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L’attività parlamentare

di Marco Severini

Un indicazione di metodo

Lungo l’intera seconda metà del Novecento lo studio dell’attività parlamentare italiana è rimasta nelle Marche un’autentica rarità sia per la frammentarietà della raccolta degli atti – quelli compresi fra l’Unità e la Repubblica sono conservati presso l’Istituto Storia Marche di Anco-na che, però, manca dei preziosi indici delle diverse legislature – sia per lo scarso interesse storiografico da parte degli addetti ai lavori.

Se si considera che fino a pochi anni fa quasi nulla si conosceva su quel ceto dei notabili che governò le province adriatiche in età libera-le, non deve stupire che la concentrazione delle ricerche – tutt’altro che non scevra da precisi orientamenti ideologici – sulle forze e sui movi-menti politici antisistema, sovversivi e di sinistra abbia congelato in un prolungato oblio sia i profili biografici di chi ha assunto responsabilità di governo sia della militanza parlamentare.

Le Marche sono una realtà dall’identità labile e il loro processo di regionalizzazione si è rivelato quanto mai complicato. Di recente, par-te dell’ultima generazione di storici ha iniziato ad occuparsi del ruolo dei notabili, ricercando archivi e carteggi, confrontandosi con i più ag-giornati indirizzi di studio e superando non poche resistenze a livello culturale 5.

5 Menziono, a titolo puramente esemplificativo, M. Severini, Vita da deputato. Rug-gero Mariotti 1853-1917, Marsilio, Venezia 2000, e L. Gorgolini (a cura di), Ange-lo Battelli. L’uomo, 1853-1917, Marsilio, Venezia 2000, e L. Gorgolini (a cura di), Ange-lo scienziato, il politico. Atti del convegno di studi di Macera-ta Feltria-24 aprile 2004, Società di studi storici per il Montefeltro, S. Leo 2005.

Scrivere di notabili e di deputati in una terra così particolare, auten-tico caleidoscopio di differenti microcosmi, comporta il rischio della generalizzazione. D’altro canto, le Marche contemporanee rappresen-tano un interessante caso di studio per almeno tre motivi: la compre-senza, nella società politica di elementi di continuità e di mutamento;

l’esistenza di archivi e documentazioni notabilari, custoditi in strutture pubbliche e private; la tradizionale medietà della regione tra nord e sud della penisola6.

Come gli studi più aggiornati hanno messo in evidenza, l’attività po-litica e parlamentare era strettamente connessa con quella professiona-le, sociale ed economica.

Un caso particolarmente studiato in una periferia mezzadrile, che con sensibile ritardo si è avviata sulla strada dell’urbanizzazione e della modernizzazione, è rappresentato dai deputati-avvocati, cerniera inelu-dibile dei rapporti centro-periferia e delle professionalità borghesi non solo per il sessantennio liberale, ma anche per la successiva storia no-vecentesca. E non casualmente la storiografia marchigiana su questa categoria si è recentemente arricchita di innovativi contributi: essi era-no gli oculati patrocinatori degli innumerevoli interessi locali; gli espo-nenti che trovavano la legittimazione non tanto in un indistinto consen-so popolare quanto nella incontrastata protezione del mondo dei grandi elettori; le figure che regolavano l’articolato rapporto tra Parlamento, deputazione e collegio, rispondendo alla molteplicità degli interessi lo-cali e funzionando al contempo da strumento di coesione sociale, pre-ferenziale circuito comunicativo e impulso a transazioni politiche; gli attenti negoziatori nei rapporti centro-periferia e il gestore di una cam-pagna elettorale filtrata da pratiche raccomandatizie, pressioni, favori e

6 M. Severini, I notabili: ruolo storico e bilancio storiografico, in «Pesaro città e contà», n. 27, 2008, pp. 65-72; Id., La rete dei notabili. Clientele, strategie ed ele-zioni politiche nelle Marche in età giolittiana, Marsilio, Venezia 1998. Al tema, inoltre, ho dedicato un recente studio in corso di pubblicazione, Le Marche, in Caratteri e geografia del notabilato italiano, a cura di R. Camurri e L. Musella, Le Monnier, Firenze 2012.

compera del voto attorno a cui gravitavano broker, agenti e mediatori 7. Non è improprio sostenere la tesi, ancorché gli studi siano ancora in una dimensione per certi versi primordiale 8, secondo cui il mondo dei notabili in parte sopravvisse, pur in una quota modesta e sotto vesti tra-sformistiche, durante il periodo fascista e riprese corpo nelle prime le-gislature repubblicane 9.

Il recente avvio dell’informatizzazione degli atti parlamentari da parte della Camera dei Deputati ha reso molto più snello un settore di ricerca riservato ad una élite di studiosi fino a poco tempo fa: così si so-no avute le prime pubblicazioni figlie di questa nuova fase e riguardanti personaggi assolutamente trascurati dagli studi 10.

Resta però da indagare quei variegati ceti della piccola-media bor-ghesia che ruotavano attorno alla classe proprietaria e a quella forense.

In particolare, il mondo delle «altre» professioni liberali e borghesi attende ancora una ricostruzione aggiornata e metodologicamente av-veduta: mancano ricerche sugli insegnanti dei diversi ordini e gradi, su

7 Sugli avvocati rinvio a M. Severini, Gli avvocati marchigiani, in Gli avvocati che fecero l’Unità in due importanti opere della storiografia nazionale e marchigiana: A. Lepre, Sto-ria della prima Repubblica. L’Italia dal 1945 al 1998, il Mulino, Bologna 1999 (1° edizione, 1993) e Le Marche dalla ricostruzione alla transizione 1944-1960, a cura di P. Giovannini, B. Montesi e M. Papini, il lavoro editoriale, Ancona 1999.

10 Ricordo, a titolo di esempio, E. Marsili, Miss Montecitorio non rinuncia alla ma-ternità. L’attività parlamentare di Maria Pucci (1948-1950), Codex, Milano 2011 e S. Mosca, Un comunista ortodosso. L’esperienza umana e politica di Virginio Borioni, Codex, Milano 2011.

medici, commercialisti, dipendenti comunali, ragionieri e geometri, in-somma su tutte quelle categorie sempre più coinvolte, con l’avvento della Repubblica, nei processi di trasformazione e borghesizzazione.

E proprio di un geometra e commercialista intendiamo parlare in questa sede, di un professionista assurto dalla periferia pedemontana agli albori della politica nazionale attraverso un’intensa attività parla-mentare nel complesso frangente storico che va dal 1958 alla fine degli anni settanta.

Il figlio di Monterosso

L’11 giugno 1980 Oscar Luigi Scalfaro, vice presidente della Came-ra dei Deputati, commemorò Albertino Castellucci e altri tre deputati recentemente scomparsi con queste parole: «Il suo vasto impegno ave-va il marchio di un grande equilibrio, di una esperienza proave-vata, e so-prattutto di umana saggezza» 11.

Proclamato deputato il 5 giugno 1958, iscritto al gruppo parlamen-tare della Democrazia cristiana il 18 giugno seguente, Castellucci vide convalidata la propria elezione in Parlamento il 25 settembre 1958.

In sei legislature, tra 1958 e 1980, anno della sua morte, Castellucci svolse 766 interventi parlamentari tra proposte di legge, relazioni scritte presentate, interrogazioni con risposta scritta, attività legislativa in As-semblea e in Commissione e attività non legislativa.

Il tutto per una media di 127, 6 interventi a legislatura: quella più tensa fu la sua seconda, cioè la IV repubblicana (1963-68), con 179 in-terventi: e proprio al termine di quest’ultima, tra il giugno e il dicem-bre 1968 fu sottosegretario alla presidenza del Consiglio del II governo Leone.

La stragrande maggioranza di questi interventi è rappresentata dai 530 progetti di legge presentati, singolarmente o insieme ad altri depu-tati: 11 nel 1958, 15 nel 1959, 11 nel 1960, 11 nel 1961, 17 nel 1962,

11 Atti Parlamentari (d’ora in poi AP), Camera dei Deputati, Discussioni, VIII legi-slatura, seduta dell’11 giugno 1980.

25 nel 1963, 17 nel 1964, 12 nel 1965, 9 nel 1966, 20 nel 1967, 25 nel 1968, 33 nel 1969, 31 nel 1970, 20 nel 1971, 56 nel 1972, 14 nel 1973, 20 nel 1974, 16 nel 1975, 45 nel 1976, 18 nel 1977, 20 nel 1978, 78 nel 1979 – il punto più alto – e 2 nel 1980, anno della scomparsa.

Gli altri interventi sono classificati come interventi (230); si contano, inoltre, 68 atti di indirizzo e controllo 12.

Un aspetto rilevante della carriera politica di Castellucci è indubbia-mente rappresentato dalla militanza cattolica.

Nato il 23 settembre 1910 a Monterosso di Sassoferrato – terra da cui discenderanno le «scelte decisive» della sua intera esistenza 13 – e rampollo di una famiglia di piccoli agricoltori ma di solidi principi cri-stiani, Albertino Castellucci studiò preso i collegi dei Salesiani di Gual-do Tadino e Perugia, diplomanGual-dosi agrimensore e conseguenGual-do poi la laurea in Scienze economiche all’Università di Roma. Già giovanissi-mo militò in un giovanissi-movimento cattolico che stava ricostituendosi: da qui, l’esperienza nelle Acli, nell’Azione Cattolica, nel Movimento laureati della AC, nei Comitati Civici, nella Coldiretti, nata nel 1944 e di cui nel

’46 divenne socio fondatore della sezione di Ancona.

Appartiene ad un humus in cui si ripercuotono gli avvenimenti della limitrofa Fabriano, la tradizione politica e sindacale del movimento cat-tolico marchigiano, i richiami vivi della Chiesa e del cattolicesimo so-ciale umbro (in particolare della diocesi di Nocera e Gualdo), ma anche l’impegno dei protagonisti del popolarismo post-bellico.

A 34 anni, nel 1944, Castellucci fondò a Sassoferrato la sezione del-la Dc, entrando nel Comitato provinciale di Ancona e, nel 1949, venne eletto vice segretario provinciale: dal 1954 al 1958 tenne la segreteria regionale del partito. Anche la sua attività amministrativa fu in continua crescita: assessore comunale con il Cln nel 1944-45, condusse una lotta

12 Htpp://storia.camera.it/deputato, ad vocem.

13 R. Mancinelli, Albertino Castellucci. Vicenda politica e impegno sindacale, Isti-tuto internazionale di Studi Piceni – Federazione provinciale coltivatori diretti di Ancona, Perugia 1995, p. 14.

vivace contro i social-comunisti e portò la Dc alla vittoria nelle ammi-nistrative del 1951.

Da quest’anno fino al 1970, con alcune interruzioni, fu sindaco di Sassoferrato, carica che tornò a ricoprire nuovamente tra 1972 e 1975;

il suo impegno amministrativo fu caratterizzato dalla ferma adesione alla linea politica democristiana che portò in una località pedemontana che si avviava verso un progressivo spopolamento alla costruzione di importanti infrastrutture (la circonvallazione del Castello; la correzio-ne di tratti pericolosi sulle strade di Montelago e Monterosso; la coper-tura fiume Sanguerone; la realizzazione campo sportivo e dell’acque-dotto cittadino; la costruzione di edifici scolastici nel circondario), alla valorizzazione del settore culturale (nacquero in questi anni la Galleria d’Arte moderna, la nuova Pretura, il Liceo Scientifico, mentre sul finire degli anni cinquanta – contestualmente al suo ingresso alla Camera – si registrarono le imponenti celebrazioni per il 6° centenario della mor-te del grande giurista Bartolo da Sassoferrato e la nascita dell’Istituto Internazionale degli Studi Piceni, di cui assunse la vicepresidenza: an-cora, furono avviati gli scavi dell’antica Sentinum e istituito il Premio Salvi).

Nell’attività parlamentare Castellucci rivelò maggiore competenza nel settore finanziario e tributario: si batté per un sistema fiscale moder-no ed efficiente e per conseguire una più equa giustizia tributaria; il si-stema di riscossione era, secondo il deputato marchigiano, datato e af-fidato ad una serie di organi pubblici che andavano dallo Stato fino agli enti assistenziali e previdenziali, ma con tributi spesso contrastanti fra di loro e una confusione che penalizzava il contribuente. L’unificazione e l’automazione del sistema di riscossione era la strada da perseguire, a detta di Castellucci, insieme alla riorganizzazione dei ruoli organici e al potenziamento economico del personale. Tali questioni alimentavano un vero e proprio serbatoio elettorale, ma Castellucci era consapevole delle regole del gioco politico e parlamentare e le utilizzò per consoli-dare la propria posizione.

Non casualmente fu questo il tema del suo esordio in aula, nella

se-duta pomeridiana del 6 settembre 1960, allorché intervenne per soste-nere l’imminente approvazione del disegno di legge contenente le nor-me relative alla sistemazione dei bilanci comunali e provinciali e alle modificazioni di alcune disposizioni in materia di tributi locali. Nel te-sto pervenuto dal Senato dopo un lungo iter iniziato con la sua presen-tazione il 10 ottobre 1958, Castellucci evidenziava come il provvedi-mento fosse «motivo di soddisfazione» non solo per il Parlaprovvedi-mento e per il governo, ma soprattutto per gli amministratori degli ottomila comuni italiani, «anche se le loro attese sono soltanto parzialmente realizzate»;

infatti, precisava il deputato sentinate

I principi che vi sono accolti costituiscono tuttavia un serio impegno del Governo e del Parlamento di affrontare a non lontana scadenza la riforma generale della finanza locale ed il suo definitivo coordinamento con la finanza statale, la cui necessità è stata posta ampiamente in luce nella chiara relazione del collega onorevole Restivo e nella discussione svoltasi nell’altro ramo del Parlamento.

Anche nei limiti del presente provvedi mento, si deve giustamente rilevare che esso contribuisce da un lato al sollevamento dei comuni e delle province da alcuni oneri afferenti a servizi che non sono di com-petenza degli enti locali, ma rispecchiano finalità proprie dello Stato, e dall’altro lato allo sgravio di tributi o al temperamento di altri che in-fluiscono sull’alleggerimento della pressione fiscale, che aveva messo a dura prova le categorie più umili dei contribuenti.

Le categorie agricole, in particolare delle zone economicamente e socialmente depresse, come i territori montani, accoglieranno con gran-de favore le disposizioni di questo provvedimento stralcio gran-della riforma della finanza locale, perché, come è provato da inoppugnabili statisti-che, la pressione tributaria locale

è la più alta nei comuni poveri, e ciò per inevitabili ragioni, conse-guenti al funzionamento dei servizi essenziali e all’assolvimento dei

compiti di istituto dei comuni e delle province 14.

Anche il settore finanziario fu oggetto delle sue iniziative alla Came-ra, anzi, insieme all’aspetto tributario, costituì una delle parti più signi-ficative del suo impegno legislativo.

Certo, ad altre tematiche Castellucci dedicò tempo e lavoro, come l’esigenza di modernizzare la rete stradale e ferroviaria, l’agricoltura, la difesa di alcune categorie professionali, come i geometri e i dottori commercialisti.

Ma l’attività in Parlamento fu soprattutto focalizzata sui temi tribu-tari e finanziari. Nella prima legislatura Castellucci comparve come re-latore su diversi disegni di legge e delle dieci proposte di legge presen-tate ben cinque divennero leggi dello Stato, tra cui quella che estendeva determinate facilitazioni a tutti gli impiegati statali, una norma che gli regalò una qualche notorietà.

Su un piano più strettamente politico, Castellucci si distinse come uno dei giovani dirigenti della Democrazia cristiana che abbandonaro-no iniziali velleità culturali per dedicarsi principalmente o completa-mente alla politica: veri funzionari della politica intesa come gestione del potere, come ramificazione nel territorio e impegno verso gli inte-ressi materiali delle popolazioni. E soprattutto negli anni della sua se-greteria regionale va osservato che il rapporto di continuità fra la Col-diretti anconitana e la Dc riassunse, a grandi linee, i connotati di quel-lo instauratosi a livelquel-lo nazionale, addirittura evidenziando, su alcuni aspetti, una compenetrazione ancora più pronunciata. Fu un rapporto che si sviluppò anche attraverso l’elezione di esponenti nuovi e dinami-ci in Parlamento e, se nel 1953 il candidato Castellucdinami-ci non riuscì a fa-re il proprio ingfa-resso alla Camera – venne eletto Giuseppe Mario Boi-di –, entrò in Parlamento nel maggio 1958, tra i rappresentanti della III legislatura.

Siamo negli anni della segreteria Fanfani, di una Dc che non era so-lo il partito dei cattolici, ma anche il partito delso-lo Stato: non più, però,

14 AP, Camera dei Deputati, Discussioni, III legislatura, seduta del 6 settembre 1960, p. 16402.

nell’accezione degasperiana di difesa delle istituzioni dai pericoli de-gli opposti estremismi, ma in quanto partito dell’amministrazione pub-blica e, soprattutto, dell’economia pubpub-blica. Era il frangente, per usare una formula, della interpenetrazione del partito con lo Stato. In sostan-za, Fanfani si mosse nella direzione opposta a De Gasperi: la Dc era lo Stato, il segretario intendeva sottrarre il partito alle tutele esterne e per questo doveva fornirgli un’identità autonoma da affiancare a quella dei valori religiosi. Da incentivi simbolici si passò così ad un impegno più ampio, attraverso l’occupazione dello Stato e la ridistribuzione delle ri-sorse 15.

È noto come questi siano stati, soprattutto, gli anni del boom econo-mico, del passaggio dalla società rurale e contadina a quella industriale, nei quali il mondo rurale fu monopolizzato dalla Democrazia cristiana e la Coldiretti risultò una potentissima organizzazione degli agricolto-ri legata a filo doppio al partito di maggioranza 16. Ma mentre il mondo delle campagne stava scomparendo e si poneva, all’interno della Dc, l’esigenza di controllare le risorse della società industriale e dei servizi attraverso la colonizzazione dell’amministrazione e del settore pubbli-co dell’epubbli-conomia, sul finire degli anni cinquanta, in pubbli-conpubbli-comitanza pubbli-con l’apogeo fanfaniano, il nuovo modello di reclutamento “bianco” muta-va la distribuzione geografica degli iscritti, con i voti del Mezzogiorno che per la prima volta superavano quelli raccolti nel triangolo indu-striale, e la stessa regione “più bianca” della penisola – il Veneto – che si attestava solamente al sesto posto 17.

15 P. Ignazi, I partiti italiani, il Mulino, Bologna 1997, p. 22; Lepre, Storia della prima Repubblica, cit., pp. 176-181 e ss.

16 Sul rapporto interattivo tra la Coldiretti e la Dc e su quello che è stato definito una specie di «partito nel partito» si veda la vasta documentazione conservata in Istituto Storia Marche, Archivio Albertino Castellucci.

17 P. Ignazi, I partiti italiani, cit., p. 23.

Per le Marche e per lo Stato

L’ingresso in Parlamento di Castellucci era avvenuto in una fase par-ticolarmente difficile e contrastata per la Democrazia cristiana, a cau-sa dell’accentuazione della linea di opposizione a Fanfani. Il sentinate restò allineato alla solidarietà verso il leader toscano, anche se scelse come interlocutori parlamentari due personalità di spicco come Pao-lo Bonomi, soprattutto per tutto ciò che atteneva la politica agricola, e Fernando Tambroni, in quella fase particolarmente attento ai problemi marchigiani.

L’attività svolta nel corso della sua prima legislatura risultò notevo-le e qualificante, spaziando dal bilancio statanotevo-le al regime pensionistico, dal funzionamento della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza dei geometri alla posizione del personale dell’Amministrazione delle Imposte di Consumo. Ma Castellucci, in collaborazione con il collega Ermanno Gorrieri, sottopose a La Malfa e Fanfani la questione – a lui particolarmente cara – della montagna, con i temi «nodali e ineludibi-li della ‘635’». Un ulteriore modo per testimoniare l’attaccamento alle origini, il legame con quella terra da cui derivarono tutte le scelte deci-sive della sua esistenza, da quelle familiari e personali a quelle profes-sionali, da quelle etiche alla stessa militanza politica 18.

Negli anni di crescita dell’intero paese, anche le Marche – regione troppo spesso dimenticata dagli organi centrali – furono attraversate da profonde istanze di cambiamento e di modernizzazione: dal potenzia-mento delle infrastrutture, compreso quello dell’aeroporto di Falcona-ra-Ancona all’istituzione del Parco Nazionale dei Sibillini, dalla tutela di determinate professioni alle esigenze della marineria adriatica (il 2 marzo 1965 venne nominato presidente dell’Ente Fiera di Ancona alla cui crescita contribuirà con una serie di idee, proposte e sperimentazio-ni davvero innovative).

Il tema della modernizzazione della sua regione andava di pari pas-so con il potenziamento delle comunicazioni viarie e ferroviarie: il 29

18 Mancinelli, Albertino Castellucci, cit., p. 14.

marzo 1962, svolgendo un suo ordine del giorno con cui impegnava il governo a mantenere e potenziare, completando la ricostruzione del tronco Pergola-Fermignano ancora inattivo per cause belliche, tutta la rete ferroviaria marchigiana, ebbe a dire:

Confido che, alla luce di queste pur brevi considerazioni, sia ormai maturo il problema per essere definito al fine di dare tranquillità e sicu-rezza alle popolazioni marchigiane, poiché il sistema ferroviario con-correrà notevolmente allo sviluppo economico e sociale della regione, per il quale ferve veramente un impegno solidale delle popolazioni e delle autorità 19.

Molto intensa fu la partecipazione di Castellucci ai lavori delle Com-missioni parlamentari. La Commissione da lui prediletta fu quella della Finanza e del Tesoro (la VI della Camera), di cui fu pure vicepresiden-te; ma prese pure parte a Commissioni parlamentari d’inchiesta (mafia, limiti posti alla concorrenza in campo economico) e di Commissioni di vigilanza, della “Commissione dei Trenta”, di quella per la nuova leg-ge sulle aree depresse e di altri organismi parlamentari istituzionalizza-ti. Ancora fu membro del Consiglio d’Europa e di numerose delegazio-ni inviate in missione economica all’estero (in particolare a Bruxelles, presso la CEE).

Dopo aver trascorso sedici mesi (ottobre 1964-gennaio 1966) in Sar-degna, su incarico del partito, a riorganizzare come commissario del Comitato provinciale di Cagliari una grave crisi interna 20, il deputato Castellucci tornò a caratterizzare la sua attività parlamentare con prov-vedimenti particolarmente qualificanti: fu tra i firmatari della proposta per gli interventi straordinari a favore delle aree depresse del centro-nord, divenuta legge il 22 luglio 1966; il 4 febbraio 1967, inoltre,

di-19 AP, Camera dei Deputati, Discussioni, III legislatura, seduta del 6 settembre 1960, p. 29494.

20 Mancinelli, Albertino Castellucci, cit., pp. 106-108.

venne legge la sua proposta di riordinamento della Cassa nazionale di previdenza dei geometri, mentre negli anni successivi avrebbe avuto una parte di rilievo nel riconoscimento giuridico del riposo festivo dei

venne legge la sua proposta di riordinamento della Cassa nazionale di previdenza dei geometri, mentre negli anni successivi avrebbe avuto una parte di rilievo nel riconoscimento giuridico del riposo festivo dei