IV) e nell’ International Classification of Mental and Behavioral Disorders (ICD-10) sotto il
2.4. Autismo: dalla sua prima descrizione al riconoscimento dell’importanza dei fattori genetic
Fattori ambientali nell’autismo: Come già detto, il termine autismo è stato reso pubblico per la
prima volta intorno alla metà del secolo scorso da Leo Kanner (1943) il quale descrisse 11 bambini (8 maschi, 3 femmine) la cui condizione differiva dal ritardo mentale. Kanner notò che la caratteristica che accomunava questi bambini era l’“inabilità innata per i contatti interpersonali” e denominò questo disturbo come “autismo infantile” [Kanner, 1943)].
Un anno dopo in Germania Hans Asperger descrisse casi simili che chiamò “psicopatia autistica” [Asperger, 1944].
Negli anni ’60-’70 alcuni studiosi, quali Bergmann, Escalona, Rimlaand e Pronovost, sostennero l’ipotesi di una base psicologica nell’autismo
Secondo questi ultimi la causa della sindrome autistica era da ricercare nel rapporto patologico del bambino con i genitori e in particolar modo con le madri, definite “madri frigorifero”, ed in particolare sulla rottura troppo precoce del rapporto di dipendenza madre-bambino o su una non risposta della madre al bambino.
Successivamente, tuttavia l’infondatezza delle teorie psicologiche è stata chiaramente dimostrata. Nella ricerca di fattori ambientali che potessero dare un contributo all’eziologia del disturbo sono stati presi in esame gli alimenti nella dieta di quella minoranza di bambini autistici che mostravano problemi gastrointestinali [Page, 2000]. È stata anche avanzata l’ipotesi di un’infezione virale da Rosolia, Hemophilus influenzae, citomegalovirus durante o dopo la gravidanza, o l’utilizzo di vaccini contenenti mercurio (come il vaccino trivalente measles-
mumps-rubella, MMR) [Wakefield et al., 1998] o thimerosal. Tuttavia nessuna di queste
associazioni è risultata significativa [Peltola et al., 1998; Taylor et al., 1999; Medical Research Council, 2001].
Studi neuroanatomici e neurochimici: Nel tentativo di individuare specifiche anomali
neuroanatomiche associate all’autismo sono stati condotti studi post-mortem di cervelli di individui affetti [Baily et al., 1998]. I vari studi hanno evidenziato anomalie dello sviluppo corticale, un aumento della densità neuronale a livello del sistema limbico, anomalie nello
sviluppo del tronco encefalico ed un ridotto numero delle cellule del Purkinje nel cervelletto [Baily et al., 1998; Kemper e Bauman, 1998]. Tuttavia nessuna di queste anomalie è stata riscontrata in un numero significativo di individui. La scoperta di tipo neuroanatomico più interessante è stata l’osservazione che circa il 20% degli individui autistici, provenienti da sette studi diversi, mostrava macrocefalia [Miles et al., 2000]. Questa associazione si è dimostrata così chiara in alcune popolazioni da suggerire l’utilizzo della circonferenza cranica come uno degli strumenti di screening per l’autismo [Bolton et al., 2001].
Altri studi hanno evidenziato il coinvolgimento di vari neurotrasmettitori; le evidenze più significative riguardano la presenza di elevati livelli di serotonina (5-HT) nel sangue, nelle urine, nel liquido cerebro-spinale e nelle piastrine di individui autistici [Schain & Freedman, 1961; Gillberg & Coleman et al., 1992; Cook&Levental, 1996]. Questi dati hanno acceso l’interesse per il sistema serotoninergico, dato il ruolo della serotonina nello sviluppo del sistema nervoso centrale (CNS) e il suo coinvolgimento nei meccanismi alla base del comportamento sociale ed affettivo, del sonno, dell’aggressività e dell’ansia: tutti aspetti compatibili con alcune caratteristiche fenotipiche dell’autismo. Il gene che codifica per il trasportatore della serotonina (5-HTT) è stato oggetto di studio come possibile gene candidato per l’autismo, ma i risultati ottenuti sono contrastanti e poco chiari [Cook et al., 1997; Klauck et al., 1997; Maestrini et al., 1999; Zhong et al., 1999; Persico et al., 2000;Cook et al., 2001].
I fattori genetici nell’autismo: Alcuni decenni dopo la prima descrizione dell’autismo, a partire
dagli anni ’70, sono stati condotti i primi studi epidemiologici su famiglie e su coppie di gemelli che riconobbero il ruolo centrale della genetica nell’eziologia dell’autismo [Rutter e Folstein, 1977; Rutter, 2000; Folstein and Rosen-Sheidley, 2001; Lamb et al.,2002]. Nello studio più ampio condotto finora [Bailey et al. 1995] il tasso di concordanza per l’autismo in coppie di gemelli monozigotici (MZ) risulta notevolmente alto (circa 60%), rispetto al valore riscontrato nelle coppie di gemelli dizigotici dello stesso sesso (DZ) (circa 3%). Se si considerano anche disturbi sociali e di comunicazione meno gravi, ma qualitativamente simili a quelli dell’autismo (il cosiddetto “broader phenotype”), il tasso di concordanza nei gemelli MZ aumenta fino a 92% e nei DZ raggiunge il 10% (Figura 12).
Figura 12: Concordanza nei gemelli monozigotici (MZ) e diziotici (DZ) dello spettro dei disturbi connessi
all’autismo.
Inoltre, studi di ricorrenza familiare [Szatmari et al., 1998] stimano che la percentuale di rischio in fratelli di individui affetti sia attorno al 3-4%, quindi con un rischio di ricorrenza (λs) per i fratelli di bambini autistici di 30-40 volte maggiore rispetto al tasso di prevalenza nella popolazione generale.
Gli studi su famiglie e su coppie di gemelli hanno evidenziato che individui che fanno parte di una famiglia in cui c’è un soggetto autistico, presentano più frequentemente caratteristiche del
broader phenotype. Il broader phenotype si differenzia dall’autismo in quanto comprende lievi
anomalie del comportamento quali eccessiva timidezza, distacco e disinteresse per le interazioni sociali, ansia e interessi limitati, ma non è associato con ritardo mentale o fenomeni di epilessia [Rutter, 2000]. Attualmente non è chiaro se il broader phenotype derivi dall’aver ereditato un numero inferiore di geni di suscettibilità, un pattern diverso di tali geni, o entrambe queste condizioni. Probabilmente, all’interno di una stessa famiglia, rispetto ad un individuo che presenta broader phenotype, l’autismo propriamente detto si manifesta quando un individuo eredita un numero maggiore di fattori di rischio (o vi è sottoposto a causa di particolari fattori ambientali).
Pur essendoci chiare evidenze scientifiche sulla base genetica dell’autismo, non sono ancora noti né il modello di ereditarietà genetica, né i fattori ambientali che conferiscono un rischio di
Gemelli DZ Gemelli MZ
Nessun disturbo Autismo Disturbi cognitivi e delle interazioni sociali Disturbi cognitivi Disturbi delle interazioni sociali
insorgenza in individui geneticamente suscettibili. E’ stato proposto un modello ad ereditarietà complessa secondo il quale si ipotizza siano coinvolti da un minimo di tre o quattro loci [Pickles et al.,1995] fino ad oltre 15 loci [Risch et al., 1999; Lamb et al., 2002], che interagiscono in modo epistatico (eredità poligenica o oligogenica).
La complessità clinica e l’eterogeneità del fenotipo autistico riflettono probabilmente la presenza di eterogeneità genetica (geni differenti o combinazioni diverse di geni possono essere coinvolti in famiglie diverse). Altri fattori come il sesso o i fattori ambientali possono dare un loro contributo ad una particolare espressione fenotipica. Inoltre meccanismi epigenetici come difetti nella metilazione del DNA o anomalie nell’imprinting sono stati proposti come possibili fattori coinvolti nell’eziologia del disturbo autistico [Abdolmalekyet al., 2004; Lamb et al., 2005]. Probabilmente varianti funzionali nei geni di suscettibilità hanno un effetto debole o moderato nel processo patologico: ciascun locus, da solo, contribuisce ad aumentare il rischio di sviluppare la malattia, ma non è in grado di determinare il completo fenotipo clinico (Figura13).
Figura 13: Modello multifattoriale a soglia: il raggiungimento della soglia del broader phenotype richiede un
numero inferiore di fattori di rischio rispetto al raggiungimento della soglia del disturbo autistico.
SOGLIA BROADER