2.3 Le delibere collegate
2.3.2 Il bilancio e gli utili
Altro problema di carattere organizzativo e patrimoniale che può derivare dalla nullità di una delibera di approvazione del bilancio che nel frattempo abbia esplicato la propria valenza organizzativa, è la distribuzione degli utili fittizi risultanti dallo stesso, utili che, pertanto, in un momento successivo si siano rilevati non realmente conseguiti138. Anche in tale ipotesi il bilancio costituisce certamente il presupposto della delibera di distribuzione, ma bisogna tenere in considerazione quanto previsto dall’ultimo comma dell’art. 2433 cod. civ.: tale norma, infatti, dopo avere prescritto le condizioni alle quali può effettuarsi la
distribuzione degli stessi, fa salvo il diritto alla ritenzione del socio qualora il bilancio sia stato regolarmente approvato. Naturalmente nessun problema si porrà relativamente agli utili distribuiti qualora il vizio del bilancio attenga al procedimento e non al contenuto dello stesso139.
L’irripetibilità del dividendo sarebbe condizionata da due presupposti uno oggettivo e l’altro soggettivo: quello che il dividendo distribuito corrisponda agli utili netti risultanti da bilancio regolarmente approvato, e quello che il socio che li abbia percepiti sia in buona fede140.
La regolarità cui fa riferimento la norma è opinione comune che si riferisca alla regolarità formale, l’unica di cui può essere a conoscenza il socio e che può essere oggetto di una sua valutazione141: la ratio è da rinvenirsi nella estraneità del socio nel processo di formazione del bilancio, ma non anche nel procedimento di approvazione dello stesso, sicché, non può a lui addebitarsi l’irregolarità contenutistica dello stesso142.
Pertanto, qualora successivamente alla delibera di distribuzione degli utili, il bilancio venga dichiarato invalido, per vizi diversi da quelli procedimentali, l’utile, nonostante sia “senza causa” verrà ritenuto dal socio che lo abbia riscosso. Al contrario, se ne deduce che gli amministratori potranno ripetere tali attribuzioni qualora riescano a provare che i soci erano in mala fede o che gli utili siano stati distribuiti sulla base di un bilancio affetto da vizi di procedimento. In realtà, in tale ultima ipotesi, non è detto che i soci siano sempre a conoscenza del vizio che inficia il procedimento di approvazione e una lettura puramente formalistica della norma determinerebbe un sacrificio anche del diritto di quel socio che l’utile l’ha riscosso in
139 V. MEO G., “Gli effetti dell’invalidità”, cit., p. 336; e GUERRIERI G., “La nullità
delle deliberazioni assembleari di società per azioni”, cit., nt. 247, che a tale autore
rinvia.
140COLOMBO G.E., in “Il bilancio di esercizio”, cit., p. 535.
141 Così GUERRIERI G., “La nullità delle deliberazioni assembleari di società per
azioni”, cit., p. 373; COLOMBO G.E., in “Il bilancio di esercizio”, cit., pag. 538.
142 Cfr.COLOMBO G.E., in “Il bilancio di esercizio”, cit., pag. 538; MEO G., “Gli
effetti dell’invalidità”, cit., p. 317 che rinvia in nota a LIBONATI B., “Formazione del
bilancio e destinazione degli utili”, Napoli, 1978, p.158 ss. e CASTELLANO M., “Sulla
ripetibilità dell’utile irregolarmente distribuito”, in AA. VV. (a cura di Buttaro e
Patroni Griffi), La seconda direttiva CEE in materia societaria, Giuffrè, 1984, 209 ss., 228, nt. 35.
buona fede143. Discorso analogo è se le irregolarità procedimentali possano tutte considerarsi rilevanti ai fini di escludere l’irripetibilità dell’utile, o se tra queste ve ne siano alcune che, essendo fuori dalla conoscibilità del socio, a tal fine non rilevino144.
La norma lascia aperto il problema se tra i soci possano considerarsi anche i soggetti che tali siano diventati dopo l’approvazione della delibera di distribuzione degli utili, per avere, ad esempio, acquistato le azioni in epoca successiva.
Si ritiene145 che la norma sia applicabile solo nei confronti dei soci e non anche di altri soggetti quand’anche legati da un rapporto qualificato con l’ente (amministratori, dipendenti, fondatori). Né gli stessi potrebbero ritenersi protetti dalla regola che fa salvi i diritti acquistati dai terzi in buona fede di cui all’art. 2377, settimo comma, in quanto «il pagamento del dividendo non sembra costituire atto compiuto in esecuzione della delibera di distribuzione».146 Quest’ultima osservazione è stata portata anche a giustificazione della rilevanza pratica della norma, in quanto non si tratterebbe di una mera ripetizione di quanto già previsto dall’art. 2377, c.c.: innanzitutto, in quanto soci, non sarebbero ricompresi nella regola di salvezza di cui all’art. 2377 e resterebbero, pertanto, fuori dalla portata dalla norma, ed inoltre, come sopra detto, la distribuzione del dividendo non integrerebbe «il diritto acquistato in esecuzione della delibera» che può essere fatto salvo.
143 Per maggiori approfondimenti si veda GUERRIERI G., “La nullità delle
deliberazioni assembleari di società per azioni”, cit., p. 373 e ss. ed in particolare la
nt. 256 dove l’Autore, sottolineando che il dato letterale della norma non ammetterebbe diverse letture, aggiunge come tale disciplina risulterebbe in deroga al regime della salvezza dei diritti dei terzi in buona fede di cui all’art. 2377, settimo comma e ai principi generali di tutela dei soggetti in buona fede, che potrebbe essere superata, in una prospettiva de iure condendo, solo da una lettura sistematica della norma.
144 Così si è posto il diverso problema di distinguere tra gli stessi vizi di
procedimento ai fini della valutazione della sussistenza della buona fede del socio: così l’irregolarità della convocazione, il mancato deposito del bilancio, la mancanza della relazione dei sindaci non sarebbero tutti elementi ugualmente conoscibili dal socio e, dunque, ugualmente rilevanti ai fini della ripetibilità del dividendo.
145COLOMBO G.E., in “Il bilancio di esercizio”, cit., pag. 538; contra MEO G., “Gli
effetti dell’invalidità”, cit., p. 321;
146ZANARONE G., “L’invalidità delle deliberazioni assembleari”, in Trattato delle
società per azioni, diretto da Colombo G. E. e Portale G. B., vol. 3, Torino, 1993, p.
365, il quale richiama l’orientamento tradizionale secondo il quale “l’atto in esecuzione della delibera” presuppone l’esistenza di una atto negoziale e non deliberativo.
2.3.3 Il bilancio e la delibera di emissione di obbligazioni e