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Scardicchio A. C. (2019), Curare, Guardare. Epistemologia ed estetica dello sguardo in medicina. Franco Angeli. Milano. pp. 169
La pratica medica, come il lavoro di cura più in generale, è orientata dallo sguardo. Ancor prima della parola lo sguardo irrompe nella relazione d’aiuto e terapeutica e non è mai uno sguardo neutrale. Chi si occupa da tanti anni di indagare il lavoro di cura, come l’au-trice del volume che qui presentiamo, Antonia Chiara Scardicchio, ricercatri-ce di pedagogia sperimentale all’Uni-versità di Foggia, sa quanto lo sguardo possa influenzare il processo diagnosti-co e terapeutidiagnosti-co. Come ci si forma al
“guardare” i pazienti? Si può imparare a
“guardare”? Quali sembianze dovrebbe assumere lo sguardo del medico? Qua-li modelQua-li di medicina e di costruzione delle conoscenze sulla salute entrano in gioco nel posizionare lo sguardo sulla malattia o sulla salute o sulla persona?
Scardicchio problematizza fin dalle prime pagine le possibili varianti dello sguardo, riportando l’attenzione su una via del conoscere e soprattutto dell’in-contrare l’altro da sé nella relazione di cura. L’autrice utilizza il suo sguardo obliquo, complesso e flessibile per in-crociare i temi della medicina con quelli della pedagogia, intrecciando diversi piani di analisi dello sguardo, deco-struendolo con più strumenti operativi:
l’esperienza sul campo, la ricerca scien-tifica, la letteratura, l’arte.
“Svolgere ufficialmente il mestiere del Guardante: avere la responsabilità di uno sguardo a cui non sfugge l’eviden-za. Essere medico implica questioni po-tenti in ordine a questo vedere/guardare.
Sintesi incredibile di processi numero-si e complesnumero-si, lo sguardo dice di una competenza che è tanto cognitiva quan-to emotiva, tanquan-to tecnica quanquan-to relazio-nale” (Scardicchio, p. 16).
Il volume “Curare, Guardare. Epistemo-logia ed estetica dello sguardo in medi-cina” nasce all’interno di un framework teorico riconducibile al paradigma della complessità e delle teorie sistemiche, di cui l’autrice da anni si occupa attraverso il suo impegno, e si inserisce in una col-lana intitolata “Educazione e politiche della bellezza”, un contesto generativo e accogliente per tutte quelle proposte che si interrogano criticamente sul sen-so delle teorie e delle pratiche applica-te e organizzaapplica-te nei conapplica-testi sanitari ed educativi con la finalità di innescare un’azione trasformativa, di cambiamen-to di prospettiva (di sguardo potremmo rimarcare). Scardicchio associa al lavo-ro di cura dimensioni/risorsa come la fragilità, la vulnerabilità, la disabilità, la malattia, definendolo un’attività orienta-ta e connoorienta-taorienta-ta come pratica di bellezza, capace di essere aperta al possibile, alla responsabilità, all’etica, a innumerevoli possibilità espressive. In questa visione della pratica medica come pratica per
un’educazione alla bellezza è possibi-le pensare al medico o al curante come ad un esperto di est-etica, ovvero come colui capace di ricercare il volto umano della cura, pur utilizzando sguardi com-plessi e compositi, curiosi e incuriositi o curiosanti, come dice Scardicchio di chi si ritrova davanti a un’opera d’arte.
Particolarmente interessante risulta il nesso intuito dall’autrice circa la que-stione dello sguardo nell’ambito della prevenzione e quindi anche nella pro-mozione della salute.
“e se fosse allora anche un modo possi-bile di rileggere anche la prevenzione?
Intesa non come previsione nel senso meccanicistico, ma come capacità di cogliere nessi, intuire correlazioni, in modo da connettere interdipendenze e dunque intuire l’emergenza di sintomi e malattie con paradigma salutogenico e non soltanto patogenico? Cura e pre-venzione sono dentro una questione di sguardi. Sguardi predittivi e anticipatori perché in grado di accogliere anche il mai-visto-prima e il mai-visto-prima-di-così” (Scardicchio, p.33).
Ed è proprio questo aspetto che rimanda al riorientamento dello sguardo a inte-ressare i promotori della salute, perché il guardare in modo profondo, discantato, interessato, può significare in-tercettare e riconoscere le risorse e le opportunità in grado di generare salute, come ci ha insegnato Antonovsky, il teorico della salutogenesi, grande
rifor-matore delle scuole di medicina nelle facoltà israeliane, attento quindi anche alla formazione del medico, al suo fare esperienza nell’incontro con gli altri.
Infatti nella pratica medica è necessario sviluppare una competenza in grado di cogliere le risorse, i bisogni, i desideri e costruire progetti di salute e di vita reali e significativi.
Altra riflessione di particolare interesse per i promotori della salute riguarda il capitolo intitolato “Interdipendenze” a pagina 47. La necessità di connettere ciò che guardiamo e interpretiamo con lo sguardo verso se stessi, il proprio sentire e sapere, richiamano un assunto importante per chi si occupa di preveni-re le malattie e promuovepreveni-re la salute. Il tema del connettere, del legare insieme, di creare reti è un aspetto imprescindi-bile per chi lavora in questo settore. In questo volume la connettività e le sue interdipendenze non sono solo argo-mentate come capacità di unire e fare rete ma anche come possibilità di guar-darsi in modo nuovo proprio a partire dalla relazione, dalla rete e dall’interdi-pendenza che si è creata.
Proseguendo nella lettura del testo ap-pare in più parti evidente il potenziale delle storie, delle narrazioni, delle bio-grafie sviluppate con stimoli artistici.
Scardicchio accompagna dunque alle sue riflessioni, che seguono una visio-ne sistemica e complessa del lavoro di cura, la presentazione e descrizione di strumenti operativi. Il volume infatti si
arricchisce di esperienze documentate nella formazione con gli operatori della salute e non solo come riflessione criti-ca e appassionata dell’autrice, ma anche come possibilità di elaborare nuovi sce-nari operativi in cui sia possibile alle-nare e sviluppare lo sguardo che cura e che genera salute. La seconda parte del libro è articolata in dodici contrappun-ti con i quali Scardicchio accompagna il lettore a “controeducare” il proprio sguardo, a guardare oltre, ad osservarsi nei propri sguardi di professionisti del-la cura e deldel-la prevenzione, auspicando per ognuno il raggiungimento di una
“coscienza della fragilità” che come afferma l’autrice in conclusione possa
“tenere insieme ragione e immaginazio-ne, computo e creatività, dove l’umanità coincide con la ricerca intesa scientifi-camente, non statisticamente”.
Nel 1978, esattamente quattro decenni fa, 134 Stati membri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, 67 agenzie internazionali e organizzazioni non governative, riuniti nella conferenza di Alma Ata, convennero su un elemento fondante: la primary health care costituiva l’unica strategia per raggiungere “la salute per tutti”. La politica sanitaria di Alma Ata coniugava salute, diritti umani, giustizia sociale per rendere universalmente accessibili i servizi sanitari essenziali.
La primary health care garantiva il contesto concettuale e organizzativo per strutturare i servizi sanitari, dalle famiglie agli ospedali, dalla prevenzione alla cura. Oggi, essa torna al centro dell’attenzione della sanità pubblica come sottolineato già nel 2008 nel World Health Report
dell’OMS Primary health care, now more than ever. Centro delle cure primarie, Il Distretto, il territorio, nella visione di chi scrisse la nostra Riforma sanitaria, anch’essa 40 anni fa, deve
costituire il luogo dove il cittadino trova le risposte ai propri bisogni di salute.
Il volume presenta una selezione di articoli pubblicati sulla rivista “Sistema Salute. La rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute” nel periodo 2011 - 2017: da professionisti e studiosi di Emilia Romagna, Friuli, Lazio, Marche, Piemonte, Toscana e Umbria
esperienze e riflessioni per sostenere e migliorare il Servizio Sanitario Nazionale.
Esperienze significative: sanità d’iniziativa, gestione integrata della cronicità, mappatura della fragilità, azioni di comunità nel progetto Microaree, Information Comunication Technology e servizi integrati domiciliari, infermiere delle cure primarie, educazione terapeutica del caregiver,
ospedale di comunità. Per una nuova sanità pubblica centrata su: distretto, casa della salute, partecipazione della comunità, promozione della salute e continuità delle cure.
Una lettura raccomandata a tutti gli attori della sanità e, in particolare, ai professionisti dei servizi territoriali, sollecitati a elaborare e adottare buone pratiche per l’integrazione, la partecipazione e
l’equità e a produrre report delle tante significative esperienze nelle nostre regioni.
Per informazioni: [email protected]
L’idea di scrivere un libro nasce nella testa dell’autore qualche tempo dopo il pensionamento; cessata una fase assai intensa della vita volge, forse per la prima volta, la testa al passato. E scorge la quantità di case che ha abitato, tutte in luoghi diversi, sia pure in una stessa piccola regione; ed i tanti ambienti che ha visto nelle diverse situazioni che ha vissuto in una vita caratterizzata da un intenso peregrinare, un andare conti-nuo durato poco meno di ottant’anni, due terzi del secolo breve ed oltre una decina del successivo ancora più svelto. E quindi descrive questo tragitto immaginando una sorta di piéce teatrale, divisa in quattro tempi, luoghi di riferimento della sua casa principale: Terni, Umbertide, Stroncone, Perugia. E di ciascuno racconta l’ambiente e le persone, le esperienze. Con un tratto di penna leggero e colori tenui disegna immagini a volte ben definite talora solo abbozzate. E così passo passo si dipana l’intera vita, in un susseguirsi di situazioni di maggiore intensità. Coloro che hanno vissuto lo stesso periodo facilmente si riconosceranno nelle situazioni e nei personaggi descritti. Ogni giorno appare migliore del precedente, l’esperienza di ieri è il viatico per il domani, un continuum di progressivi avanzamenti, nella conoscenza, nel lavoro, nella famiglia, con gli amici, nello svago. Bene e meno bene, bello e brutto sono intrinsecamente legati, sale e zucchero della vita; questa è la sigla del libro. Un invito all’ottimismo che deriva dall’esperienza accumulata, dalla II guerra mondiale al nuovo secolo. Ma tutto si tiene e la visione dell‘autore esprime un ottimismo contenuto, perché la vita è comunque bella, degna di essere vissuta.
Quale e quanto sia centrale nel benessere psicosociale e fisico delle persone e delle comunità la vita di relazione e la vita culturale attraverso la partecipazione attiva e sociale dal vivo, ce lo sta dimostrando con evidenza quotidiana il Covid19. Animale sociale e simbolico, l’essere umano ha bisogno di fruire, esprimersi e creare significati attraverso azioni che coinvolgano altri esseri umani e che interagiscano con lo spazio/ambiente. Coloro che vivono in condizioni di svantaggio e di fragilità sono esposti a un impatto negativo maggiore per l’assenza di accesso, opportunità e capacità sociali e culturali con le quali far fronte all’impoverimento umano - oltre che economico e di salute - che l’isolamento fisico produce. D’altra parte, osservando in Italia la reazione spontanea delle persone alla mutata condizione, è possibile notare la crescita di performatività sociale e relazionale con l’invenzione di modi per tenere il contatto dal vivo - e non solo online - e di pratiche ‘casalinghe’ di attività culturali e creative che ingaggiano insieme l’intera famiglia e il vicinato. Per tutti poi, indipendentemente dal credo e proprio per la dolorosa impossibilità di praticarlo, viene in evidenza il fondamentale ruolo che la dimensione rituale e culturale ha nell’elaborazione della sofferenza per la perdita dei propri cari e nella produzione di significati culturali collettivi, che a partire dalla morte, generino valori e visioni condivise di futuri possibili. Così si dice sia nato il teatro nell’antica Grecia, dalla celebrazione dell’eroe morto e dalla necessità di una catarsi e rifondazione collettiva di fronte alle grandi ferite della comunità. È la cultura come fattore di inclusione e coesione sociale che ha fondato il benessere e la salute civile della comunità umana fina dalle sue origini. Le esperienze progettuali presentate in questo numero della rivista sono state individuate in collaborazione con Claudio Tortone di DoRS Centro di Documentazione per la Promozione della Regione Piemonte e Alessandra Rossi Ghiglione, direttrice del Social and Community Centre dell’Università di Torino. La scelta è stata guidata dall’identificazione e descrizione di esperienze che fossero connotate da una continuità di lavoro e riflessione e da una dimensione progettuale specifica e circoscritta tale da poter essere elemento di ispirazione, quale buona pratica, per altri contesti sociali e organizzativi.
LA SALUTE UMANA pubblicata a cura del
CENTRO SPERIMENTALE PER LA PROMOZIONE DELLA SALUTE E L’EDUCAZIONE SANITARIA UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PERUGIA
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