sperava avere nelle sue mani i suoi ribelli per fare le sue vendette come già il 26 maggio le aveva fatte su Ciro Menotti.
Sull inizio del le famiglie di questi infelici sanno finalmente che i loro cari non saranno consegnati al Duca di Modena. E alla fine davvero giunge l’ordine di liberazione, il 30 maggio. Quattor
dici mesi di prigionia, senza alcuna accusa plausibile, dopo un ar
resto in violazione del diritto delle genti, si chiudevano con una espulsione non meno vergognosa per chi la pronunciava, delle inique violazioni compiute. Imbarcati in branco, come pecore, e sempre prigionieri sulla «Medea» giunsero a Marsiglia dopo 28 giorni di na
vigazione.
132 Ra s s e g n a Bi b l i o g r a f ì c a
Ma il Governo francese non volle che vi sbarcassero, e li rinviò’
a Tolone, donde poco mancò non li inviassero in Algeria ! Per in tercessione a ltru i finalmente si concede loro lo sbarco, purché r iti
rino il passaporto per la Svizzera. Decisamente erano anim ali in fetti Î Alle proteste generali il Governo francese ebbe tuttavia ver
gogna di sè stesso e concesse loro di restare in Francia, dopo una sosta comune a tu t t i in Moulins. D i lì, più tardi, diramarono per la Francia e l ’Inghilterra, a guadagnar il pane «che sa di sale».
In una sua breve memoria « I bolognesi prigionieri politici a Ve
nezia nel 1831 » F u l v i o C a n t o n i ci dà vari documenti sugli atti del Governo Provvisorio ad Ancona dal 22 al 26 marzo '31, aggiungen
dovi « un breve carteggio inedito fra i fratelli conti Rangone » e contribuendo così alla storia dei patrioti prigioni in Venezia.
I l generale! Zucchi, come disertore austriaco, venne condannato a morte, poi per grazia rinchiuso in fortezza da cui lo liberò sol
tanto la insurrezione del 1818.
* -* *
Non possiamo assistere senza viva simpatia al gradito fenomeno di uno straniero, C. Vi d a l, che con animo amico si interessa viva
mente alla nostra storia, sceglie il periodo di essa meno conosciuto a ll’estero e non studiato affatto, e non solo, lo fa oggetto di lunghe amorose ricerche in Francia, ma viene in Ita lia a scrutare i nostri Archivi e le nostre opere, costringendosi persino alla fatica di ap
prendere la nostra lingua.
I l volume che si in tito la : Louis Philippe, Metternich e/ la crise italienne de 1831-32 à il merito di studiare quel periodo ita liano con larghezza di vedute, collegandolo alle vicende contempo
ranee d’Europa, imperniate alla Francia e ali’Austria, ed estenden
done i lim iti nel tempo ; dal 1830 al ’32.
In F rancia il V idai non poteva contare su notevoli pubblica
zioni : qualcuna sulle società segrete, dall’antico De La Hodde (18o0) al· recentissimo Perreux (1931) : i ricordi del Sainte-Aulaire, im portanti, pubblicati del 1929, e le notizie sull’ambasceria del De B a
rante presso il Re di Sardegna (1930), anche queste di grande va
lore. D ella produzione italiana, oltre il solito materiale delle Memo
rie varie di antica pubblicazione (quali il La Cecilia, il Mamiani) e dei vecchi storici (Cantù, Bianchi), pochissimo dei recenti. Oltre ad un a accurata conoscenza della nostra Rivista storica del Risorgimen io , consultò lo studio del Michel sul Guerrazzi (1904), gli studi dello Sforza sulla rivoluzione del '31 e sul Misley (1909, 1917), e sul Risor
gimento del Manfroni (1924).
Tolto un articolo del Canevazzi, ignora tutto il lavoro della
.scuola Emiliana e Marchigiana; ed è naturale perchè contempo
raneo al suo.
Ma questo auzichè nuocere al1 Vidai gli giovò : poiché fu costret to a ricorrere direttamente alle fonti, rivelandoci il preziosissimo materiale degli «Archives du Quai d’Orsay » di Parigi, e dandoci di prima mano quanto desunse da 'uno spoglio lungo e coscienzioso di tutta la corrispondenza diplomatica, tra il 1830 e il 1832, scambiata·
fra il Governo e gli ambasciatori francesi in Italia. Attinse perciò ai «Fonds» di Torino, Roma, Napoli, Toscana e ai «Fonds» Vienna e Londra, col risultato che logicamente deve ottenersi tra galantuo
mini : che le notizie combinano e spesso combaciano con quanto a n no esposto i nostri recentissimi storici. E la lettura dà, quindi, un sentimento oltreché di piacere, di serenità, dovuto alla sicurezza di camminare sul vero.
Il Vi dal· venne pure a Roma e consultò Γ Archivio Vaticano.
Certo non vi potè fare lunghe ricerche; ma non ne sentiamo affatto la mancanza, avendo ampiamente un compenso nell’opera esauriente della Del Piano, per quanto riguarda sia la Rivoluzione romana, sia il lavorò diplomatico tra Roma e le grandi Potenze d’allora.
Ci rimane ancora da conoscere la corrispondenza diplomatica da Vienna e da minori archivi pubblici e privati: ma ormai non vi sarà nulla da sconvolgere con rivelazioni stupefacenti nella paziente ope
ra di ricostruzione storica oggi compiuta su questa rivoluzione.
Premesso ciò, poco rimane a dire sul· volume del V idai, il quale, nelle questioni che interessano direttamente la sua Francia-, sa esse
re in generale obbiettivo, «l^es Trois Glorieuses» (è naturale) lo esaltano, perchè segnano in Europa la ripresa della marcia verso la libertà. Ma lungi dal sentire i punti deboli della posizione di Luigi Filippo in Europa dopo le tre giornate di luglio, lungi dal preoc
cuparsi delle ruine che minacciano quella Monarchia e che la co
stringono a buttar tant’acqua sopra il proprio e gli altrui incendii rivoluzionari da lei provocati, il Vidai vede questa Francia arbitra .nei destini d'Europa sin dal suo sorgere. Perciò Luigi Filippo, bon
tà sua, è nel 1830 pieno di benignità pacifica verso Γ Austria, mentre questa è subdolamente aggressiva. La questione del riconoscimento non à quasi importanza, l ’accentrarsi in Francia dei rifugiati in quieti d’ogni nazione non à significato ostile, il favorire palesameute rivoluzioni in Belgio, in Polonia, in Italia, in Ungheria sembrano tratti di buona amicizia internazionale, e stupisce il vedere che i governi, col Metternich a capo, non li gradiscano. Se poi Luigi F ilip po, dopo aver proclamato il principio del « non intervento», che è il motore di ogni sforzo generoso liberale, se lo rimangia appena sa
rebbe dovere farlo rispettare, ΓΑ. chiama l’atto semplicemente «la politique italienne de Casimir Périer», e non sente la terribile re
sponsabilità del Re borghese che provocò i moti e poi abbandonò gli
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inerm i rivoluzionari alle baionette austriache e alle vendette ponti
ficie. Questo non conta. T utt’al più vanta come un nuovo trionfo francese il risultato della schermaglia diplomatica, uscito dalla con
ferenza di Roma.
Si viene quindi ad una visione un po’ ingigantita de’ meriti fran
cesi in Ita lia . Ingigantita, ma pai* fortuna innocua, perchè sentiamo che non è dovuta ad acredine: chè, se l ’interpretazione a volte non ci persuade, il documento è dato oggettivamente e ciascuno è libero di intenderlo a modo suo.
Ne vengono apprezzamenti curiosi. Ecco una nota a pag. 20 : «La M aison de Savoie, qui régne aujourd’ liui sur l ’Italie, après l’avoir unifiée grâce au concours des aimées >de Napoléon I I I , fut en somme sauvée par la diplomatie de Louis X V III, à Verone, en 1821. Cet
«immense service» mis eu lumière par Bianchi, Costa de Beauregard et tou t récemment par la pubblication des documents conservés au Q uai d ’Orsay a fait l ’obiet, en Italie, d’aigres polémiques dont les initiateurs se souciaient fort peu de la vérité historique. De Ferrerò à Nello Rosselli, censeurs et pédants ont pris à coeur de démontrer Vinnocence de Metternich et de se faire les champions de la pure/té et du désintéressement de la diplomatie des ilabsbourgs. Tout récem
ment, une critique superficielle a essayé de démontrer qu’un docu
m ent autrichien détruisait nécessairement tout texte français qui le contredisait. Que diront les initiateurs de cette singulière méthode historique lorsqu’ ils appliqueront leur exégèse, au récit des ba
tailles de Magenta et de Solferino î».
Sono argomenti troppo seri per discuterli cosi di passata ; ma che proprio in Ita lia si faccia l ’apologia del Metternich e degli Asburgo, per far dispiacere a’ francesi? E non si preoccupi il Vidai per M agenta e Solferino. G li Italiani non sono nè smemorati, nè in g ra ti; e ricordano sempre tanto il bene, come il male che ricevono, con quella serenità che è equilibrio di animi sani, e che gli stra
nieri stessi sono costretti a riconoscere loro, anche quando non rie
scono a ricam biarli.
D el resto, a conferma che si può predicar bene pur razzolando male, le conseguenze de’ moti del ’31 furono che gli Austrìaci si in sediarono nelle legazioni e che l ’anno dopo i Francesi occuparono A n cona al primo pretesto, per bilanciare l’azione austriaca e non ne uscirono che il 3 dicembre del 1838, se non dopo che gli austriaci il 30 novembre avevano abbandonato Bologna. Bella soddisfazione po
litic a ! M a in che rapporto coi principi della monarchia orleanese, colla dottrina del «non intervento», coll’impegno preso d’essere in E uropa i campioni del liberalismo? L ’occupazione di Ancona signi
ficò cooperazione coir Austria a tenere in freno i liberali italiani e a rinsaldare l ’assolutismo fra popolazioni frementi. E diede appiglio
nel ’49 a ll’assedio di Roma, e ci costò Mentana, sempre in nome del santo principio del «non intervento».
Ma torniamo all’opera del Vidai, che nel suo insieme appare concepita e condotta robustamente, anche quando ci dice cose che sappiamo già ; e dice bene cose nuove. Ad esempio delle prime, le pa
gine sui Jtonaparte in Italia : delle seconde, varie notizie (anche se a volte rasentano le chiacchiere) sulle corti di Toscana e di Na
poli, attraverso le relazioni degli ambasciatori. Maggior interesse anno le notizie sui Piemonte, sulla successione di Carlo Felice, sulle mene dei rifugiati per preparare l’invasione della Savoia.
Una curiosa notizia trovo a pag. 117, e credo inedita, in un rap
porto del Ministro dell’interno a quello degli Affari Esteri in data 31 ottobre 1831. V i si narra che Francesco IV «tit appel au Prince de Canosa, singulier personnage qui s’était tristement signalé... en prenant part, en 1830, à un mystérieux attentat pour supprimer le Prince de Carignan afin de laisser la couronne de Sardaigne au Duc de Modène ».
La posizione del Piemonte nel 1831 fu oltremodo difficile. Carlo
F e lic e , reazionario della più bell’acqua, ma probo e tenace, si trovò negli ultim i giorni della sua vita di fronte ai problemi più ardui per la sua coscienza di principe e di uomo. Appena uscito dal dilemma della trasmissione della corona, e neppur contento della soluzione, sente i suoi stati minacciati all’interno dal lavorìo delle società segrete, a ll’esterno dai tentativi degli espatriati. I moti emiliani sono uno squillo d i battaglia: il Piemonte ne sentirà i riflessi : tanto una rivoluzione nel paese quanto una guerra tra Francia ed Austria sono possibili. Perciò sollecita le difese in Savoia: dà ordini perchè si provveda alla difesa delle coste, poiché giungono notizie sicure di prossimi sbarchi a Capraia, alla Spezia, a Genova. Il G o n n i ci dà informazioni interessanti sulla Regia Marina Sarda dinnanzi ai nuo
vi impegni: la parola a volte sarcastica del Des Geneys mostra ri spettosamente al re quanta distanza vi sia tra gli ordini da To
rino e le possibilità della flotta, troppo trascurata dopo gli allori di Tripoli.
Ed è in questo critico momento che Carlo Alberto sale al Trono*
Non é tuttavia questa l’ora della rivoluzione per il Piemonte. Il preparatore della coscienza nuova <1 Italia, Mazzini, e a M aisiglia ed à cominciato l ’opera sua. Gli borici di Carlo Felice e di Carlo Alberto, numerosi e valenti, di ieri e d’oggi, anno già affrontato e risolto le incognite dei rapporti di questi due principi coi moti del 1831
.
* * *
S t u d i a n d o nel suo insieme tutti questi moti del ’31, che a tutta prima s e m b r a n o slegati, appare a mio avviso evidente che obbedì*
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scono a un disegno occulto comune, clie si deformò tuttavia col pro
cedere degli avvenimenti. Le tristi esperienze del 1820 e del '21 aveva no persuaso Napoletani, Piemontesi, Lombardi che non vi era nulla da fare, pel momento, contro Γ Austria.
N e ll'Ita lia centrale, meno duramente provata, si ricominciò a sperare. Q ui risorse il concetto di creare un Regno che fosse erede del Regno Ita lico : erede di quello Napoleonico nelle forme, ma prettamente italiano nel sentimento nazionale e nei propositi. Esso doveva fronteggiare l ’Austria del Lombardo Veneto, approfittando degli im barazzi che la politica Europea le avrebbero creati. Da.ppi.i- m a si sperò nelle complicazioni della politica balcanica : tramon
tate queste, nelle conseguenze delle giornate di luglio e nel procla
m ato principio del «non intervento». Ma a capo del nuovo s t a t o chi mettere, che fosse già una forza col. suo nome e colla sua autorità?
G li antichi soldati di Napoleone sognavano il re di Roma, già cousa·
rato dal padre con quel nome alla nuova missione: ma dimentica
vano che non esisteva più che il duca di Reichstadt, già sacro alla morte e inaccessibile prigioniero «in austriache piume» a Schòn- brunn. Si parlò di rapirlo romanticamente, in modi fantastici; ma si capì subito la pazzia dell'impresa.
E ’ questo il momento in cui il Misley concepisce l ’audace pro
getto, brutalmente pratico, di sfruttare l ’ambizione di Francesco 1Λ di Modena. Pratico, eppure ad un tempo assurdo, perchè non pog
giato su alcuna idealità, ma solo sul tornaconto. E' naturale cjie
•appena la sicurezza di questo mancò, Francesco IV sciolse il con
tratto , e non considerò sè stesso un traditore. Austriaco era, austria- c-amente aveva regnato, austriaco restava.
Ma intanto la preparazione era troppo avanzata perchè anche i liberali ita lia n i potessero... rompere il contratto. Ben altri impulsi li muovevano Î La intollerabile schiavitù presente, la coscienza altis
sim a del loro diritto alla libertà, il bisogno di proclamarlo, a prez
zo elei loro sangue, la fiducia cieca (ben diversa dalla certezza) di riuscire, la sicurezza del «non intervento».
D a l settembre 1830 in poi è una fervorosa preparazione delle sette carbonaro, che agiscono in un campo italiano nettamente lim i
tato a settentrione dal Po, a mezzogiorno dal Lazio. Nella Toscana
«stessa, adagiata in discreto benessere, emissari carbonari vengono a portare la parola d'ordine de’ comitati cosmopoliti di Parigi e di Londra. Le Marche, P Em ilia, sono pronte ad insorgere: Modena precipita Pazione : Bologna, oltre il prossimo confine, le porge la mano. Cadono le barriere.
L ’insurrezione si propaga sino ad Ancona, risale dall’altro lato sino a P arm a: ma la mancanza di coordinazione, la differenza e la diffidenza degli individui, idealisti e teorici, non ancora educati alla vita politica e guerresca, fa commettere un’infinità di errori a chi si
è buttato nella rivolta: la pronta reazione austriaca paralizza quelli che se avessero visto trionfare l’insurrezione, vi si sarebbero uniti.
Perciò i moti non divamparono in tutta l ’Italia centrale, ma segna
rono un arco di fuoco da Modena ad Ancona, i cui pallidi riflessi giunsero da u n lato a Parma, dall’altro a Roma, per spegnersi presto.
I n ’azione rapida, concorde, avrebbe probabilmente condotto i ribelli a Roma, e giunti in essa non sarebbe stato facile snidarli.
Non si pensava persiuo, colà, di farsi un ostaggio del Pontefice? I n vece i moti si limitarono ad Ancona: la spedizione del Sercognani, giunta sino ad Otricoli fra mille impacci creatile dallo stesso M i
nistro della guerra del' Governo Provvisorio, fu arrestata dall’in vasione austriaca e dalla resa d’Ancona. Da allora i liberali cer
cano scampo nell’esilio. La Toscana non si fa viva: il Piemonte è sospettoso di minaccie da Oriente e da Occidente, e il nuovo suo Re, studiando ogni suo atto, evita manifestazioni che possano compro
métterlo agli inizi del suo Regno.
I moti del ’31 sono falliti. Del regno dell’Ita lia Centrale itanto meno di quello d'Italia) non si paria più. Il sacrificio di Menotti e Borelli apparentemente è stato inutile. Quelli, che anno avuto fede nella libertà, o sono prigionieri a Venezia, 0 nelle prigioni papali, 0
•esuli a Corfù, in Corsica, in Francia.
Parma e Piacenza, Modena tornano sotto il giogo antico, ag
gravato da rancori e da sospetti, e più che mai si infeudano all*Au
stria. Lo Stato Pontificio si dibatte, sotto la minaccia di orna com
pleta ruina: o cadere in potere ai ribelli, 0 essere zimbello dell’A u stria 0 della Francia, Vuua padrona del territorio colle sue milizie, l’altra pronta a sbarcarvi le proprie se la rivale non si ritira. E la diplomazia europea, riunita in Conferenza a Roma·, mostra a tutto il mondo la miserevole impotenza temporale a cui è ridotto lo Stato Pontificio.
Ma il sacrificio di Menotti non è vano in realtà. Le idee del Misley rifioriscono con ben altra vastità e nobiltà di concezione nella mente di Giuseppe Mazzini, immediatamente e si può dire per ger
minazione spontanea.
Come Ciro Menotti à santificato col martirio la propaganda Mi·
sleyana, Jacopo Rufììni suggellerà col sangue la. parola di Mazzini.
I moti del ’31 preludono la serie de’ moti Mazziniani, che otter
ranno la formazione di un’ampia coscienza italiana, per tutta la pe
nisola; quella che mancava appunto a gran parte dei ribelli delle Romagne, senza che ne avessero coscienza, anzi mentre si illudevano di possederla e lanciando il grido di «viva l'Italia» correvano armati le loro terre.
Strani risultati quelli del '31!
Mettermeli si reputò vincitore della partita, avendo le sue milizie
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ben salde nelle Legazioni. L uigi Filippo credette essersi ripagato colla occupazione di Ancona e coll’imposizione delle riforme allo Stato Pontificio. I l Segretario di Stato del Papa, cardinal Bernetti, forse con più ragione, potè credere di aver domati i ribelli, messo in iscacco A ustriaci e Francesi gli uni contro gli altri, e col si
stema del rinvio (piglia tempo e camperai) di aver elHiso l’im pegno delle Riforme.
I vinti, in apparenza, furono i ribelli : ma negli esili, nelle prove essi maturarono l'avvenire e prepararono l ’Ita lia nuova, dimo
strando che in realtà essi furono i vincitori. E per quesito merita
rono la nostra riconoscenza eterna, e la Patria, fatta colPaiuto di D io la vendetta, di essi sui loro persecutori, eternamente li onora.
Ad o l f o Ba s s i.
A r n a l d o M o m i g l i a n o : L'opera dell'imperatore Claudio - Vallecchi, Editore, Firenze.
Succeduto a ll’assolutismo d i Caligola, Claudio capì la neces
sità di ritornare al principato augusteo, di ricongiungersi alla tradi
zione idi Augusto, clie pur accentrando l ’effettivo governo dello stato nelle m ani di un solo aveva però conservato e rispettato le istituzioni tradizionali della grandezza romana. Ma la intrinseca contraddizione, che era nella politica augustea tra il conservatorismo e il rinnova
mento, permane nell’opera di Claudio, giacché non era possibili che i senatori avessero o riprendessero coscienza delle loro funzioni diret
tive e nello stesso tempo si limitassero a seguire fedelmente il pro
gram m a dell'imperatore. Così che, volendo questi rinnovare il Senato nelle persone e negli spiriti, abbattè spietatamente le persone a lu i ostili, sostituendole con fedeli. Ugualmente si spiega la sua lotta contro la classe equestre. D i qui tutta una serie di provvedimenti, coi quali l ’equilibrio tra le antiche classi dirigenti e il principato, che A ugusto aveva tentato di instaurare, veniva irrimediabilmente rotto.
Prim o di ta li provvedimenti l ’istituzione di una cancelleria imperiale form ata da liberti appartenenti alla sua ja m ilia . Con l’aiuto di co
storo e con l ’appoggio dell’armata (Claudio ebbe l ’abilità di sapersi assicurare, nei prim i anni di governo, il prestigio del generale vitto
rioso specialmente con la conquista della Mauretania e della B ri
tannia) l ’imperatore procedette alla graduale diminuzione dell’in fluenza senatoria ed equestre non solo, ma ad allargare anche le basi del proprio potere, contribuendo cioèJ a trasformare i fondamenti dell’im pero da puramente ita lic i a cosm opolitici: Seneca ricono
sce questa tendenza quando scrive constituerat enim omnes Graecos,
Gallo*, Hispanos,, Brilatuios togatos videre. I contemporanei stessi sentirono a che cosa Claudio mirava e riconobbero il duplice volto della sua politica ; Vapocolocijntosis senecana è la migliore testimo
nianza.
Questo in sostanza il contenuto del libro di A. Momigliano, che è certo uno dei migliori contributi a rettamente conoscere e valutare l’opera dell'imperatore Claudio.
An t o n io Gi u s t i .
Gia c o m o De v o t o, Gli antichi Italici - Vallecchi, Editore, Firenze.
«Da anni convinto che le lingue osco-umbre costituiscono una unità linguistica autonoma rispetto al latino; da tempo occupato a interpretare passi delle Tavole Jguvine; sono stato condotto quasi in consapevolmente a raccogliere le sparse notizie sui popoli di questo
«Da anni convinto che le lingue osco-umbre costituiscono una unità linguistica autonoma rispetto al latino; da tempo occupato a interpretare passi delle Tavole Jguvine; sono stato condotto quasi in consapevolmente a raccogliere le sparse notizie sui popoli di questo