di Sandro Bari *
La bellezza di sessant’anni fa, dico 60, a quest’epoca, si erano appena chiusi i Giochi della XVII Olimpiade. Quest’anno poteva toccare di nuovo a noi, a Roma, ma la gestione comunale ha deciso di non ripresentare la candidatura e forse è stato un bene: primo perché la Città non era assolutamente prepa-rata ad un evento del genere, secondo perché comunque le Olimpiadi non si sono svolte per tema dell’epidemia. E così, purtroppo, non rivivremo più un’esperienza entusiasmante come quella del 1960, anche se Roma dovesse candidarsi nuovamente: troppo diversi erano i tempi, l’atmosfera di rinascita, la bellezza incantevole dell’Urbe, i lavori splendidamente progettati ed eseguiti, l’allegria degli atleti e della gente, il rispetto per le regole e per le istituzioni.
Lo dico con nostalgia e malinconia, perché allora avevo quasi quindici anni e due anni prima ero stato selezionato nella leva di nuoto indetta dalla Lazio per formare gli atleti che avrebbero fatto parte della Na-zionale. Non entrai nel novero, ma ebbi la gioia di allenarmi insieme ai più grandi campioni, come Angelo Romani, Paolo Pucci, Fritz Denner-lein, Carlo Pedersoli (non ancora Bud Spencer), nella piscina del Foro Italico e in quella dello Stadio Flaminio che an-cora doveva essere inaugurato. E avevo visto sorgere e crescere, sulle rovine del demolito “Campo Parioli”
(accozzaglia di baraccamenti per sfol-lati del dopoguerra), quella magnifica e geniale struttura che ospitò gli atleti di tutto il mondo in modo incomparabile e servì poi, e serve ancor oggi, come quartiere di abitazioni medio borghesi: il Villaggio Olimpico. Non abbiamo più oggi ar-chitetti e ingegneri come quelli di allora, che
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La Medaglia d’Oro delle Olimpiadi di Roma.
avevano progettato ed eseguito opere memorabili come lo Stadio Olimpico, lo Stadio Flaminio, il Palazzo dello Sport, il Velodromo, il Palazzetto dello Sport, il Viadotto di Corso di Fran-cia, la via Olimpica… oggi affidiamo la nostra Roma, o il suo scempio, ad archi-star autogratificanti e stra-niere, non ci sono più i vari Nervi, Piacentini, Libera, Del Debbio, Costantini, Luccichenti, Monaco, Vitel-lozzi, Moretti, Cafiero, Frisa, Roccatelli, Brasini. E nessuno ha più la prepara-zione storica e culturale di quegli organizzatori ge-niali, che avevano previsto le cerimonie, le eliminato-rie e le gare nei luoghi più suggestivi della storia, della natura e del paesag-gio, cosa che nessun’altra città avrebbe potuto predi-sporre.
Quell’Italia semidi-strutta dai bombardamenti e sfinita dalla guerra civile, dai razionamenti e dalle occupazioni di eserciti stranieri, nello spazio di poco più di un decennio era risorta e si avviava ad essere una delle nazioni più efficienti e rispettate.
Usando braccia, nervi, testa e cuore si erano rico-struiti palazzi, quartieri e città, si erano ristrutturate industrie e fabbriche, si era ricreata l’agricoltura insieme alla letteratura, allo spettacolo, alla musica, allo sport. E si aveva una gran voglia di farsi di nuovo rispettare, di vincere, di conquistare. Infatti lo sport, il protagonista delle Olimpiadi, era diventato anche spettacolo, anche architettura, anche urbanistica, oltre che agonismo.
Stadio olimpionico e dei Marmi, 1937.
Stadio Olimpico da Monte Mario, 1960.
Stadio Olimpico, panoramica da sud, 1960.
D o s s i e r
Avevamo lo stadio più bello e unico al mondo, quello Sta-dio dei Cipressi concepito da Del Debbio nel progetto del Foro Mussolini del 1928, riela-borato da Frisa e Pintonello nel 1932, teatro di manifestazioni oceaniche e divenuto Stadio Olimpionico nel 1937, poi sventrato dai carri armati americani, quindi ricostruito nel 1953 come Stadio dei Cen-tomila, e infine completato con l’invidiabile Tribuna Stampa e d’Onore per le Olim-piadi. A fianco, lo Stadio dei Marmi con le sue spettacolari 60 statue di contorno, i campi da tennis e le nuovissime pi-scine scoperte dello Stadio del Nuoto. Alti tralicci portavano centinaia di lampade d’illumi-nazione e nuovi enormi tabel-loni luminosi segnalavano i risultati in tempo reale. Lo spettacolare Palazzo dello Sport, tutto vetrato, detto anche “Disco volante”, e il Ve-lodromo ospitavano altre gare
all’Eur. Al Flaminio, le concezioni architettoni-che in calcestruzzo armato di Nervi avevano dato vita, a fianco all’avveniristico Viadotto, allo Stadio Flaminio e al Palazzetto dello Sport. Nell’interno delle Terme di Caracalla, della Basilica di Massenzio e del Colosseo si svolgevano altri eventi agonistici e sotto l’Arco di Costantino correvano i maratoneti. Piazza di Siena a Villa Borghese ospitava le gare di equitazione.
Tutti gli eventi furono spettacolari e l’impe-gno dei nostri atleti fu premiato da entusia-smanti vittorie. Una ferrea organizzazione permise che tutto si svolgesse senza alcun
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Abbattimento del Campo Parioli, 1959.
Villaggio olimpico dall’alto.
Gianfranco Peris attraversa Roma con la Fiaccola Olimpica, 25-8-1960
cidente, che la stampa avesse tutti i mezzi dispo-nibili nelle tante posta-zioni, che le riprese televisive trasmettessero in diretta le fasi più spetta-colari delle gare, sull’unico canale della RAI. Il tedo-foro Gianfranco Peris ac-cese con la sua torcia il braciere olimpico tra le ovazioni di una folla atto-nita e composta. Il pluri-campione discobolo Adolfo Consolini lesse il Giura-mento Olimpico, ascoltato in piedi dal Presidente della Repubblica Gronchi e dal Ministro Andreotti, tra applausi commossi. Una sfilata interminabile di 5.338 atleti, di cui 611 donne, rappresentanti di 83 nazioni, nelle variopinte divise, occupò lo Stadio.
Per la prima volta sfilarono i 400 portatori di handicap, che parteciparono, come previsto dal nuovo regola-mento del 1958, alle Para-limpiadi, che si sarebbero svolte nel nuovissimo Cen-tro Sportivo dell’Acqua Acetosa.
Le gare si susseguirono senza tregua e con un se-guito di folla mai verifica-tosi. Il pubblico si spostava da una parte all’altra di Roma per seguire le vitto-rie del velocista Berruti, del ciclista Gaiardoni, dei pugili Benvenuti, Musso e De Piccoli, del cavaliere D’Inzeo, dello schermidore La sfilata delle Squadre nazionali olimpiche.
Il Tedoforo entra nello Stadio Olimpico.
Il Tedoforo Gianfranco Peris accende il Braciere olimpico.
D o s s i e r
Il Giuramento di Olimpia letto da Adolfo Consolini.
Il Presidente Gronchi e il Ministro della Difesa Andreotti in Tribuna d'Onore, 25 agosto 1960.
Il Ministro Andreotti nel discorso
alla Cerimonia di Apertura. Raimondo e Piero D'Inzeo, medaglie olimpiche.
La vittoria di Berruti nei 200 piani. La vittoria di Livio Berruti, particolare.
La Squadra dei portatori di handicap.
Gare dei disabili, lancio del giavellotto.
Gare dei disabili, scherma. La premiazione di un disabile.
Delfino, delle squadre di pallanuoto, di scherma, di ciclismo: 13 medaglie d’oro, ma anche 10 d’argento e 13 di bronzo. Terzo posto, dopo URSS e USA.
Una storia ineguagliabile, per lo sport, per l’Italia, per Roma. Come ricono-sciuto da tutto il mondo, sono state le più belle e più sane della storia, e le ul-time Olimpiadi romantiche, prima del mercimonio attuale dello sport.
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* Direttore Rivista “Voce romana”