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Capitolo 1. Introduzione

1.3 Caratteristiche della famiglia delle Orchidee

1.3.6 La biologia riproduttiva delle orchidee

A maturità riproduttiva, nelle ochidee possono verificarsi due tipi di riproduzione: sessuale (gamica) e vegetativa o asessuata (agamica). La prima si verifica a seguito di fecondazione degli ovuli da parte del polline e produzione dei semi; la seconda invece avviene attraverso una moltiplicazione vegetativa a carico di un medesimo individuo, tramite formazione di rizotuberi multipli, o per gemmazione multipla del rizoma, in base alla specie.

L’androceo è costituito tipicamente da un singolo stame fertile; tra le specie italiane, fa eccezione solo Cypripedium calceolus L., che ne presenta due. In molti generi ogni pollinodo è dotato di una caudicola, sottile peduncolo alla cui base si può

trovare una minuta struttura discoidale adesiva detta retinacolo; in taluni casi, come in

Serapias, il retinacolo è unico e ad esso sono collegate ambedue le caudicole (Del Prete

& Tosi, 1988). L’ovario, che costituisce la parte più evidente del gineceo, è disposto inferiormente rispetto agli altri elementi fiorali ed al suo interno sono contenuti numerosissimi ovuli di dimensioni molto ridotte. Lo stimma si presenta di solito come una cavità disposta al di sotto dell’antera. In diversi generi, al di sopra dello stimma, si osserva una piccola prominenza, detta rostello, con forma e dimensioni variabili. Questa struttura, che deriva dalla trasformazione di uno dei tre lobi stimmatici, spesso può presentare una o due sottili membrane (borsicula) che ricoprono i retinacoli, proteggendoli. Nelle orchidee lo stilo e lo stimma sono fusi con l’androceo a formare una struttura colonnare caratteristica, che in alcuni generi mostra in maniera evidente un prolungamento apicale (becco o rostro). La riproduzione nelle orchidee avviene tramite impollinazione ed è solitamente incrociata ed entomofila; talvolta, come nei generi Neottia e Cephalanthera, si può verificare autoimpollinazione, che ha come conseguenza l’autofecondazione. In condizioni ambientali particolarmente sfavorevoli si può verificare la cleistogamia, ossia l’autofecondazione senza che il fiore si apra. L’obiettivo di rendere l’impollinazione entomofila sempre più efficiente ha portato alla selezione di strutture talvolta sorprendenti, come ad esempio nel genere Ophrys, in cui il labello simula nell’aspetto l’addome dell’esemplare femmina dell’insetto impollinatore, rendendo specie-specifico il rapporto orchidea-insetto. Nel genere

Orchis, lo sprone è solitamente abbastanza tozzo e mai eccessivamente lungo e si

conforma bene all’apparato boccale degli insetti appartenenti soprattutto alla classe degli Hymenoptera. In Gymnadeniaod in Anacamptis, invece, in cui il ruolo di agenti impollinatori è svolto dalle farfalle, provviste di un apparato boccale lungo e sottile, anche lo sprone risulta essere lungo e sottile (Del Prete & Tosi, 1988). Le orchidee che si riproducono per via sessuata seguono diverse modalità. La norma è l’allogamia, ossia la riproduzione incrociata, ma sono noti anche esempi di selfing (autogamia e

agamospermia). Autogamia Alcuni fiori sono autocompatibili e il polline prodotto dalle antere può germinare sullo stigma dello stesso fiore. Questi fiori sono definiti autogami. Quando l’autoimpollinazione avviene a fioritura non ancora iniziata, si parla di cleistogamia. La fusione di gameti maschili e di gameti femminili prodotti da una stessa pianta determina a lungo andare una diminuzione significativa della variabilità e di conseguenza della stabilità genetica. La condizione autogama non rappresenta la norma tra le orchidee, tuttavia questa modalità riproduttiva si riscontra in varie specie.

Phaius tankervilleae è un’orchidea allogama, ma esiste anche una sua forma

cleistogama. I fiori delle forma cleistogama non si aprono completamente e si autoimpollinano quando il polline cade sullo stigma. Quindi l’ovario si ingrossa e il labello cambia di forma e colore prima di andare incontro alla senescenza. In alcuni casi l’autogamia rappresenta una strategia adottata dalla pianta per assicurarsi comunque la riproduzione, quando, dopo un lungo periodo di normale antesi, l’impollinazione non è avvenuta ad opera degli insetti. In Ophrys apifera, le caudicole dei pollinodi curvano sullo stigma e determinano l’autoimpollinazione. Lo stesso fenomeno si può verificare nei generi Epipactis, Herminium ed Orchis. L’autogamia, oltre a costituire un’alternativa, come negli esempi sopra riportati, può essere una condizione obbligata. Neotinea maculata rappresenta un chiaro esempio di questa condizione. Lo sviluppo dell’autogamia sembra essere una conseguenza di una non certa impollinazione. L. van der Pijl e C. H. Dodson hanno suggerito che, per le orchidee, questo può avvenire su una vetta molto elevata o comunque in tutti quei posti nei quali ci sia una scarsa quantità di entomofauna. L’ agamospermia, è un caso estremo di selfing. Questa modalità include l’apomissia, produzione di semi da tessuti materni senza l’unione sessuale delle cellule, e la partenogenesi, la produzione di piante da cellule-uova non fecondate. Anche questo fenomeno produce degli svantaggi in termini di variabilità genetica, pur risolvendo il problema della formazione dei semi. Questo meccanismo si riscontra in svariate orchidee temperate, tra le quali Listera

ovata, Platanthera chlorantha, Cephalanthera longifolia e Dactylorhiza incarnata.

Allogamia La maggior parte delle orchidee è impollinata da vettori animali, i più frequenti dei quali sono moscerini, api, scarafaggi, vespe, falene, mosche, farfalle e uccelli, benchè siano riportate anche formiche, rane e pipistrelli. La molteplicità di impollinatori rispecchia la complessità morfologica che le orchidee sono riuscite a raggiungere. In termini genetici questo tipo di riproduzione è il più conveniente, dal momento che mantiene alta la variabilità all’interno delle popolazioni. Come controindicazione però c’è il fatto che la pianta lega spesso molto strettamente il proprio destino ad un’altra specie, raddoppiando così i propri rischi.

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