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307 B) APRITE QUELLE CELLE

Ecco come ministero della Giustizia e Dap [Dipartimento dell‟Amministrazione Penitenziaria] vogliono riformare il carcere e le sue leggi. I paradossi di uno “stato torturatore”

[…] Per capire quanto sia complicata la questione penitenziaria su cui l‟Italia si arrovella da oltre vent‟anni, è utile leggere la bozza della relazione elaborata dalla presidente della commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti del Pd, che riassume i disegni di legge all‟esame del Parlamento per avviare entro la fine di novembre un dibattito in Aula, nella speranza di trovare una soluzione. Soluzione che, al momento, non sembra essere quella dell‟amnistia-indulto, pur suggerita da Napolitano e appoggiata dal Guardasigilli. Ci sono infatti da considerare il fragile equilibrio del governo delle larghe intese, e soprattutto l‟opera di contrasto dello schieramento, trasversale ai partiti, da sempre affezionati al giustizialismo e a una visione puramente retributiva, quando non vendicativa, della pena. Diversamente, si pensa a una serie di riforme strutturali da affiancare a una lista di provvedimenti interni alle carceri per alleviare le gravi condizioni di vita dei detenuti. Le norme all‟esame della Camera sono diverse. Come per esempio l‟approvazione, ora al Senato, della sospensione del procedimento penale con la messa in prova dell‟imputato, fino a ora utilizzata solo per i minori per condanne fino a 4 anni, e anche per reati che hanno sempre destato un rilevante allarme sociale (violenza, minaccia o resistenza e oltraggio a un pubblico ufficiale, rissa, furto aggravato e ricettazione) attraverso l‟affidamento a un servizio sociale o mediante lavori di pubblica utilità. Opportunità da concedere per due volte, una sola se si commette di nuovo lo stesso reato. Altra ipotesi, ricorrere anche alla possibilità di concedere la detenzione domiciliare come pena detentiva principale (e non più solo alternativa al carcere) per condanne fino ai 6 anni di reclusione (finora la detenzione domiciliare è prevista per motivi di salute o, secondo l‟ultima norma del 2010, per una pena detentiva non superiore ai 18 mesi; norma però di carattere temporaneo, valida cioè fino alla conclusione del piano di costruzione di nuove carceri). E siccome questo ultimo provvedimento temporaneo ha permesso fino a ora di scarcerare 12 mila detenuti ma, per ammissione dello stesso Guardasigilli durante una recente audizione in commissione Giustizia a Montecitorio, non ha avuto effetti deflattivi sulla presenza complessiva dei 64.564 detenuti presenti nei 208 istituti penitenziari, si cercano altre strade per limitare con più efficacia gli ingressi. Perché se è vero che c‟è stata una diminuzione degli ingressi (63 mila nel 2012, nel 2009 erano 80 mila), il numero delle custodie cautelari è rimasto invece identico: i detenuti in attesa di giudizio sono 24.715, numero rimasto stabile sin dagli anni di Tangentopoli, nel 1992, che corrisponde al 38 per cento della popolazione complessiva, di fronte alla media europea del 25 per cento. I principali fattori all‟origine del sovraffollamento delle carceri sono essenzialmente due: la presenza massiccia di detenuti tossicodipendenti e gli immigrati. Ai primi si vorrebbero dare maggiori chance per non varcare la soglia degli istituti di pena, anche grazie a un maggior ricorso all‟affidamento terapeutico (“In carcere un detenuto costa 125 euro, in una comunità di recupero 50”, osserva la presidente della commissione Giustizia di Montecitorio, Donatella Ferranti), mentre ai secondi si vorrebbe imporre l‟obbligo di rimpatrio: 22 mila stranieri di 128 nazioni, di cui la metà non cittadini degli stati membri dell‟Ue.

Per dare ali alla riforma, ed evitare la condanna definitiva da parte dell‟Europa, bisognerebbe anche riuscire ad approvare il disegno di legge sulla custodia cautelare, a cui i giudici fanno ricorso con abbondanza e in molti casi con estrema

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leggerezza, se solo si raffronta il numero delle custodie inflitte con i successivi esiti di indagini e processi: il caso di Silvio Scaglia è solo la punta mediatica di un enorme iceberg. Una leggerezza rilevata anche nella sentenza pilota (e spada di Damocle) della Corte dei diritti dell‟uomo. Dei 24 mila detenuti imputati, 12.348 sono in attesa della sentenza di primo grado. [...] L‟ossessione coercitiva ha lasciato molti morti sul campo di battaglia delle patrie galere. In tredici anni, dal 2000 a oggi, 2.200 detenuti si sono tolti la vita.

Anche se forse nel 2013 ci deve essere stata un‟attenzione maggiore alla salute psichica dei carcerati: 42 suicidi rispetto ai 60 del 2012. In realtà (altro paradosso), secondo quanto risulta da un monitoraggio europeo nelle carceri italiane non ci sono troppi detenuti rispetto alla media continentale: il vero problema è che sono troppo pochi quelli che possono accedere alle misure alternative. Infatti se oggi in Italia sono circa 30 mila le persone che scontano la pena all‟esterno del carcere, in Francia sono quasi sei volte tanti, 173 mila, e nel Regno Unito addirittura 237 mila. I dati forniti dal Dap sul ricorso alle misure alternative sono davvero sconfortanti: secondo i numeri aggiornati al settembre 2013, ci sono 10.755 persone affidate ai servizi sociali, 2.742 agli arresti domiciliari e circa tremila affidate alle comunità di recupero, mentre i “semiliberi” sono meno di 800. Fanno bene gli esperti del diritto penitenziario a mettere sempre l‟accento sul lavoro, come strumento salvifico del condannato – poiché è stato ampiamente dimostrato che il lavoro nobilita anche il detenuto – peccato però che a lavorare fuori o dentro il carcere ci siano complessivamente 13 mila condannati definitivi, di cui solo 436 alle dipendenze del Dap. Anche perché il Dap deve fare le nozze coi fichi secchi, visto che nel 2010 poteva contare su un fondo di 11 milioni di euro per attività produttive interne (ma nel 2010 i lavoranti erano comunque pochi) mentre ora ha a disposizione solo 3 milioni di euro.

(Cristina Giudici, «Il Foglio quotidiano», 7 novembre 2013)

C)

G

IULIO

S

ALIERNO

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UNA VIVA VOCE CONTRO L

UNIVERSO CARCERARIO

[in riferimento al pensiero di Giulio Salierno, autore di Il carcere in Italia, 1971; Autobiografia di un picchiatore fascista, 1976; Fuori margine, 2001]

Il carcere è un luogo di scissione e segregazione dalla vita sociale, il quale, per tale carattere astratto e separato, non può che essere esso, a sua volta, principio di violenza e di produzione di un‟umanità patologica. La violenza, sotto forma di legge, è per Salierno il fondamento intrinseco dell‟istituzione carceraria, riprodotta come tale tra le gerarchie, la diversità di ruolo e di comando tra gli stessi detenuti. Le proposte di riforma e di miglioramento della vita carceraria non possono intaccarne tale principio costituzionale, fondato sulla separatezza, e si fanno così partecipi della mistificazione del ceto politico in generale e delle diverse burocrazie che hanno a che fare con l‟istituzione carceraria, che si coprono dietro la retorica del recupero, della redenzione e della risocializzazione. Anche il migliore e più avanzato dei carceri, per quanto costruito secondo parametri progressivi, dopo un po‟ diventa necessariamente un inferno. È invece sull‟«altrove », per Salierno, sulla società civile che bisogna intervenire, modificando la durata eterna dei processi e della carcerazione ad essi connessa, abolendo le leggi restrittive sugli stupefacenti, visto che le carceri sono piene di tossicodipendenti, regolamentare, diversamente dalla Turco-Napolitano e dalla Bossi-Fini, la legge sull‟immigrazione, dato che il 30% dei reclusi oggi sono stranieri. E soprattutto incidere sulla disoccupazione e ristrutturare intere periferie urbane. In una sorta di singolare analogia con Michel Foucault, da cui lo hanno diviso origine di classe e formazione culturale, Salierno -

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da noi forse più in maggiore confidenza con l‟opera di Franco Basaglia - ha inoltre ben percepito e definito la funzione simbolica che l‟istituzione chiusa del carcere svolge a favore della vita cosiddetta civile e normale: una funzione di capro espiatorio, di espulsione-proiezione, attraverso la quale la società normale espelle da sé tutte le sue contraddizioni, il negativo, il male, facendone unici attori e testimoni i membri dell‟universo segregazionario.

Esercizio 5

A partire dai documenti allegati (in cui si è corretto qualche refuso), si costruisca una