA. Le attività elencate nell’allegato I della Direttiva IVA si presumono portare a distorsioni della concorrenza solo se effettuate su una non trascurabile scala. Altrimenti si può presumere che la distorsione della concorrenza sia non significativa.

Il recepimento di questi elementi di valutazione è comunque opzionale da parte degli Stati membri che sono liberi di trattare gli organismi di diritto pubblico che agiscono in quanto tali, come un soggetto passivo per le attività elencate nell’allegato I, ancorché essa siano di entità trascurabile.

I predetti principi sono stati accolti nella normativa nazionale italiana nei limiti di cui all’art. 4, comma 5, primo

142

periodo del D.P.R. n. 633 del 1972 si afferma che si considerano, in ogni caso, attività commerciali le attività di: cessioni di beni nuovi prodotti per la vendita, escluse le pubblicazioni delle associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona cedute prevalentemente ai propri associati; erogazione di acqua e servizi di fognatura e depurazione, gas, energia elettrica e vapore; gestione di fiere ed esposizioni a carattere commerciale; gestione di spacci aziendali, gestione di mense e somministrazione di pasti; trasporto e deposito di merci; trasporto di persone; organizzazione di viaggi e soggiorni turistici; prestazioni alberghiere o di alloggio; servizi portuali e aeroportuali; pubblicità commerciale; telecomunicazioni e radiodiffusioni circolari. Si tratta delle attività di cui all’allegato I della Direttiva IVA.

L’assoggettamento per le predette attività si applica a prescindere dell’agire dell’ente pubblico in veste di pubblica autorità e a prescindere dall’esistenza di una distorsione di concorrenza. L’unica circostanza rilevante è la natura dell’attività interessata.

143

L’esperienza insegna che quello degli enti pubblici è il settore che ha maggiormente coinvolto l’Amministrazione finanziaria a intervenire e chiarire con frequenti documenti di prassi. Operativamente sono notevoli le difficoltà di inquadrare le varie attività degli enti pubblici per i seguenti motivi:

a) le attività commerciali si affiancano a quelle tradizionali e istituzionali con utilizzo sovente di mezzi materiali (uffici, attrezzature informatiche, arredi, luce, gas, ed altro) e personale (amministrativo, di direzione, tecnico) in modo promiscuo con necessità di attribuzione dei relativi costi e spese;

b) le attività commerciali e/o industriali sovente non sono tipiche e permanenti e, pertanto, impegnano l’organizzazione contabile ed amministrativa per brevi periodi con evidente aggravio di costi per adattamento contabile ed amministrativo;

c) le attività commerciali e industriali esercitate dagli enti pubblici possono essere soggette fiscalmente a regimi contabili, amministrativi e documentali differenti che interferiscono con il regime di contabilità pubblica e speciale cui sono soggetti istituzionalmente i comuni.

144

4.3 Tutele nazionali della neutralità fiscale e della

Documenti correlati